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Alla Galleria milanese Gió Marconi, nella nuova sede di via Tadino a Milano dal 2015, prima al piano terra della Fondazione Marconi, è di scena fino a fine maggio Cold Shoulders / Foreign Affairs / Seafood Dinners / Power Vacuums / and The Last Gate at the End of a Very Long Terminal, la terza personale di Matthew Brannon con la galleria.
Una mostra realizzata durante l’anno surreale qual è stato il 2020. La mostra di Brannon in galleria riguarda il concetto di viaggio e il passare del tempo. L’idea di viaggiare liberamente è diventata quasi un’ossessione da quando il mondo si è fermato all’inizio del 2020 e le chiusure globali hanno tenutole persone a casa. C’è un desiderio sempre più urgente di spostarsi e viaggiare di nuovo. La mostra ci accoglie con video di film dove si parla di viaggi e soprattutto si è in volo, un’idea che ha molto divertito l’artista e che spinge lo spettatore in una situazione immersiva, all’interno di un aereo.
“Ho immaginato un aereo sospeso a mezz’aria sopra una città in un qualche momento durante il secolo scorso, ha dichiarato l’artista. Leggero come una piuma, pesante come una balena. Ogni opera mostra il sedile di un passeggero invisibile. È il set di una produzione teatrale dopo che lo spettacolo è finito e le telecamere sono spente. È quel momento in cui ti svegli appena prima di ricordarti tutto quello che devi fare. È il centro di un libro che ho scritto molto tempo fa. È uno spazio in cui puoi entrare. Il mondo fluttuante”.
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Ha scritto “Eccolo. In mezzo all’oceano. Sterile come la luna. Giù per miglia sotto l’acqua fredda e pesante. Dove vivono pochi pesci e ci sono meno piante che in un deserto. Solo rocce molto vecchie grandi come montagne. Ci vuole un grande dispiego di forze per spingere l’aereo verso il basso e c’è bisogno di luci come quelle che si usano nei grandi stadi, eppure tutto quello che vedi è nero. Come guidare in un temporale in un incubo nello spazio siderale. E poi è lì. Come un serpente di proporzioni preistoriche. Il cobra più grande del mondo. Capace di divorare persone a bocconi. Scintillante ma morto. Un’enorme prolunga che attraversa i continenti. È il cavo di rete. E tu fai quello che devi. Quello che hai sempre sognato da quando è iniziato. Un modo per salvare il mondo. Un modo per fermare tutta la follia, la distorsione e l’impossibilità. E quando le enormi tenaglie del velivolo iniziano ad incidere l’esterno, è come se sentissi le urla di tutte quelle case piene di tutti quei dispositivi acquistati online e totalmente dipendenti da questo stesso sangue che ora stai interrompendo. Ogni gigantesco taglio nel cavo cancella miliardi di e-mail, messaggi di testo, download, caricamenti e streaming ed evaporano persino e-mail cancellate da tempo. E poi, come il suono di un ghiacciaio che si spezza o di un crack in un bicchiere di vino in una stanza vuota, è finita. E la tensione tira entrambe le estremità del cavo a migliaia di miglia di distanza. Sarà più facile ricostruirne uno che ricollegarle. E tutti avranno bisogno di nuove password. E passerà una generazione prima che funzioni di nuovo”.
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Chi è Matthew Brannon
Classe 1971, originario dell’Idaho, vive e lavora a New York. Artista e scrittore, è forse ancor più conosciuto per il suo approccio alle tecniche di stampa. Lavora principalmente con la serigrafia e la tipografia, pratiche che invitano alla giustapposizione giocosa di immagini e testo. La sensibilità letteraria, l’arguzia, l’uso giocoso del linguaggio e il fascino per la psicoanalisi sono stati a lungo gli elementi chiave dell’opera di Brannon. Da scultura e pittura a installazione e video: l’artista tratta ogni mezzo espressivo con la massima precisione e con uno straordinario senso del dettaglio. Negli ultimi sei anni Brannon ha esplorato principalmente le ramificazioni della guerra del Vietnam. Il risultato è Concerning Vietnam, una serie di oltre 75 stampe uniche. Le sue opere sono presenti nelle collezioni permanenti di numerosi musei: the Museum of Modern Art, New York; Whitney Museum of American Art, New York; Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; Hammer Museum, Los Angeles; Denver Art Museum, Denver; Albright-Knox Art Gallery, Buffalo; DESTE Foundation for Contemporary Art, Atene; Museo Madre, Napoli.
a cura di Ilaria Guidantoni