Alla nuova galleria CRUMB GALLERY di Firenze dal 4 al 31 ottobre è allestita la mostra fotografica di Rory Cappelli (giornalista di Repubblica) e Lea Codognato (della società di comunicazione Davis&CO), Donne in farsi, Viaggio tra i volti dell’Iran.
In occasione del festival L’Eredità delle Donne, diretto da Serena Dandini, lo spazio, aperto lo scorso maggio in via San Gallo, diretto da Emanuela Mollica e interamente dedicato all’arte e alla fotografia delle donne, propone un percorso espositivo tematico propone 40 scatti di Rory Cappelli e Lea Codognato.
L’Iran nonostante la vicinanza – immaginifica, geografica, storica – da una parte resta un mistero, da un’altra un insieme di stereotipi e viene percepito come un Paese dove i contrasti non esistono, uniformati nella politica e nella religione di Stato, e le sfumature sono perse da tempo. Il Paese è raccontato al mondo occidentale attraverso i suoi artisti espatriati: chi resta è come se non avesse più voce. Eppure solo a Teheran ci sono centinaia di librerie e ogni anno vengono pubblicati migliaia di titoli, per parlare soltanto della produzione letteraria, basti ricordare il noto Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi che fece scandalo, e che racconta proprio il binomio di libertà tra donne e lettura o Rosa è il colore della Persia di Vanna Vannuccini sull’illusione svanita della cosiddetta rivoluzione islamica che hanno pagato soprattutto le donne.
Il fermento è grande e profondo, basti pensare alla cinematografia legata a Shrin Neshat, artista, video maker e fotografa che però vive a New York perché il problema nel paese è la censura dei propri figli e degli intellettuali, in particolare se donne come nel caso di Marjane Satrapi, autrice residente a Parigi del fumetto Persepolis.
Ecco che il paese può essere raccontato solo da chi sta fuori che sia iraniano o non e gli scatti dedicati al primo giorno del nuovo anno, il 20 o 21 marzo, a seconda della luna che regola il calendario locale, la festa più importante in Iran, celebrata da tremila anni mostrano la resistenza del popolo. Il capodanno si chiama Nowruz – nuovo giorno appunto – e risale all’epoca preislamica e, nonostante gli sforzi, il governo non è riuscito a cancellarla. Scuole e uffici restano chiusi per due settimane, tutto il Paese diventa una rilucente e coloratissima ghirlanda, di stoffe, cibo e sorrisi e colori, contrariamente a quello che si immagina.
Le foto esposte in questa mostra sono scattate durante quella festività: a Nowruz tutto quello che è l’Iran, dove sostanzialmente non esiste analfabetismo, dove la maggior parte delle donne frequenta l’università, si riversa per le strade e si dipinge sui volti della gente, che a ogni angolo di strada canta e sorride. Perché la cultura c’è anche se non si vede e le donne non è che non abbiano voce, sono solo in modalità, forzatamente, silenziata. Ma i loro occhi parlano ed ecco perché questi scatti sono così preziosi, come le unghie dipinte o qualche lembo di stoffa colorata che esce da sotto vesti scure e pesanti, un ciuffo che esce dal foulard, un contrasto tra l’essere alla moda e il portare simboli tradizionali. Basta un dettaglio per cogliere l’infrazione e aprire un mondo.
a cura di Ilaria Guidantoni