La mostra Venturino Venturi, materie 1941-1981
a cura di Lucia Fiaschi, con il supporto scientifico dell’Archivio Venturino Venturi e con il Patrocinio del Comune di Firenze, sarà allestita alla Galleria Il Ponte di Firenze dal 28 gennaio fino al 17 marzo 2023, un’occasione per riscoprire e rivalutare un artista che ha resistito alla storia che come diceva Renato Natali è uno dei pochi italiani con il piglio internazionale, che è stato un po’ messo da parte forse per il suo carattere schivo, ombroso, i suoi disagi psicologici, il non essere accademico né schierato. Non amava le etichette, non si considerava né astratto né figurativo ed era solito ripetere che l’arte non ha aggettivi; era dotato di una forte spiritualità e del senso profondo della maternità, della creazione della natura e dell’arte. Il suo amore più forte era certamente il genere umano che lo appassionava e per questo riteneva il ritratto molto importante, un modo di entrare in contatto intimo con l’altro. In mostra ci sono il ritratto della sorella e del pittore Sergio Scatizzi, del 1965, ricavato da un tronco di legno ancora visibile, quasi come un burattino, giocoso, potente insieme, per certi aspetti moderno e quasi infantile e per altri una sorta di busto romanico. Alla scultura romanica ed etrusca deve molto e il richiamo è ad autori come Marino Marini, ma anche Brancusi. La scultura è stata la sua grande passione e anche nel disegno trasferisce un gesto incisivo,
possente, che rende tridimensionale e dinamico, quasi cinetico il lavoro (lui stesso definirà cinetiche alcune sue carte). Il titolo della mostra, che ripercorre quarant’anni di attività, ha il focus sulla materia e sulla sua insaziabile voglia di sperimentare anche se è la pietra che predilige, come in una Maternità che è una sorta di incisione, essenziale, modernissima e ancestrale ad un tempo.
Con questa mostra la galleria Il Ponte riallaccia la relazione iniziata con Venturino Venturi dal padre del gallerista Andrea Alibrandi, Vincenzo nella sede di San Giovanni Valdarno, che espose più volte le sue opere a partire dal 1966 al 1974 e con cui aveva collaborato alla realizzazione di un ciclo di oltre trenta opere grafiche, tra acqueforti e bulini, nel 1972. Anche ad ArteFiera a Bologna la galleria presenterà una personale dell’artista con l’intenzione di aprire una finestra sull’esposizione fiorentina per rilanciare l’artista presso il grande pubblibo.
L’intento è quello di ripercorrere attraverso un sintetico numero di opere salienti, il lavoro dell’artista dal 1941 al 1981, quarant’anni di sperimentazione su innumerevoli materiali,
attraverso i quali Venturino trovò un suo percorso solitario e autonomo, anche se tangente con numerose istanze artistiche del tempo.
Nel Ritratto della madre (1941), come in numerosi altri ritratti realizzati fra gli Anni ’40 e ’50, il cemento diventa materia plasmata e patinata, fino a perdere la sua rudezza, che riaffiora invece in opere in pietra serena come Minatore (1949), scabro, ruvido; in bronzo come Ventre (1954) o in cemento Le Mani (1976), che con la loro superficie scabra e una forte compattezza strutturale affrontano con intensità lo spazio. In mostra anche Elan dans l’espace, gesso colorato dalle forme geometriche realizzato per la Biennale di Venezia del 1950.
Questa forza emergente nella scultura, si fa corpo vibrante nel suo inesausto lavoro su carta. Qui, partendo dall’idea del monotipo, la materia dell’olio è stesa su tavola o cemento, su questa viene adagiata la carta per poi essere lavorata dal retro. Il colore nero, rosso e talvolta blu, trasferito attraverso la pressione dello strumento o dalle mani, è esaltato dal segno rude dello scultore, che dal retro incide la carta come fosse pietra. Ne risulta una materia pittorica di un ricco spessore e in questo, si rivela la dimensione della profondità. Profondità e luminescenza che inattese si rivelano anche in un nucleo di opere realizzate a china direttamente su tavole non preparate.
