A cura di Danh Vo e Chiara Bertola, alla Fondazione Querini Stampalia Onlus a Santa Maria Formosa fino al 27 Novembre 2022 è allestito un trittico di arte contemporaneo con l’idea che il “significato” non sia una qualità dell’oggetto, ma qualcosa che gli diamo noi. Ciascuno di noi guarda infatti alle cose in modi diversi a seconda del proprio bagaglio, di quel che porta con sé. Così si crea la tensione tra gli oggetti ma anche tra le persone e gli ambienti con un effetto spiazzante, talora a contrasto, in altri casi in dialogo: a volte giocoso, surreale. Ca’ Querini Stampalia con l’intervento dell’architetto Carlo Scarpa a piano terra esprime il dialogo tra esterno e interno, acqua e terra, che è l’anima di Venezia: lo stile è molto riconoscibile, con la sua grammatica fatta di pieni e vuoti, la scala come elemento di congiunzione, in una modernità che mantiene la cifra del tempo. Il palazzo
fu terminato nel 1522 in stile rinascimentale, subendo vari rimaneggiamenti e simboleggia l’idea di Venezia, Repubblica fondata sulla famiglia, legata profondamente all’aristocrazia le cui vicende private hanno determinato poi la storia della città. I Querini nel 1413 diventano conti dell’isola di Stampalia nel Dodecaneso, in Grecia; poi l’isola fu conquistata dei Turchi e nell’Ottocento il cognome Stampalia fu aggiunto al primo. Fondazione Querini Stampalia, in collaborazione con White Cube, ha invitato l’artista danese vietnamita Danh Vo a curare insieme a Chiara Bertola, responsabile del programma d’arte contemporanea dell’istituzione, un progetto espositivo in occasione della Biennale di Venezia di quest’anno. Le sue opere, insieme a quelle dello scultore statunitense di origini giapponesi Isamu Noguchi e del pittore coreano Park Seo-Bo, instaurano un complesso dialogo tra di loro all’interno degli spazi di questo straordinario edificio. Il gioco è il contrasto molto forte tra le opere contemporanee e la storia che si respira attraverso la collezione della Fondazione Querini Stampalia, messa a disposizione di tutti con la nascita della Fondazione nel
1869. Il complesso impianto architettonico spalanca continue finestre sul tempo. Ogni piano segnala una nuova epoca nella quale si sono iscritti, sovrapposti o cancellati i diversi momenti della storia della famiglia e dell’istituzione. Lo spazio, audace e umile a un tempo, è un’esperienza labirintica che mostra gli esuberi, gli eccessi, le sovrapposizioni, con gesti minimali o grandiosi, delle generazioni che vi si sono susseguite. Danh Vo entra nella Fondazione mediante una porta laterale e i suoi passi seguono un sottile percorso concettuale con i ritratti. L’artista ha creato luci e pareti temporanee, agili strutture che indicano una strada e al contempo mostrano l’evoluzione dello
spazio. Relazionandosi con la preziosa raccolta di arte antica della Fondazione e della Collezione Intesa Sanpaolo, Vo realizza ritratti fotografici dei fiori nel giardino di Vo a Güldenhof – il suo studio e fattoria a nord di Berlino – nei giardini di Pantelleria, della Danimarca, del Friuli e di Siviglia. Le fotografie sono scattate con lo smartphone, le immagini sono stampate a colori con i nomi latini scritti in bella calligrafia a matita dal padre dell’artista, Phung Vo. Questi lavori trasmettono una delicata soggettività e rievocano le pagine di un’enciclopedia. Emigrato dal Vietnam e ora cittadino danese, Phung partecipa ai rituali di sistematizzazione dell’Occidente appropriandosi
delle sue parole. In una nuova serie di sculture realizzate a Murano, Venezia, Vo ha utilizzato degli stampi di legno dismessi per creare una colata di vetro finale. Le costruzioni in legno di pero – carbonizzate, deformate, con fissaggi rotti – avrebbero dovute essere scartate, ma Vo, affascinato dalla loro forma e dall’idea che una parte così vitale del processo di fabbricazione del vetro venga raramente esposta, ha deciso di portarle in mostra. Nel presentare questi stampi deformati e alterati insieme ai loro calchi imperfetti, Vo riflette sul rapporto tra funzione e bellezza attraverso questa forma d’arte secolare. Negli spazi della Fondazione Querini Stampalia, Vo introduce un’ampia selezione di lampade di carta Akari, dal giapponese “luce”, dell’artista Isamu Noguchi, che illuminano gli oggetti e le decorazioni tutt’intorno e diventano esse stesse il centro della percezione. Il lavoro di Noguchi comporta un tipo di scultura sociale che può essere applicata universalmente, fondata sull’idea della natura come elemento di fondamentale importanza per la condizione umana. Le sue iconiche lampade, concepite nel 1951 nel corso di un viaggio a Hiroshima, richiamano le lanterne chochin giapponesi e sono influenzate dall’estetica del design americano. La loro struttura in carta, ricavata dall’albero di gelso, si presta alla creazione di una moltitudine di forme differenti ed è un esempio lampante della capacità di Noguchi di connettere tradizione e modernità. Park Seo-Bo è ampiamente riconosciuto come iniziatore del movimento artistico coreano Dansaekhwa. Minimalista e monocromatico, questo influente movimento del dopoguerra si allinea al Modernismo occidentale nella rinuncia al pittorico. Piuttosto che tentare una rottura e un ripudio del passato, tuttavia, Dansaekhwa ha cercato una connessione con la storia attraverso pratiche culturali come la calligrafia e l’uso della carta Hanji e attraverso tradizioni spirituali tra cui il taoismo, il confucianesimo e il buddismo. La pratica meditativa di Park raggiunge il minimalismo non attraverso la riduzione, ma attraverso la stratificazione e l’accrescimento, tramite azioni ripetute e sostenute. Il raffinato vocabolario materico e gli idiomi calligrafici di Park sono in sintonia sia con le lampade di carta ‘Akari’ di Noguchi che con la calligrafia di Phung Vo.
Oltre ad essere una sede museale, la Fondazione Querini Stampalia è una delle biblioteche di riferimento della città. Non è una coincidenza quindi che Danh Vo porti qui il suo lavoro come una sorta di archivio vivente che cambia ogni volta che lo espone. Vo, Noguchi e Park Seo-Bo sono ospiti e intrusi che alterano le nostre percezioni di oggetti e opere che altrimenti sarebbero fissi e ordinati. Ogni opera illumina lo sguardo di chi è capace di vedere. Forse è vero anche il contrario: ogni sguardo porta all’opera una scintilla di luce e di vita.
a cura di Ilaria Guidantoni