Dal 17 marzo al 17 luglio a Palazzo Cipolla, a Roma, per la prima volta in Italia, la mostra
“LONDON CALLING British Contemporary Art Now”
From David Hockney to Idris Khan
50 anni di arte londinese raccontati attraverso 30 opere di 13 artisti di fama internazionale.
L’arte non ha tempo, l’arte dal paleolitico ad oggi ha mantenuto il suo valore universale. L’arte che cambia e diviene altro rappresenta la strada verso il futuro. L’uomo attraverso l’arte è vincente….
Queste parole sono del Prof. Emanuele Francesco Maria Emanuele, Presidente Fondazione Terzo Pilastro -Internazionale, che ha tenuto una breve conferenza stampa di presentazione della Mostra London Calling British Contemporary Art Now, appena inaugurata a Roma a Palazzo Cipolla.
Questa mostra, interamente dedicata all’arte contemporanea e figlia della “swinging London”, per la prima volta in Italia presenta una selezione assai diversificata di 30 opere appartenenti a 13 artisti di generazioni diverse e diverso stile e cifra artistica. Il comune denominatore tra tutti è LONDRA. Hanno tutti respirato l’aria di Londra, il fermento creativo della capitale britannica, ne hanno assorbito il dinamismo e l’anticonformismo.
Da Hockney a Scully, da Kapoor ai fratelli Chapman, da Hirst a Khan, gli artisti presenti in questa esposizione, tutti di età e provenienze diverse, nati o trasferiti a Londra in qualche momento della loro vita e carriera, hanno partecipato intensamente alle atmosfere di questa città che in qualche modo li ha formati insieme con la loro arte.
Vale la pena di riportare i commenti di alcuni di loro, il più ricorrente dei quali è “…non potrei vivere lontano da Londra, in un’altra città…” e “Londra è una città multiculturale, con differenti realtà e ciò è una caratteristica speciale di questa città” (Anish Kapoor) e “Londra è una città pericolosa e seducente, è una bella città e offre qualcosa a ciascuno. E’una città come un universo” (Sean Scully) e infine “Ho ascoltato per la prima volta London Calling dei The Clash quando avevo 16 anni. E’stato come il canto della sirena che mi ha attirato nella capitale” (Mat Collishaw). Tutti commenti che il critico letterario del Settecento Samuel Johnson aveva anticipato e condensato dicendo “Quando un uomo è stanco di Londra è stanco della vita”.
Quale è stato il ruolo di Londra nei confronti di questo parterre eccezionale e di altri artisti? Negli anni Sessanta Londra vive una fase di trasformazione economica e sociale che la rende una delle capitali indiscusse dell’arte contemporanea, ricca di famose scuole d’arte, musei, gallerie e istituzioni di prestigio che si contendevano gli studenti migliori e gli artisti di spicco. I Musei entravano in competizione organizzando le mostre più sensazionali, le istituzioni premiavano i migliori artisti e i collezionisti acquistavano le opere più importanti. Nascono movimenti come il New British Sculpture e lo Young British Artist (YBA) che raccoglieranno progressivamente i migliori talenti esistenti nella città e nel mercato dell’arte internazionale.
Prima di Londra altre città sono state palcoscenico di avanguardie artistiche, Firenze nel Rinascimento, Parigi con gli Impressionisti, New York e le sue fantastiche gallerie d’arte nella seconda metà del Novecento. Se Londra ha offerto nuovi orizzonti creativi e un crogiuolo, un melting pot, di gente e intelletti interessanti e vivaci, gli artisti hanno restituito il favore alla città contribuendo, con la loro stessa fama, a farne il fulcro del mondo dell’arte. E’ un ciclo che si alimenta da solo. Per avere successo a Londra un artista deve essere il migliore nel suo campo e tale eccellenza ha un impatto diretto sulla città elevandone gli standard così da garantire che sia solo l’arte migliore ad entrare nelle sue gallerie.
Questa mostra vuole presentare una selezione di artisti e dei loro lavori di quegli anni che sono riusciti a “sfondare” nonostante la spietata concorrenza e le cui opere sono o sono stati presenti nei più grandi musei e istituzioni artistiche del mondo.
Il percorso, di sala in sala, ci porta in un viaggio ideale che tende a condensare in una trentina di opere di artisti appartenenti a generazioni diverse, la storia dell’arte contemporanea europea e occidentale sia come sperimentazioni stilistiche che come ricerche concettuali.
Diverse le tecniche compositive: pittura, scultura, disegno, ceramica, fotografia, video, arazzi, installazioni e si spazia attraverso tutti i materiali possibili dal vetro al tessuto, dall’acciaio all’alabastro, inclusa una borsetta da donna e un vaso cinese decorato con i ritratti di Michael Jackson e Kurt Cobain (Grayson Perry 1960). E altrettanto vasta è la molteplicità dei temi espressi dalle opere: vita quotidiana, politica, religione, storia dell’arte, musica, violenza, l’essere umano, il rapporto tra vita e morte.