In occasione della chiusura della mostra, verranno presentati i due volumi: Venturino Venturi, Scritti
1936-1974, a cura di Lucia Fiaschi e Nicoletta Mainardi, Editore Gli Ori, Pistoia, 2023 e Venturino Venturi, Catalogo generale dell’opera, a cura di Bruno Corà, Editore Gli Ori, Pistoia, 2023. Il senso del processo creativo di Venturino è riassunto nel vocabolo “materia”, quella sostanza di cui sono fatti gli oggetti sensibili, esistente in sé, esistente nello spazio e perciò capace di assumere una forma la cui struttura è però discontinua e particellare così che ciascun corpo di materia è costituito da complesse organizzazioni legate tra loro da forze intense. Avvicinandosi istintivamente alla materia Venturino ne comprende intuitivamente la sostanza più vera e si rende conto che quella forza di coesione che permette, nel mondo fisico, di tenere insieme le innumerevoli particelle che costituiscono il corpo materico è la presenza nell’universo della volontà creatrice che è continua e consapevole. Il primo approccio intuitivo, agli inizi della sua meditazione – poiché tutto il percorso creativo di Venturino si può riassumere nel vocabolo meditazione – lo ha condotto a trasferire la forza di coesione espressa nella umana sostanza dei soggetti scelti nei sassi scolpiti o nei cementi modellati nella forma dei ritratti di familiari e di amici con un percorso di grande spiritualità. Si è poi avviato verso una sempre più meditata consapevolezza che l’arte possa farsi canale privilegiato di quella immensa forza di coesione che tiene insieme l’universo, quella forza creatrice continua e incessante che nell’incipit del Vangelo di san Giovanni è, in greco, il logos e per noi il verbo o la parola. Soltanto così possiamo comprendere la straordinarietà del lavoro di Venturino e cessare di interrogarci sul perché abbia scelto composizioni di estremo rigore formale tutte declinate nel segno astratto e contemporaneamente la figura di più rigorosa declinazione. La forza della coesione che tiene insieme ogni particella dell’universo e lo rende possibile, almeno per quanto è dato a noi intendere, è per Venturino la
forza della creazione continua e così ha potuto modellare un Ventre che è una forma globulare, le Maternità di universale ampiezza e le numerose icone del Cristo, esempio sublime di quella perenne forza creatrice che si manifesta, per la nostra esperienza umana e sensibile, con la presenza del Cristo nella storia. Venturino, più volte richiesto, sempre si è espresso con icastica pregnanza rispondendo alle più varie sollecitazioni con frasi quali io nasco appena che ad ascoltatori distratti può apparire di ineffabile ingenuità, e che invece è la sintesi del suo pensiero al culmine del raggiungimento della ardua via della meditazione che con sovrumana costanza ha percorso – sintesi potente del continuo processo creativo in atto ogni istante di vita dell’universo e della nostra presenza in esso.
Chi è Venturino Venturi
Nasce il 6 aprile 1918 a Loro Ciuffenna, in provincia di Arezzo, da Attilio e da Primetta Gori.
Nel 1921 il padre, socialista, è costretto a lasciare l’Italia e a riparare nel nord della Francia. Stabilitosi nella cittadina lorenese di Etain Meuse, viene raggiunto dalla moglie e dai tre figli in tenerissima età, mentre Rina, la più piccola, nascerà a Etain nel 1923. Esperto scalpellino, Attilio si mette a capo di una piccola impresa di intagliatori molto richiesti per la decorazione lapidea di edifici pubblici e privati. L’impresa Venturi ben presto trasferisce la propria sede in Lussemburgo, a Esch sur Alzette. In Lussemburgo Venturino frequenta il corso degli studi sino al conseguimento, nel 1936, del diploma di formazione tecnica. L’orizzonte europeo sarà molto importante anche se grazie al padre, Venturino coltiverà l’italiano, formandosi su Pinocchio e la Divina Commedia, come la sua lingua. Deciso a proseguire gli studi – già da ragazzo prende passione alla scultura, un po’ per l’esempio del padre, un po’ per sua profondissima inclinazione personale – valuta la possibilità di frequentare l’Accademia d’Arte della vicina Germania, ma la situazione politica, con Hitler saldamente al potere, e la nostalgia per la natìa Toscana che aveva imparato ad amare grazie al padre, suscitano nel giovane il desiderio di avvicinarsi ai luoghi che avevano visto nascere ed operare i grandi artisti del passato: Donatello, Michelangelo, Masaccio, tutti «nati a pochi passi da casa mia», come ebbe a scrivere più volte. La passione per la scultura lo porta così a scegliere come sede formativa superiore Firenze, città in grado in quegli anni di proporre insegnamenti di qualità nell’ambito artistico.
