La Galleria 360 di Firenze riapre al pubblico con la mostra collettiva Colori dell’anima, inaugurata il 4 giugno in diretta Facebook e Instagram – senza pubblico in loco – aperta fino al 3 luglio per chi volesse visitarla.
L’Art Director dello spazio espositivo, Angela Fagu, ha scelto di ripartire dal colore con le opere che erano già in galleria o che sono potuto arrivare, visto che lavora solo con artisti stranieri. La suggestione viene da Kandinsky che ne Lo Spirituale nell’Arte che scriveva “il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare.”
Come ci ha raccontato Angela Fagu “gli artisti di Colori dell’anima riscoprono nel colore un potente strumento comunicativo capace di esprime suggestioni e stati d’animo difficili da narrare figurativamente. Vero e proprio linguaggio emotivo oltreché espressivo, il colore nelle opere esposte diventa dunque un potente e suggestivo mezzo in grado di rompere l’immota quiete sensoriale facendo vibrare l’anima dell’osservatore. Una rassegna artistica dunque dove le combinazioni cromatiche si intrecciano costantemente con il vissuto affettivo e quotidiano, diventando espressione diretta e tangibile delle più intime esperienze dell’io e dello spirito; una mostra cioè dove la spiritualità della luce si combina costantemente con il ritmo esplosivo di contrasti ed armonie coloristiche.”
In mostra quattro artisti, illustrati dalla storica dell’arte Virginia Bazzechi Ganucci Cancellieri, gli americani Howard Harris, Lawrence Armstrong, Judith Stone e Maria Misselbrook, nata a Losanna da madre italiana e padre tedesco.
Howard Harris concentra la sua fantasia sulla sinergia creata dai giochi pulsanti di una cromia intensa ed accesa. La grandeur immaginativa si combina così con un impegno estetico e con la tecnologia, con il fine di ampliare l’esperienza visiva dell’arte fotografica per esplorare i limiti della visione umana ed avventurarsi in nuove esperienze percettive. Le opere sono il frutto di un complesso processo di costruzione fotografica, brevettato dall’artista stesso, nelle quali il fenomeno visivo risulta costantemente variabile e influenzato da fattori diversi, come l’angolo visuale o la luce. Attraverso prospettive illusorie e texture dall’incredibile tensione cromatica, l’artista dà vita dunque a creazioni artistiche dalle superfici palpitanti, che sembrano vibrare entrando in risonanza non solo con la retina dell’osservatore ma anche con la sua anima. Se Freud parlava di “rosa dei sentimenti” per riferirsi alle molteplici sfaccettature dell’animo umano, l’arte di Harris egualmente si fa interprete delle “mutevolezze percettive del sentimento”.
Lawrence Armstrong (qui sopra) è un artista, architetto, un designer di successo e CEO di una dinamica società internazionale di architettura, molto apprezzato sulla scena internazionale; nelle opere c’è la proiezione psicologica del proprio mondo interiore, così come la pretesa di un’arte esatta e verosimile, lasciano spazio ad un vivace interesse per i rapporti cromatici. La dialettica coloristica, sebbene possa ricordare gli accenti emotivi della pittura espressionista ed informale, si consuma infatti in un’astrazione che si definisce nello studiato equilibrio tra i diversi strati cromatici e spaziali. Gesto dopo gesto, questa pittura si sviluppa e si consuma nel suo stesso esercizio dando vita ad equilibri dinamici ed a complesse armonie coloristiche.
Judith Stone è un’artista americana eclettica. I lavori esposti sono il frutto di una ricerca originale, ricca di spunti critici sul tema dei cantieri e dei macchinari. Gru, bracci, terne e corde investono le opere di Stone di connotazioni trasversali e acquistano, grazie a particolari tagli compositivi, un’incombenza quasi “monumentale”. Non si tratta di un’asettica esaltazione della ‘bellezza meccanica’ in stile futurista; né di enigmatici e fantasiosi dispositivi meccanici delle provocazioni picabiane. Le macchine di Stone rompono lo status quo dell’inerzia di cantieri abbandonati grazie al dinamismo del loro movimento che diventa prefigurazione dell’atto stesso del costruire; un atto, quello del costruire, che accomuna metaforicamente l’architetto e l’ingegnere con l’artista in quanto tentativo dell’essere umano di dar forma ed ordine ad un caos apparente. Nelle opere dell’artista americana congegni e macchinari portano così impresse su di sé le tracce della memoria del passato, i segni del presente e le attese del futuro.
Maria Misselbrook si nutre nella sua ispirazione dalle sue radici multiculturali
dalle quali scaturisce un alfabeto creativo dove il rigore analitico della sperimentazione e l’emozione di una soggettività individuale si alternano, si contrappongono e si bilanciano, sempre disciplinate da un principio estetico. Uno spirito insaziabile e curioso verso la vita, la porta a servirsi di una tecnica mista dove il processo pittorico si estrinseca attraverso le tracce di una sedimentazione cromatica che ripercorre le immagini accatastate di pensieri, ricordi ed emozioni; sulla superficie pittorica pigmenti colorati vengono così chiamati a dialogare con frammenti di metallo ossidato, terre, inchiostro di china e forme diverse.
Lo sguardo generoso della Misselbrook penetra l’incanto del mondo, regalandoci superfici cromatiche intense, corpose e palpitanti, dove il colore si addensa in stratificazioni e la materia si fa cangiante, vibra nella luce, emana energia.
a cura di Ilaria Guidantoni