Il Museo del Paesaggio di Verbania festeggia i 110 anni di vita dal 19 al 22 settembre con una serie di eventi. Fino al 29 settembre è possibile anche vedere la personale dedicata a Mario Tozzi, uno dei rappresentanti più importanti del movimento Novecento, a quarant’anni dalla morte, pittore marchigiano, nato vicino ad Urbino, che si trasferì sul Lago Maggiore per il lavoro del padre, medico. Interessante la collezione lasciata dal fratello dell’artista al Museo che riunisce 19 opere alle quali sono stati aggiunti i prestiti di una dozzina di disegni dell’istituto d’arte di Verbania. I quadri raccolgono in ordine cronologico dal 1914 agli anni Settanta l’evoluzione pittorica dell’artista. Significativi i disegni che mostrano la cosiddetta ‘scultura su tela’ tipica degli Anni Venti che ha contagiato artisti come Mario Sironi e lo stesso Renato Guttuso e le ‘testine’ degli anni Quaranta.
Sempre al piano nobile del Museo è possibile vedere la collezione permanente di paesaggisti dell’Ottocento legati al territorio che si apre con Daniele Ranzoni e Luigi Litta suo maestro, quella dedicata ad Arturo Tosi con un’antologia esaustiva delle sue sperimentazioni, che riunisce le opere lasciate in deposito da un privato, e quella di Arturo Martini con ben 53 opere.
Il Museo nasce da successive donazioni di collezioni locali che fin dai primi del secolo scorso vedevano in questo luogo un importante punto di incontro, ci ha raccontato la Direttrice, Federica Rabai, accompagnandoci nella visita del palazzo. Gli anni Venti in particolare del Novecento sono stati d’oro sul lago Maggiore dove le ville della nobiltà dell’epoca e dell’alta borghesia, ancora con l’eredità del Gran Tour, attraevano intellettuali e salotti culturali importanti. Oggi il territorio resta uno spazio turistico importante soprattutto per l’area milanese e attraverso festival, rassegne musicali e sedi museali che ospitino mostre ed eventi può rilanciarsi in modo significativo. L’obiettivo nel tempo è di destagionalizzare il turismo per evitare la sola concentrazione estiva che porta oltre tutto un’affluenza in cerca soprattutto di natura e mondanità, creando appuntamenti nel corso di tutto l’anno. Attualmente il museo si attesta sulle 8mila visite annuali con una presenza soprattutto straniera ed è testimone di un mondo che in quest’area ha dato frutti artistici importanti.
In particolare è significativa l’area a pian terreno, aperta nel 2016, dedicata allo scultore di origine russo Paolo Troubetzkoy, a cento cinquant’anni dalla nascita, dopo una ristrutturazione importante dell’edificio a cura del Comune per la parte di consolidamento e messa a norma, mentre l’allestimento è stato curato dalla direzione del museo. Si tratta di una collezione unica, punto di riferimento degli studiosi dell’artista, con 340 bozzetti in gesso delle opere su un totale di 600 pezzi che si stima sia il suo lavoro complessivo, donata con lascito testamentario dallo scultore.
Figlio di principi russi, Paolo Troubetzkoy nasce ad Intra, sul Lago Maggiore nel 1866 dove il padre si era trasferito, appassionato botanico in cerca di un clima adatto per la coltivazione delle sue piante, anche esotiche. A Ghiffa fu eretta la casa di famiglia, una sorta di dacia russa dallo stile eclettico che divenne un cenacolo culturale internazionale di riferimento sul territorio dove la nobiltà, la borghesia più illuminata e l’intellighentia facevano capo intorno anche alla madre di Paolo, cantante lirica.
Dotato fin da bambino di grande manualità nel modellare la plastilina e l’argilla, Troubetzkoy fu notato da Giuseppe Grandi che stimolò i genitori a coltivarne il talento e fu egli stesso uno dei primi maestri. Paolo fu così mandato a studiare a Milano all’Accademia di Brera ma il suo carattere ribelle mal sopportava la vita accademica convinto anche che bisognasse imparare dal vero. La prima formazione fu di fatto quella a Villa Ada con Daniele Ranzoni, artista del movimento della Scapigliatura insieme a Tranquillo Cremona mentre la svolta avviene a Parigi con Auguste Rodin e Giovanni Boldini. Da quest’ultimo trasportò nel lavoro tridimensionale quella pennellata rapida e dinamica, lavorando il materiale direttamente con le mani. La prima parte dell’esposizione raccoglie i numerosi ritratti di personaggi famosi, molti dei quali incontrati in viaggio con i quali intratteneva un rapporto colloquiale come mostrano le pose mai formali, in particolare quello con Bernard Shaw e Gabriele D’Annunzio. Singolare la storia dell’incontro con il grande poeta e scrittore dal quale nacque un importante sodalizio professionale. Lo incontrò a Napoli nel 1892 in occasione di un concorso per un monumento a Giuseppe Garibaldi. Il Vate quando vide il bozzetto scrisse una recensione entusiasta e l’opera di Troubetzkoy vinse, anche se per motivi di crisi economica il concorso fu bloccato e l’opera mai realizzata. Al Museo di Verbania resta il modello definitivo e unico dell’opera.
Le sale raccontano le tematiche dell’artista dai ritratti, alla figura intera di piccolo formato soprattutto raffigurante donne in stile Belle Epoque, le opere più facilmente commissionate da nobili e personaggi famosi; importante anche la sezione dedicata ai bambini e agli animali e i nudi. L’artista lavorava poco il marmo che trovava difficoltoso, molto la cera e il gesso preferendo soprattutto la fusione a cera persa con la realizzazione in bronzo. Tra i piccoli nudi da notare il gesso patinato in color bronzo di Lady Constance Stewart Richardson, famosa ballerina americana, incontrata in uno dei suoi numerosi viaggi, che aveva destato scandalo perché aveva cominciato a danzare nello stile di Isadora Duncan, unendo la danza classica al gioco acrobatico, vestita solo di veli, senza nulla sotto.
Una sala è dedicata al periodo russo con i monumenti più istituzionali come i ritratti della famiglia dello Zar e dei personaggi a lui vicino, in particolare il grande monumento allo Zar Alessandro Terzo del quale però il Museo non possiede alcun modello, opera vincitrice di un concorso, il cui originale è ora nel Museo di Stato di San Pietroburgo. Fra i ritratti del periodo quello di Lev Tolstoj del quale condivideva la scelta originale per il tempo del vegetarianesimo, insieme a Bernard Shaw per altro, anzi nel caso di Troubetzkoy del veganesimo ante litteram che gli costò tra l’altro un’anemia che non volle curare e gli fu fatale. Due opere accostate con tanto titolo, raro per questo artista, I divoratori di cadaveri, mostrano una iena e un uomo grassoccio che mangia un maiale servito intero. Artista originale, all’avanguardia nello stile di vita come nell’arte, spesso di rottura, fatto che gli procurò non pochi problemi in alcuni casi, instancabile viaggiatore che la sezione dedicata alla ricostruzione del suo studio mostra nelle suggestione trasferite nella scultura. Da ogni viaggio tornava infatti arricchito come dall’America – ebbe un grande studio a Hollywood – dove venne colpito oltre che dalle star e dal fenomeno del divismo dal folclore, in particolare dagli indiani Pelle rossa; mentre dai viaggi esotici trasse ispirazione per riprodurre animali come cammelli ed elefanti. Sempre desideroso di conoscere luoghi e persone, tornava sul Lago come alla sua patria dividendosi nell’ultima parte della sua vita tra l’Italia e Neuilly-sur-Seine.
a cura di Ilaria Guidantoni