Studia prima presso l’Istituto d’Arte di Porta Romana e poi frequenta l’Accademia delle Belle Arti sotto la guida di Bruno Innocenti. L’ottima conoscenza del francese e del tedesco gli consentono di frequentare la comunità internazionale e gli studenti stranieri, come la scultrice svizzera Priska von Martin, alla quale Venturino si lega sentimentalmente e lo scultore Hans Josephsohn.
Frequenta lo storico caffè delle Giubbe Rosse, ritrovo di artisti e letterati, dove conobbe Ottone Rosai, Vasco Pratolini, Alessandro Parronchi, Mario Luzi, Carlo Bo, Piero Bigongiari, Eugenio Montale, Enrico Pea, Giuseppe Ungaretti e molti altri.
Risalgono agli anni della sua prima formazione i ritratti di Ottone Rosai del 1938 – oggi nella collezione del Museo Venturino Venturi a Loro Ciuffenna – e l’Autoritratto del 1939 – oggi nelle Gallerie degli Uffizi.
Nell’agosto del 1940 viene chiamato alle armi e inviato in Albania. Le doti di abile disegnatore suggeriscono al Comando Militare di impiegare il giovane per la stesura di mappe destinate al rilevamento del dispiegamento delle truppe nemiche; per la qualità del suo lavoro Venturino viene decorato, riconoscimento che, benché si dichiarasse avverso ad ogni tipo di militarismo, ha molto caro per tutta la vita. La postazione ove aveva trovato riparo con pochi compagni viene centrata in pieno da una bomba d’obice e Venturino è il solo superstite. Tratto in salvo, viene trasferito in Italia dove inizia una lunga degenza presso l’Ospedale di Careggi a Firenze.
Riesce, nonostante la gravissima ferita che lo costringe a ripetuti interventi chirurgici, a partecipare ad alcune importanti rassegne nazionali. Tra il 1940 e il 1943, i suoi lavori vengono esposti a Bologna, a Milano e a Firenze.
Nel 1945, a pochi giorni dalla liberazione della sua città, allestisce la sua prima personale nella Galleria La Porta, dove espone sculture, dipinti, bozzetti e disegni, sintesi dei suoi primi dieci anni di intensissimo lavoro. La mostra viene accolta con ampio plauso e sono molti coloro che sulla stampa festeggiano la nascita al mondo di un vero artista.
Nel 1947 lascia Firenze per Milano, dove conosce gli artisti più versati nelle nuove ricerche formali, tra i quali Lucio Fontana, che lo invita ad aderire al Manifesto dello Spazialismo. A tale invito Venturino oppone un deciso rifiuto, convinto che scegliere di aderire ad uno schieramento – anche se ne condivideva pienamente i presupposti – lo avrebbe condotto a definire la propria ricerca che lui intendeva in continuo divenire. Il biennio 1947- ‘49 è comunque ricco di riconoscimenti. Vince nel 1948, a Milano, il premio Emilio Gariboldi per la scultura con Autoritratto in pietra, partecipa al concorso per il premio Forte dei Marmi, vince il premio St. Vincent.
I primi Anni Cinquanta lo vedono molto presente a Firenze, dove esegue il ritratto di Fiamma Vigo, traccia della sua frequentazione della galleria Numero per la quale espone nel 1948.
Nel 1950 è invitato alla Biennale di Venezia.
Nel 1953 Venturino partecipa al concorso internazionale per un Monumento a Pinocchio, bandito a Collodi di Pescia. Con gli architetti Renato Baldi e Lionello De Luigi presenta il progetto per una piazzetta cinta da un muro con la faccia interna coperta dalla superfice musiva e che secondo il progetto originario avrebbe dovuto vedere al centro la svettante figura di un Pinocchio alto cinque metri nella funzione di straordinario gnomone atto, con l’ombra proiettata, ad indicare lo svolgersi delle storie che si dipanano sul muro interamente coperto di tessere musive. Venturino vince il primo premio ex aequo con lo scultore Emilio Greco e a questi viene assegnata la scultura, mentre a Venturino e agli architetti la piazza.
