L’ultimo nastro di Krapp, una delle opere più enigmatiche di Samuel Beckett (1906-1989), maestro del teatro dell’assurdo, è tornato in scena con Giancarlo Cauteruccio allo spazio Dialma di La Spezia il cui direttore artistico, Andrea Cerri, ci parla di questa innovativa realtà.
Seduto al tavolo davanti a un obsoleto magnetofono, osserviamo un uomo di circa 70 anni circondato da una miriade di scatole contenenti altrettanti nastri che ascolta ora pensoso ora commentandoli sommessamente. A risuonare è la sua stessa voce di 30 anni prima alla quale fa seguire una nuova registrazione: è un rituale che si ripete a ogni suo compleanno. L’ultimo nastro di Krapp, la pièce scritta da Beckett nel 1957, fu pubblicata l’anno successivo (in Italia solo nel ’69), lo stesso della prima rappresentazione al Royal Court dove a interpretarla era l’attore Patrick Magee, irlandese come l’autore che, dopo averlo sentito leggere alcune pagine da Molloy, uno dei suoi testi letterari, lo volle come protagonista dell’atto unico. Seguita al successo di Aspettando Godot e prima di Giorni felici, anche quest’opera tratta il tema del rapporto tra l’essere umano e il tempo, ma qui gioca sul registro del tragico e del faceto. Comprendiamo che l’uomo di 30 anni fa era uno scrittore pieno di entusiasmo per la vita, convinto di essere all’alba di una folgorante carriera alla quale era disposto a sacrificare l’amore e le passioni, mentre in scena vediamo ora un fallito in balia della disillusione che, sentendosi vicino alla morte, insulta quel giovane alter ego e irride se stesso nell’insistere a voler cercare di dare un senso all’esistenza. Ci si aspetterebbe dunque di vederlo disperato, invece Beckett lo dipinge come una sorta di clown (peraltro figura sempre divisa tra
comicità e malinconia, ironia e autoironia) che se non arriva al naso rosso, si concede però la gag da circo della scivolata sulla buccia di banana. Non a caso Krapp ha in inglese lo stesso suono di crap, sterco nell’accezione concreta e porcheria, robaccia, in quella astratta. Lo attende l’ultima registrazione, quella che precederà la morte o meglio la fine, nel concetto più strettamente beckettiano.
Sulle nostre scene a cimentarsi con il complesso personaggio è stato nel 1961 Glauco Mauri che utilizzò poi alcuni spezzoni registrati allora per la ripresa del ’91. Sergio Fantoni, alla vigilia di un’operazione alle corde vocali, incise la sua bellissima voce, usandola poi nella struggente interpretazione nel ’98, una volta diventato quasi completamente afono. E’ da quasi vent’anni che Giancarlo Cauteruccio, uno dei principali esponenti della nostra postavanguardia teatrale e fondatore con Pina Izzi della compagnia Krypton, poi sfociata nel Teatro Studio Krypton dal ’91 attivo a Scandicci, frequenta Krapp e ogni suo ritorno in scena è un’occasione per approfondire e cercare di decrittare questo enigmatico capolavoro. Tale è l’identificazione col personaggio che oggi è difficile immaginarlo recitato da un altro attore: vestito di un abituccio scuro, ineffabile nella sua camminata calzando stivali pitonati da cow boy, ammiccante nello sbucciare le due banane trangugiate golosamente, dolente nel ricordo di un tempo perduto, Cauteruccio, anche regista, dà corpo imponente e voce (la traduzione è quella di Carlo Fruttero) a un individuo che assurge a simbolo universale, miscelando nostalgia e sconforto a una sotterranea vitalità.
