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“Una statua per Alì Piccinin, in viaggio da Massa ad Algeri” è la mostra di bozzetti dedicata alla figura di questo ragazzo rapito e deportato ad Algeri che poi ebbe fortuna, inaugurata nella Sala degli Specchi di Palazzo Ducale a Massa.
Il progetto, realizzato con il Liceo Artistico Felice Palma, ha decretato vincitrice Giulia Vatteroni della 5° A con L’abbraccio, opera che sarà realizzata con un blocco di marmo di due metri e mezzo offerto dalla Fondazione Marmo onlus, per poi essere donato alla città di Algeri.
L’arte in questo momento diventa così altamente simbolica della ricucitura di una ferita nel Mediterraneo tra le due sponde, di stimolo all’economia di un territorio coinvolgendo l’industria del marmo locale e le maestranze e di coesione sociale. Claudia Leporatti, docente di scultura e arti figurative che, insieme ai colleghi Pier Paolo Della Pina e Patrizia Mannini, ha coordinato il laboratorio, sottolinea l’importanza in un anno difficile di aver dato agli studenti uno stimolo creativo finalizzato ad un progetto. “Ne sono uscite energie che forse i ragazzi neppure sapevano di avere. Con soddisfazione posso dire che tutti hanno conseguito un risultato formalmente valido e soprattutto per i più giovani non era scontato”, in argilla o plastilina.
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Ogni bozzetto è accompagnato da una scheda in italiano e in inglese che racconta il lavoro e offre la chiave di lettura dell’artista. In particolare il progetto vincitore riproduce una donna velata, simbolo di Algeri la bianca, quale apparve ad un viaggiatore francese del Seicento, che paragonò la città a una donna, appunto, che offriva i lembi del suo mantello in segno di accoglienza a chi arrivava in città. Sulla testa della figura femminile le abitazioni della Casbah e in primo piano un malinconico Alì Piccinin, alias Alī Betchīn, che dà il nome alla moschea che nel 2022 compirà 400 anni. Un anniversario che il frutto del progetto celebrerà. All’origine dell’iniziativa Riccardo Nicolai, scrittore e fine ricercatore di storie vicine e lontane che ha scritto nel 2015 Alì Piccinin. Un Mortegiano Pascià di Algeri, testo autopubblicato, un libro avvincente dal quale era già stato tratto uno spettacolo teatrale. Alì Piccinin torna così in Algeria. Il racconto del piccolo Aldino, bambino rapito dai corsari barbareschi a Mirteto, un paesino toscano sulle Alpi Apuane, alla fine del Cinquecento, diventato poi rais e pascià di Algeri, è diventato un romanzo. Accanto a riferimenti storici documentati e una descrizione viva di Algeri e della cultura locale e insieme a una trascrizione impeccabile dei termini arabi, il gusto della narrazione tipica del romanzo classico d’avventura, d’armi e d’amore, che piega il linguaggio senza forzature, con grande destrezza, ai vari “dialetti” e alla lingua usata al tempo.
Il libro sembra contemporaneo delle vicende che narra eppure è fresco e si legge d’un fiato, imparando nel flusso degli eventi ed emozioni, una parte della storia che ci tocca da vicino e totalmente dimenticata. Il Mediterraneo visto dalla sponda sud che si rispecchia nel Tirreno delle Alpi Apuane e delle sue cave di marmo e maestranze che costruiscono la moschea, inaugurata nel 1622 ad Algeri, Ali Betchine. Tra la piazza dei Martiri e il noto liceo Emir Abdelkader, all’incrocio tra la via Bab el-Oued e la Casbah, una piccola costruzione sormontata di finestre e un minareto che appare strana per la forma e le dimensioni contenute. Non ha infatti la tipica architettura di una moschea eppure non assomiglia alle case e palazzi della Casbah. La spiegazione ne rende ragione, costruita da un architetto di Costantinopoli su volontà di un italiano fattosi musulmano che utilizzò i marmi candidi di Carrara con inserzioni di paonazzo e maestranze apuane. La costruzione è tra l’altro celebre per la fontana che si trova all’ingresso, “la fontana della strada”.
La storia narrata dal romanzo che ha ispirato gli studenti del liceo che hanno letto il libro, è quella del piccolo Aldino figlio di gente modesta di un paese delle Alpi Apuane. Fu rapito dai Corsari che imperversavano sulle coste del Mediterraneo del Nord e nativo di una zona che da sempre aveva odiato i Romani ai quali non si era mai sottomessa, annientandone i legionari e sostenendo Cartagine. Salvato dal Rais di Algeri che lo comprò come schiavo adottandolo come figlio, quello che analoghe scorrerie avevano ucciso, dopo l’iniziale disperazione, realmente amato, si converte all’Islam e alla “guerra” contro i cristiani pur non dimenticando mai i propri genitori. Una storia dorata e crudele ad un tempo. Il piccolo Alidno dagli occhi chiari cresce, diventa un buon musulmano con il nome di Alī, fin troppo, colto in lingua araba; scala le gerarchie militari fino ad assumere la guida della Reggenza di Algeri. Valente e coraggioso soldato in conflitto con il sultano della “Porta sublime”, viene accusato di aver tenuto un comportamento insubordinato con una provincia suddita dell’Impero ottomano. Muore giovane avvelenato, lasciando una città che aveva fatto prosperare in poco tempo, prostrata in un lutto profondo, così come la sposa, una delle figlie del re di Djebel Koukou, alla quale dedica la moschea.
Il video con l’intervista all’ Ambasciatore algerino a Roma Ahmed Boutache; Bernarda Franchi, Presidente Fondazione Marmo onlus; e lo scrittore Riccardo Nicolai è realizzato Giuseppe Joh Capozzolo, che si occupa di Comunicazione dell’arte.
a cura di Ilaria Guidantoni