4.99 €
Autore: Platone
Casa editrice: CreateSpace Independent Publishing Platform
Anno di pubblicazione: 2016
Acquista su AmazonDescrizione prodotto
L’Apologia di Socrate, che Platone scrisse questo testo nel 399 a.C. in seguito alla morte di Socrate e a uno dei più celebri processi della storia, è un piccolo – per la sua brevità – capolavoro di scrittura che unisce una vena certamente narrativa ed autobiografica – Platone fu discepolo di Socrate – ad una prosa rigorosa, saggistica, non strettamente un testo filosofico, dedicato alla giustizia. Forse il primo testo platonico, annoverato tra gli scritti giovanili, l’Apologia, se non una cronaca, è certamente il documento più attendibile del processo per la condanna a morte del padre della filosofia greca antica, tanto che questo personaggio rappresenta uno spartiacque tra i filosofi naturalistici e i sofisti – i cosiddetti, per l’appunto presocratici – e la filosofia successiva. Ora questo testo – che per certi aspetti ricorda gli scritti di Leonardo Sciascia a vario titolo – mette insieme il ruolo della finzione letteraria per creare una via di comprensione relativamente facile e immediata per l’elemento emozionale (l’idea del condannato innocente) che poi Platone svilupperà facendo ricorso al mito; la volontà saggistica di spiegare la realtà, con una narrazione analitica del processo greco, come e in quali tempi si svolgeva – una sola giornata in caso di condanna a morte, una sorta di processo per direttissima, proprio quando la pena era massima – e un capolavoro sociale di indagine sulla mala giustizia, l’influenza capziosa dell’opinione pubblica – oggi parleremo di una campagna mediatica di discredito preparata ad hoc per ragioni di basso profilo e di interesse politico – con una fine ironia. Questi elementi, al di là della narrazione storica che è una preziosa testimonianza, rappresentano la ragione per la quale questo testo è ancor oggi di grande attualità, soprattutto per il fatto che non è riservato agli addetti ai lavori anche se non è facile trovare una buona traduzione che renda la ricchezza e la profondità di una lingua classica. Così quando si parla dell’educazione morale dei giovani, tradurre il termine di kalokagathìa greco con ‘belli e buoni’, senza neppure una nota, è una semplificazione che oltretutto travisa la profondità del concetto di armonia e la concezione estetica greca. Un testo a fronte sarebbe utile o comunque una buona guida nella lettura. Platone tra l’altro, sulla scorta di Socrate e di tutta la cultura greca, riteneva che la scrittura impigrisse la mente, non restituisse la profondità del pensiero e del dialogo – lo studio era per la filosofia una vera e propria discussione tra maestro e allievi – e le dottrine più elevate, riunite secondo alcuni dagli allievi successivamente in un compendio Intorno al bene, non potevano essere oggetto di scrittura. In realtà Platone scrisse moltissimo: 36 dialoghi che però appunto nella forma restituiscono la vivacità del ragionamento, le Leggi e la Lettera VII, una sorta di testamento. Se l’orizzonte di Socrate resta confinato alla polis e in particolare ad Atene – insistentemente nei suoi due discorsi e nel commiato finale si rivolge agli Ateniesi – senza capire la portata del suo discorso che avrebbe travalicato il tempo e lo spazio, il cuore del discorso resta assolutamente attuale e i meccanismi dell’accusa ci sono sorprendentemente familiari; e aggiungerei scandalosamente tali. Socrate appare come un predicatore laico, che sente una vocazione, una chiamata, rispetto alla quale si mette a disposizione e l’accostamento al Cristo è impressionante come la rinuncia ad una facile vittoria. Non scende dalla Croce il secondo, non accetta l’aiuto di amici intellettuali il primo per sfuggire alla condanna, ma nel compiersi del suo destino è testimone della non violenza e della coerenza morale. Un insegnamento che imprimerà una svolta all’Occidente fino a Martin Luther King che ancora citerà Socrate molti secoli dopo.
a cura di Ilaria Guidantoni