L’occasione di rivederlo (e di ricordargli poi il suo indimenticato Picché mi guardi se tu si masculo, visto anni fa al teatro Belli di Roma nell’ambito della rassegna Garofano Verde, dedicata alla drammaturgia lgbtq+) l’abbiamo avuta al Dialma, il Cantiere Creativo Urbano operante a La Spezia. Il suo cartellone è in parte programmato anche al teatro degli Impavidi di Sarzana e questi due poli s’intrecciano in una stagione intitolata Fuori Luogo che privilegia la drammaturgia contemporanea e gli artisti votati alla ricerca e all’innovazione, senza però trascurare proposte più mainstream con nomi di grande richiamo. Quella numero 12 porta il nome Spillover. Abitare la selva e tra i suoi prossimi appuntamenti ricordiamo, ad esempio, Tavola tavola, chiodo chiodo, uno spettacolo di e con Lino Musella, basato sui carteggi di Eduardo De Filippo alle prese con l’edificazione del “suo” teatro San Ferdinando a Napoli (14 e 15 gennaio agli Impavidi) e il doppio appuntamento con l’ensemble di Babilonia Teatri che presenta Mulinobianco e Pietre nere, scritti e diretti da Enrico Castellani e Valeria Raimondi (20 e 21/1 al Dialma). Nell’insieme una stagione che da ottobre a maggio comprende 25 spettacoli tra i quali uno internazionale al suo debutto in Italia (il 22 aprile il francese Olivier de Sagazan in Transfiguration ), 3 in prima italiana e 25 in prima regionale . A seguire TUTTA LA VITA DAVANTI – Festival di teatro per vecchi del futuro (20-28/5)e infine a giugno FISIKO! Festival internazionale di azioni cattive.
Si è detto di questa sinergia tra La Spezia e Sarzana che tra i suoi pregi ha quello di attrarre e fidelizzare un pubblico assai giovane: la sua meritoria realizzazione è opera degli Scarti, Centro di Produzione e Innovazione, da poco insignito dal Ministero come TRIC (Teatro di Rilevante Interesse Culturale) alla cui guida, con la consulenza di Renato Bandoli, c’è il direttore artistico Andrea Cerri, il più giovane (37 anni) tra i direttori di un teatro stabile italiano. Lo incontriamo al Dialma dove, in un’atmosfera effervescente che vede gli spazi occupati da corsi di musica, teatro e danza con larga partecipazione degli spezzini, gli chiediamo di farci conoscere la sua formazione e le origini questa significativa realtà che, pur lontana dalle grandi città, ha saputo conquistare stima e riconoscimenti in ambito nazionale.
“Il mio background viene solo parzialmente dallo spettacolo dal vivo, avendo iniziato già dalle scuole superiori come musicista e animatore culturale per varie organizzazioni che si occupavano della diffusione di eventi culturali, ma il mio successivo percorso di studi mi ha portato alla laurea in scienze politiche internazionali, seguita da un dottorato in storia economica e finanziaria con una tesi sulla storia bancaria americana. A seguire ho fatto un master in business administration e ho lavorato per un periodo nell’ambito del web marketing. Nel 2007, in parallelo al dottorato, a Sarzana ho fondato con alcuni amici l’Associazione Culturale Scarti, trasferitasi poi alla Spezia, che proprio quest’anno è stata riconosciuta Centro di Produzione e Innovazione della Liguria, diventando il terzo ente teatrale ligure dopo il Teatro della Tosse e il Teatro Nazionale di Genova. In quegli anni Scarti iniziava a realizzare diversi progetti e a prendere sempre più del mio tempo: a un certo punto ho capito che dovevo scegliere tra la carriera universitaria o se proseguire con quella realtà e ho scelto la seconda, decidendo di seguire workshop di organizzazione teatrale al fine di acquisire strumenti per creare in un territorio molto difficile come questo una struttura teatrale. Dopo una serie di produzioni amatoriali, la vera entrata nel professionismo è stata nel 2011 con lo spettacolo Ubu Rex che avuto recensioni positive ed è approdato a noti festival come Kilowatt a Sansepolcro, uscendo così dall’ambito regionale e mettendoci a contatto con diversi artisti.”
