L’ombra che attraversiamo, progetto espositivo dell’artista greca di Tunisia, Marianne Catzaras, nato con Tania Gropi, giurista l’Ambasciatore tunisino a Roma Moez Sinaoui, è entrato a far parte della collezione permanente del Municipio di Tuscania, in provincia di Viterbo, e racconta un dialogo sulle due rive del Mediterraneo. L’esposizione è stata presentata alla XIV edizione del Festival internazionale per cortometraggi “Universo Corto”, ideato e organizzato dal Circolo culturale Giovani Persone di Pisa, presieduto da Maria Elena Bianchi Bandinelli Paparoni che si è svolto a Tuscania e che punta sul cinema indipendente. Questa edizione, affiancata da una serie di eventi culturali, ha visto tra l’altro la partecipazione della Catzaras alla quale, come ha spigato Francesco Moncerri, dell’organizzazione del Festival, è stato chiesto di mostrare il dialogo tra la civiltà etrusca, quella cartaginese e quella romana.
Come nasce quest’idea di far dialogare le diverse
sponde del Mediterraneo, attraverso il tempo?
“Abbiamo passato dei momenti difficili, ci ha raccontato l’artista, quando l’abbiamo incontrata, dalla pandemia a diversi oscurantismi ideologici, politici, in perenne allerta di dronte ai disastri ambientali e umani. I nostri viaggi sono ormai sotto un’ombra minacciosa, una costante opacità e dei sogni interrotti. Così il paesaggio non è più visibile e al centro del nostro vissuto l’inquietudine. Quando passeggiamo tra questi
corpi inanimi la luce che ne esce non è uniforme, le statue attraversano il tempo e il tempo altera la pietra e raccoglie al suo passaggio tutte le luci del mondo. L’ombra rappresenta l’inquietudine come una musica continua.”
Cosa racconti in questi scatti?
“Sono volti di sarcofagi o statue che vivono nelle necropoli o anche musei e parla o dell’uomo di fronte all’attualità, come fuori dal tempo nel senso che non c’è una rottura tra i secoli e paradossalmente l’antichità racconta la contemporaneità attraverso i volti scolpiti nelle pietre come nel marmo e nel bronzo. Passeggiando attraversi i secoli si costeggia l’intensità storica ed estetica ma in fondo si fotografa l’origine là dove l’inanimato prende vita, senza alcuna preoccupazione realista. La pietra racconta il paradosso della presenza effimera dell’umano e ad un tempo il segno che resta nel tempo, forse per sempre, una sorta di eternità in divenire. Al di là che si tratti di Delfi, Cartagine o Tuscania, c’è una dimensione universale della storia, nei teatri, nelle necropoli, nei templi, nei cammini di polvere o negli archivi che si sfogliano.
L’estetica ci permette di fare una pausa: la bellezza dei visi ferma il tempo e sa senso alla storia degli uomini. Ecco quello che racconto.”
L’interazione tra cinema e fotografia che ne è risultata è stata di piena soddisfazione e il Museo archeologico di Tuscania così come le altre amministrazioni hanno accolto con entusiasmo il progetto, così come il pubblico che ha apprezzato sia la mostra sia i collegamenti realizzati durante il festival, come ha sottolineato Francesco Moncerri.
Qual è il dialogo delle immagini con le proiezioni cinematografiche?
“Un vero dialogo dato che i film riportano problemi socio-politici, in sintesi la miseria del mondo. La Tunisia, dove abito è un paese che sta attraversando un periodo molto difficile e i film presentati raccontano lo stesso dramma.”
Qual è il valore del dialogo mediterraneo con la civiltà etrusca?
“Gli Etruschi sono un popolo così antico che sono presenti in tutti i
percorsi anche immaginari del mondo antico. Navigatori, eccellenti marinai, rivaleggiano con i Greci e i Cartaginesi. Tra scontri e i incontri rappresentano l’anima del Mediterraneo. Coloro che viaggiano, sono convinta, hanno un’implicita alleanza e con essi il fotografo che viaggia insieme. Il mare è il terreno di gioco che permette il dialogo, è un ‘ponte’, pontos, secondo una delle denominazioni greche del mare, un modo per far cadere le frontiere.”
Questa collezione si arricchisce con nuove immagini in continuità con quelle della mostra del 2020 a Roma?
“Certamente c’è una continuità della memoria delle pietre esposte al Colosseo di Roma e presentate nel libro apparso con Electa, Cartagine e Roma si incontrano, alle quali aggiungo nel mio viaggio Tuscania e Tarquinia. La sfida è rendere viva la pietra, costruendo una vera Odissea estetica e politica e mostrare la rovina come paesaggio universale del Paese alla deriva o in costruzione.”
Stai lavorando a qualche nuovo progetto?
“Continuare la storia delle statue, del corpo perduto, del corpo che si destruttura ma si ricostruisce nella statua e che continua a scrivere la storia, ad essere traccia delle civiltà passate e del quale è il cuore visibile della memoria.
Dopo una grande esposizione alla Galleria Violon Bleu a Sidi Bou Said, a Tunisi, che trattava lo stesso soggetto, spero di esporre a un festival fotografico dove al centro vi è la tematica del corpo e poi al Museo di Cartagine e a Firenze. L’idea è che la fotografia, la più recente delle arti, diventi testimonianza del passato rendendolo vivo.”
a cura di Ilaria Guidantoni