Degne di attenzione sono certamente le opere di David Hockney (1937), personalità descritta come giocosa e brillante, uno dei più importanti artisti del XX e XXI secolo. I suoi lavori sono realizzati su I-Pad e I-Phone e poi stampati in grandi dimensioni per esaltarne i colori. Nel 2018 il suo Portrait of an Artist è stato venduto all’asta da Christie’s a New York per 90 milioni di dollari, cifra record per un’opera di un artista vivente. Fama che può ben condividere con Jeff Koons e Jenny Saville.
Craig-Martin (1941), figura chiave della nuova generazione di artisti concettuali britannici, ha influenzato profondamente il movimento degli Young British Artist, promuovendo questa nuova corrente che ha spostato il centro dell’arte da New York negli anni Ottanta a Londra negli anni Novanta. Le sue opere indagano il rapporto tra oggetto e immagine. I lavori esposti in Mostra sono nati durante la pandemia e, quasi come un diario, rappresentano oggetti – come una siringa – divenuti familiari nella nostra vita quotidiana.
Sean Scully (1945) è un noto pittore astrattista e come i suoi amici e colleghi definisce la Londra degli anni Sessanta “il centro del mondo…un universo che si è formato in un tempo assai lungo ed è sulla cresta dell’onda da mille anni..” Nella sua serie Landline fa riferimento ai giorni della pandemia e utilizza blocchi di strisce e secondo il colore esprime inquietitudine e malessere.
L’ingegnoso Anish Kapoor (1954) apre la mostra con i suoi grandi dischi rossi Magenta Apple Mix 2, curiosi e inquietanti, che creano un impatto fisico sullo spettatore con il loro riverbero e le immagini capovolte.
Originale Yinka Shonibare (1962) che crea figure vestite con abiti del Sette e Ottocento ma realizzati con tessuti africani per sottolineare il fatto che vennero introdotti in Africa da mercanti olandesi alla fine dell’Ottocento. Nel tempo gli africani ne acquisirono la proprietà integrandoli nella loro cultura. Shonibare vuole riaprire un capitola della storia coloniale e del ruolo dell’Occidente nel creare miti sulla identità culturale.
Anche i fratelli Jake e Dinos Chapman (1966 e 1962) appartengono al gruppo dei Young British Artist. Provocatori con le loro opere denunciano ipocrisie e tabù collettivi. Esposto in mostra un giubbotto esplosivo fuso in bronzo “Life and Death Vest” e la serie di incisioni di Goya dell’Ottocento “Disastri della guerra” sulle quali i Chapman hanno aggiunto commenti sulla indifferenza ormai acquisita nei confronti della guerra e della violenza.
Il “Divo” Damien Hirst (1965) è stato l’organizzatore della famosa mostra “Freeze” del 1988 che ha lanciato il gruppo degli YBA Young British Artist. Anche lui esplora il rapporto tra vita e morte. In mostra una delle sue opere più iconiche Glen Matlock, dal nome del bassista inglese dei Sex Pistols, che rappresenta uno studio medico colmo di farmaci e oggetti sanitari. C’è la malattia e l’ansia, la morte e la fragilità del corpo umano.
Mat Collishaw (1966) è figura chiave dei YBA e lavora su installazioni affascinanti quanto ambigue. La sua scultura animata Seria Ludo è un enorme lampadario che ruota con 186 figure appese come fossero le classiche gocce di cristallo. Con la rotazione le figurine si agitano spasmodicamente in una danza scomposta, creando l’impressione di una scena orgiastica.
Annie Morris (1978) crea sculture colorate piacevoli a vedersi: una serie di ciottoli di diversa dimensione, l’uno sull’altro in precario equilibrio. Gli stessi pigmenti vengono utilizzati nei suoi disegni e arazzi che esplorano i temi della femminilità e maternità. Collabora anche con importanti marchi della moda.
Idris Khan (1978) è il più giovane tra gli artisti presenti in mostra e spazia tra pittura, scultura, fotografia e video e utilizza originali tecniche di sovraimpressione, riproducendo su timbri di gomma parole e frasi da lui scritte e riportate poi su vetro, con una ripetizione ossessiva, in più strati, addensate, rendendole illegibili. Tutti temi attinti a storia personale come a politica, musica e religione.
Questa mostra, conclude il Prof. Emanuele, grazie soprattutto alla Fondazione, si inserisce bene nel percorso di una programmazione studiata e organizzata negli spazi di Palazzo Cipolla, che vuole rappresentare le manifestazioni più significative dell’arte nel mondo in tutte le sue forme e attraverso tutte le epoche.
a cura di Daniela di Monaco