Al Museo Morandi all’interno del MAMbo di Bologna dal 12 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 le opere in ceramica di Bertozzi&Casoni, L’Elogio dei fiori finti accostate ai fiori di Morandi in linea con la sua poetica dell’oggetto, che sopravvive alla singola opera. Il pittore bolognese sosteneva che un artista non butta via i propri oggetti, i pennelli e i colori che ha usato per creare un’opera, ma li seppellisce; e che un oggetto sopravvive all’opera stessa, diventando fonte di ispirazione per altri artisti. Così la grande installazione di Tony Cragg dedicata alle bottiglie, in vetro, che sembra animare e scomporre l’estetica metafisica delle nature morte di Morandi.
È ormai ben noto quanto l’opera di Morandi sia di per sé attuale e studiata da artisti che la guardano interpretandola e rendendola propria attraverso i più diversi e vari linguaggi. La presentazione nel 2017 in questo stesso museo di una mostra dal titolo Attualità di Morandi ha voluto proprio sottolineare questo dato di fatto ormai assodato. Oggi la lezione del grande pittore è stata filtrata e riproposta a modo loro dal duo Bertozzi & Casoni attraverso il mezzo di cui sono maestri, ovvero la ceramica. Il duo, che ha dato vita all’azienda che riunisce i due cognomi nel 1980, è formato da due ceramisti di Imola, Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni.
La loro attenzione si rivolge ad alcuni celebri dipinti raffiguranti vasi di fiori e paradossalmente sembra quasi che la pittura di Morandi sia stata per i ceramisti la chiave di volta per entrare in sintonia con le cose che ne sono state il modello. E’ noto, infatti, che il modello a cui l’artista guardava preferibilmente non era il fiore fresco, di per sé caduco, destinato a modificarsi giorno dopo giorno (e quindi a creare varianti indipendenti dalla sua volontà), ma il fiore di seta, oppure, il fiore essiccato che mantiene il suo stato inalterato e, al pari degli altri oggetti, raccoglie la polvere, creando effetti tonali a Morandi per nulla sgraditi e forse per questo volutamente ricercati. Non è un caso che nello studio di Morandi non ci fossero mai fiori freschi ma immagini degli stessi. Un’indagine, dunque, che parte dall’assenza di vita che lui ricrea sulla tela attraverso soavi e morbide tonalità di cipria e preziose gradazioni di verde.
Bertozzi & Casoni interessati da sempre al tema floreale, sembrano invece voler concedere nuova vita a quelle rose dal gambo volutamente lungo (Morandi, ricorda Cesare Brandi, “tagliava le sue rose sotto il bocciolo e le disponeva sull’orlo del vaso, fitte come un bouquet da sposa”) sulle cui foglie s’aggirano presenze insettiformi dalla colorazione cangiante, che hanno insieme qualcosa di lezioso e di disturbante come molte delle opere del duo. Si tratta, al contrario, di una rivisitazione attenta e personale da cui nascono veri e propri “d’aprés Morandi” dopo quelli celeberrimi, firmati Gio Ponti, che più di settant’anni fa riproponevano bottiglie trafitte, ingioiellate, mascherate e addirittura abbottonate.
Bertozzi e Casoni si incontrano all’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica di Faenza dove i loro interessi si indirizzano verso un dialogo con la grande tradizione dell’arte ed emerge la vocazione per la sperimentazione in campo scultoreo: vedono, infatti, nella ceramica una possibilità per una scultura dipinta. Frequentano poi l’Accademia di Belle Arti di Bologna e tentano di mettere a fuoco i protagonisti e le ragioni di una “nuova ceramica” cercando di superare il gap che vedeva questo mezzo espressivo secondario rispetto ad altre forme artistiche. Le loro prime creazioni sono di piccola dimensione e in sottile maiolica policroma. Collaborano dal 1985 al 1989 con la Cooperativa Ceramica di Imola e, parallelamente, con “K International Ceramics Magazine”. Il rapporto con la Cooperativa si conclude con due interventi a Tama New Town (Tokyo) e a Imola (Ospedale Civile).
Tra il 1983 e il 1994 partecipano a diverse manifestazioni legate al mondo del design. Durante gli anni Novanta, nel loro lavoro, un aspetto più concettuale e radicale convive con ipertrofiche espressività e inossidabili perfezioni esecutive che raggiungono apici dimensionali mai realizzati prima. Concluso il capitolo della maiolica dipinta si dedicano
a sperimentazioni che prevedono l’utilizzo, quasi esclusivo, di materiali e tecnologie di derivazione industriale. Ai virtuosismi pittorici prediligono una resa oggettiva dei soggetti prescelti che rientrano nelle categorie artistiche della vanitas e del memento mori; si attenua così la presenza degli autori stessi e la condizionante percezione di un tempo particolare.
È la grande svolta. Si apre il capitolo delle “contemplazioni del presente”, una sorta di “epopea del trash”: l’attrazione verso ciò che è caduco, transitorio, deperibile e in disfacimento diventa icona, internazionalmente riconosciuta, della condizione umana.
Tra surrealismo compositivo e iperrealismo formale indagano da anni i rifiuti della società
contemporanea, compresi quelli culturali e artistici, in una messa in scena in cui si alternano affondi nel degrado e rinvenimenti di superstiti o misconosciute bellezze.
Il 16 dicembre 2017 è inaugurato il Museo Bertozzi & Casoni presso la Cavallerizza Ducale di Sassuolo, uno spazio permanente che raccoglie una selezione delle loro opere più significative.
a cura di Ilaria Guidantoni