Sorge spontaneo il chiedersi perché l’Associazione è stata chiamata Scarti. “Proprio perché nascendo in questo territorio complicato ci sentivamo un po’ emarginati da un sistema sia culturale locale che anche dalle traiettorie nazionali della cultura e del sistema teatrale. E’ una parola ambivalente: scarto come cambio di stato che si può fare all’interno di un percorso artistico ma anche il gesto del calciatore che scartando l’avversario trova nuove strade. Non ultimo contiene la parola “arti”: c’era infatti chi si occupava di arti visive, chi di musica e chi di teatro. Penso ci abbia portato fortuna, infatti dopo Ubu Rex nel 2011/12 abbiamo inaugurato la prima stagione di Fuori Luogo, con l’intento di non obbligare chi voleva vedere lavori di bravi e amati artisti ad andare a Milano, Genova o Firenze ma di dare un’opportunità di goderseli nella loro città. Tra i primi abbiamo avuto Danio Manfredini, Sotterraneo, Roberto Herlitzka e altri nell’ambito della sperimentazione e del nuovo teatro che volevamo far conoscere. Dopo breve tempo abbiamo registrato un vero boom di spettatori che trascuravano il teatro Civico, d’impronta più tradizionale, per venire da noi. Un’altra svolta importante è avvenuta nel 2015 quando siamo entrati nel sistema del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) come impresa di produzione under 35, in un triennio supportato finanziariamente che ci ha spinto, pur mantenendo la nostra linea, a non produrre più soltanto gli spettacoli del nostro nucleo artistico interno ma a sostenere compagnie, spesso giovani come noi, che andavamo a scovare nei festival e nelle rassegne: sono così nate relazioni che durano tuttora come quelle con le compagnie Frosini Timpano, Astorri/Tintinelli, Vico Quarto Mazzini, FRigoproduzioni e ScenaMadre. Nel triennio successivo siamo passati a impresa d’innovazione, arrivando poi quest’anno ad essere riconosciuti al pari di un teatro stabile a iniziativa privata, deputati a fare sia programmazione che produzione di spettacoli. Facendo un passo indietro, un altro importante giro di boa è stato nel 2019 quando, attraverso un bando pubblico abbiamo preso in gestione il teatro degli Impavidi di Sarzana, assumendoci così la responsabilità di dirigere un teatro comunale con un pubblico e una capienza diversi. Oltre a dover creare uno staff e una struttura organizzativa più solida, abbiamo avuto così l’opportunità di incontrare una fascia di spettatori più mainstream e popolare anche se cerchiamo di non tradire la nostra linea originale, quella di proporre delle sfide che generalmente sono ben accolte.”
Sappiamo che oltre a queste due attività principali vengono realizzati anche numerosi progetti sul territorio. “Sì, sono curati da Enrico Casale ed è quello che per noi è teatro sociale. Utilizziamo il Fondo Sociale Europeo e quello di Europa Creativa per iniziative che coinvolgono le fasce a rischio e di emarginazione come quello con i ragazzi disabili; un altro opera all’interno del carcere della Spezia nell’ambito di un’iniziativa a livello nazionale chiamata Per aspera ad astra che si avvale della regia di Armando Punzo, infine altri per gli studenti delle scuole superiori, inerenti sia alla gestione di laboratori teatrali e d’impronta più tecnica, come disegno luci e scenotecnica, sia quelli di critica teatrale dove due gruppi di ragazzi, uno a la Spezia e l’altro a Sarzana, visionano alcuni spettacoli, intervistano gli artisti e producono un giornalino con le recensioni. Tutto questo lavoro viene fatto per una comunità che frequenta questi luoghi che spesso dai laboratori viene poi ad assistere gli spettacoli e viceversa. Altro nostro obiettivo è quello di far trovare agli artisti un pubblico preparato che sceglie e sa bene cosa viene a vedere, oltre alla cura degli aspetti che riguardano la loro permanenza, alla ricerca di un clima positivo che faccia stare bene sia loro che gli spettatori, senza però rinunciare a interrogarsi sul nostro presente.”
www.fuoriluogoteatro.it www.associazionescarti.com
a cura di Mario Cervio Gualersi