Al Mudec di Milano – spazio Mudec Photo – è allestita, fino al 3 luglio, la mostra dedicata al grande fotografo, prodotta da 24 ORE Cultura e promossa dal Comune di Milano–Cultura, che porta in Italia per la prima volta il progetto espositivo che racconta i due reportage fotografici cinesi che resero famoso Cartier-Bresson in tutto il mondo per il suo “istante decisivo” in fotografia, anche se, come ha sottolineato il Direttore della Fondation Henri Cartier-Bresson, François Hébel, il grande reporter non si riconosceva in questa dicitura, così come non voleva essere chiamato maestro.
Oltre cento stampe originali e una raccolta di documenti e materiali d’archivio per un excursus senza precedenti che racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Come ha sottolineato l’Assessore alla Cultura del comune di
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Milano, Tommaso Sacchi, questa mostra rientra nell’orientamento che Milano ha scelto di dare impulso alla fotografia, con una forte regia pubblica nel segno dello sguardo internazionale e di collaborazioni diverse. Il Museo delle culture mette così l’accento raccontando la storia di un esploratore che, attraverso la fotografia, ha raccontato da occidentale l’oriente. Tra l’altro l’inaugurazione dell’esposizione è stata l’occasione per la presentazione del nuovo direttore del Museo, Marina Pugliese.
Il Catalogo che riproduce il titolo della mostra, venduto esclusivamente in sede di mostra e
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pubblicato da Il Sole 24 Ore Edizioni, (20 euro) è a cura di Michel Frizot e Ying-Lung Su, realizzata in collaborazione con Fondation Henri CartierBresson. “Occhio del secolo” è definito Henri Cartier-Bresson (1908-2004), uno dei più importanti protagonisti culturali del ‘900, considerato il pioniere del fotogiornalismo. Eppure, come ha raccontato Hébel, è stato l’incontro fortuito con Frank Capa al Moma di New York dove Bresson era con una sua mostra, all’età di circa quarant’anni, ha portarlo su questa strada. Bresson era partito con una fotografia d’autore, quasi esclusivamente ritratti, abbracciando la poetica surrealista con l’ambizione di fare cinema. Fu rifiutato da Bunuel
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e scritturato da Renoir ma è Capa che gli propone di smettere di lavorare per i giornali e creare un’agenzia, la Magnum nel 1947, una cooperativa tra fotografi.
L’allestimento è diviso in due sezioni legate ai due viaggi e ai due periodi storici raccontati, con un taglio netto dato dal cambio del colore delle pareti: rosso lacca cinese, la prima parte; verde sequoia la seconda, ritmando un percorso con luci soffuse che impegnano il visitatore in un andamento lento e con lo sguardo che si ferma da vicino.
La mostra e la guida che l’accompagna riuniscono un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese. Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio del maestro Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale anche aspetti
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tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie. Legato al Partito comunista non entrò per le vie ufficiali in Cina e così ci ha documentato la storia non con i ritratti ufficiali ma riprendendo la gente comune. Nella prospettiva di un realismo incisivo, quanto poetica, l’uso del bianco e nero nelle sue fotografie gli permette di evidenziare la forma e la sostanza della realtà; non amando il bianco e nero e chiedendo di non stampare le sue foto a colore, sebbene non di distruggerle.
La mostra
Il 25 novembre 1948 la rivista Life commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai. Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare infine il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949). Col passare dei mesi, il suo racconto dello stile di vita cinese “tradizionale” e dell’instaurazione di un nuovo regime (Pechino, Hangzhou, Nanchino, Shanghai), realizzato con totale libertà d’azione, riscuote grande successo sulle pagine di “Life” e delle maggiori altre riviste internazionali d’informazione (compresa l’appena fondata “Paris Match”). Il lungo soggiorno di Cartier-Bresson in Cina segna una svolta nella storia del fotogiornalismo: l’agenzia Magnum Photos era stata fondata (con la partecipazione dello stesso Cartier-Bresson) diciotto mesi prima a New York, e il reportage cinese proponeva un nuovo stile, meno legato agli avvenimenti, più poetico e distaccato, attento tanto ai soggetti ritratti quanto all’equilibrio formale della composizione. Molte di queste immagini sono tuttora tra le più famose nella storia della fotografia (per esempio, il Gold Rush in Shanghai). A partire dagli anni Cinquanta, a seguito di China 1948-49, Cartier-Bresson diviene uno dei maggiori nomi di riferimento del “nuovo” fotogiornalismo e, in generale, del rinnovamento della fotografia. I volumi The Decisive Moment (Verve, 1952) e D’una Chine à l’autre (Delpire, 1954), con prefazione di Jean-Paul Sartre, lo confermano. Nel 1958, in prossimità del decimo anniversario di quel primo reportage, Cartier-Bresson si mette nuovamente in viaggio, stavolta in una situazione del tutto differente: per quattro mesi, obbligatoriamente accompagnato da una guida, percorre migliaia di chilometri in Cina per visitare luoghi selezionati, complessi siderurgici, grandi dighe in costruzione, pozzi petroliferi, paesi rurali “modello” sulle tracce del “Grande balzo in avanti” per documentare gli esiti della Rivoluzione e dell’industrializzazione forzata delle regioni rurali. Di tutto ciò, comunque, riesce a mostrare anche gli aspetti meno positivi: lo sfruttamento del lavoro umano, il controllo militare, l’onnipresenza della propaganda. Ancora una volta, il reportage China 1958 riscuoterà un grande successo editoriale, con pubblicazioni programmate su scala internazionale, durante la prima settimana del gennaio 1959. Supportato dalla reputazione dell’autore e dalla competenza di Magnum, segnerà in Occidente l’immagine della Cina di Mao fino agli anni Settanta.
a cura di Ilaria Guidantoni