In tempi di tassi rasenti o al di sotto dello zero, la caccia ai rendimenti più alti è aperta. Pochi però pensano a un investimento in opere d’arte. Eppure, numeri alla mano, conviene: pensate che nel lungo periodo, l’arte contemporanea ha avuto rendimenti in linea con il mercato azionario americano e con il prezzo dell’azione di Sotheby’s. Lo calcola l’Artprice Contemporary Art Index, calcolato dal Rapporto Artprice relativo alla prima metà del 2019, stilato in collaborazione con il suo partner in Cina AMMA (Art Market Monitor of Artron). Solo nella prima metà del 2019 l’indice Artprice relativo all’arte contemporanea è salito del 40%, trainato dagli ottimi risultati alle aste delle opere di Jeff Koons, Peter Doig and Keith Haring. Nella prima metà del 2019, l’indice Artprice100 (un portafoglio virtuale composto dai 100 migliori performer del mercato globale delle aste tra il 2014 e il 2018, ponderato per l’entità relativa del loro fatturato totale) è aumentato del 16%. L’indice ha battuto l’intero mercato grazie a risultati eccezionali per Fu Baoshi e Wu Guanzhong in Cina, e per Robert Rauschenberg, Frank Stella e Martin Kippenberger in Occidente. L’opera più redditizia per il suo venditore è stata una scultura della serie Pumpkin (1998) del giapponese Yayoi Kusama, pagata 5.800 dollari 10 anni fa a un’asta di Christie’s a Londra e rivenduta a New York per 156 mila dollari nell’aprile 2019, per un rendimento medio annuale del 39% in 10 anni: Apple nello stesso periodo ha guadagnato il 26% l’anno e l’indice S&P 500 il 12%. Artprice ha calcolato un rendimento annuo del +4,6% delle opere d’arte detenute per un periodo medio di 13 anni. Sul totale delle opere, il 51% ha registrato un aumento dei prezzi, il 48% ha subito un calo di valore, l’1% è rimasto stabile.
I prezzi delle opere d’arte sono saliti del 5% nel primo semestre di quest’anno e del 40% nel caso del settore dell’arte contemporanea (che include tutte le opere realizzate da artisti nati dopo il 1945). L’aumento dei prezzi delle opere d’arte è stato tuttavia accompagnato da una contrazione del mercato: i volumi di vendita (turnover) si sono infatti ridotti del 17,4%. In particolare, la maggiore contrazione si è registrata in Gran Bretagna (-25%), complice l’incertezza legata alla Brexit, e in Usa (-20%). Come mai? Thierry Ehrmann, fondatore e ad di Artprice, ha spiegato: “Il mercato dell’arte – come lo conosciamo dal 1975 – sembra aver raggiunto i suoi limiti strutturali: le case d’asta faticano a mantenere i loro margini operativi e anche a convincere i collezionisti a vendere i loro pezzi migliori. Le case d’asta stanno costantemente aumentando i loro compensi per gli acquirenti e, allo stesso tempo, inventano nuovi modi per rassicurare i venditori. Le garanzie possono incoraggiare alcune vendite, ma questo meccanismo non rappresenta una soluzione. È tempo che il mercato dell’arte inizi una nuova era digitale”.
![jeff koons](https://bebeez.it/files/2019/09/jeff-koons.jpg)
L’artista più “gettonato” è stato Claude Monet, con 23 opere vendute per un totale di 251 milioni di euro. Sua è anche l’opera più costosa battuta all’asta in questa prima metà dell’anno: Meules (1980), aggiudicata nel maggio scorso in un’asta di Sotheby’s per 110,7 milioni di dollari (si veda altro articolo di BeBeez), seguita dal Coniglio (1986) di Jeff Koons, venduta da Christie’s per 91,1 milioni di dollari sempre nel maggio scorso e Buffalo II (1964) di Robert Rauschenberg, battuta all’asta ancora da Christie’s per 88,8 milioni a metà maggio. Il maggior segmento nel mercato dell’arte è rimasta l’arte moderna, con un turnover del 43%, seguita da quella del dopoguerra (24%) e contemporanea (15%). Le aste si sono concentrate anche questo semestre in Usa, Cina e Gran Bretagna, sebbene il loro numero si sia ridotto rispettivamente del 20%, 12% e 25%.