Dal 1954 al 1956 vi lavora senza sosta e la piazza, inaugurata nel maggio del 1956 dall’allora presidente della repubblica Giovanni Gronchi, nonostante fosse incompleta a motivo dell’assenza della figura di Pinocchio – una chiara senza tuorlo – ebbe a scrivere Alessandro Parronchi, appare subito originale e innovativa, sia per la tecnica utilizzata, sia per l’impianto narrativo, con la storia di Pinocchio raccontata attraverso un libero gioco di rimandi fantastici. Cade in depressione e, inaugurata la piazza, Venturino viene ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico di San Salvi, dove vive due anni e dove per fortuna gli viene permesso di usare i pastelli e tempere, tra le sue opere più significative, sui quali l’artista riproduce spesso la figura di Pinocchio trasfigurandola in un’effige umana gravida di tutti i dolori del mondo.
Nel 1959 riprende la propria attività partecipando alla Quadriennale di Roma, mentre l’anno successivo la Galleria La Strozzina di Firenze gli dedica un’importante antologica per la cura di Mario Bergomi.
Nel 1961 Carlo Ludovico Ragghianti presenta i Monotipi al Gabinetto Disegni e Stampe dell’Università di Pisa.
Gli Anni Sessanta lo videro partecipare a rassegne nazionali ed internazionali: nel 1961 è di nuovo in Lussemburgo, a Schifflange, dove realizza una Crocifissione musiva nella zona absidale della locale chiesa parrocchiale.
Nel 1962 partecipa alla III Biennale Internazionale di Scultura di Carrara e, nel 1963, alla Mostra Mercato Internazionale di Arte Contemporanea di Palazzo Strozzi a Firenze, per la quale disegna il manifesto. Sono anche gli anni di importanti opere pubbliche, tra cui il Monumento per le Vittime del Nazismo del 1963 in Piazza Tasso a Firenze.
I successivi Anni Settanta trascorrono tra la realizzazione di opere monumentali e un’intensa attività espositiva in gallerie private e presso istituzioni pubbliche. Tra le più importanti sculture di impianto monumentale si ricordano San Francesco e la lupa di Arezzo del 1973, e il Monumento alla Famiglia Umana per la Resistenza di Loro Ciuffenna del 1978.
Gli Anni Ottanta si aprono con il Monumento ai Caduti di tutte le guerre di Chitignano (Arezzo) e l’importante mostra antologica di San Giovanni Valdarno del 1983, cui segue nel 1988 la mostra tenutasi ad Arezzo e dedicata in gran parte alla sua produzione grafica.
Il 4 luglio del 1991, alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano, viene inaugurato a Castelnuovo dei Sabbioni (Arezzo) il grande murale voluto dall’allora Sindaco di Cavriglia Enzo Brogi, che richiama i valori del lavoro, della libertà e ricorda l’eccidio nazifascista perpetrato a quella comunità nel luglio del 1944. Nel 1993 viene inaugurato il Museo Venturino Venturi di Loro Ciuffenna; nel 1999 venne allestita nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze un’importante mostra antologica. Nel 2002, pochi giorni prima della scomparsa, un nucleo significativo delle sue opere viene esposto a Palazzo Strozzi nell’ambito della rassegna Continuità. Arte in Toscana 1945-1967.
Anche gli ultimi anni della sua vita lo vedono attivo tanto che l’ultimo suo lavoro lo vuole dedicare alla tragedia dell’11 settembre. Venturino muore il 28 gennaio 2002: una strana coincidenza con l’apertura della mostra alla Galleria Il Ponte, che è anche la data di nascita dell’amata sorella.
Dal 2004 è attivo l’Archivio Venturino Venturi, che ha sede nella casa-atelier che appartenne allo scultore nel paese natale di Loro Ciuffenna. L’Archivio è attualmente impegnato nella catalogazione generale dell’opera dell’artista. Opere di Venturino si trovano in importanti collezioni pubbliche e private italiane e straniere e nei seguenti musei: Museo Venturino Venturi di Loro Ciuffenna, Museo del Duomo di Prato, Museo della Grafica di Pisa, Galleria degli Uffizi di Firenze, Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Contemporanea di Arezzo, Musei Vaticani, MNHA di Città del Lussemburgo, Museo di Arte Sacra di Milano.
a cura di Ilaria Guidantoni