Anemos, come il soffio vitale in greco, da cui “anima”, questo il titolo dell’ultima fatica del regista fiorentino Fabrizio Guarducci, editore e scrittore, che sta girando l’Italia per una serie di anteprime; la colonna sonora originale è di Pino Donaggio; prodotto da Matteo Cichero e Fabrizio Guarducci; doppiaggio di Stefano Spiti; costumi di Esterh Musatti; trucco di Mary Samele; Segretario Edizione Loris Arduino; suono di Andrea Pasqualetti; montaggio di Paolo Marzoni; interpreti Vincent Riotta, Giorgia Wurth, Mark Fiorini, Alessio Di Clemente, Sebastiano Somma, autore che abbiamo già incontrato con Guarducci ne La sconosciuta e che qui interpreta “l’uomo dalle spalle larghe”, quasi una reincarnazione di Platone medioevale.
Il titolo coglie nel segno del film, il soffio vitale che è dono divino, che presiede l’anima, racconta il contenuto della storia, spirituale, il cammino stesso verso la spiritualità come tensione naturale, irrinunciabile dell’essere umano e la scelta della parola greca. A dispetto del fatto che è girato in inglese, il film infatti non è solo uno slancio in avanti quanto un cammino a ritroso nel tempo verso le origini della civiltà mediterranea. La scelta del regista appare chiara fin dall’inizio e certamente coraggiosa, un film ‘inattuale’, non ammiccante, che non cerca consensi, provando a intercettare un bisogno più che nascosto sepolto, di verità. La linea è quella platonica-cristiana lontana però dall’istituzione Chiesa, dal potere temporale, come ben evidenzia la vicenda dei Catari che largo spazio ha nel film. Un lavoro che accoglie con immagini mozzafiato dove natura e spazio, quindi allusione alla dimensione realistica, empirica
ed onirica convivono e le musiche di Pino Donaggio che diventa un linguaggio e una voce del film stesso. Nondimeno è decisamente complesso anche se non troppo cerebrale, con una miriade di simboli disseminati e riferimenti storico-filosofici molto precisi. Resta però un film che può essere visto a vari livelli, non accademico e non escludente, nello spirito stesso di quello che racconta.
La narrazione parte dalle esigenze di una madre di rispondere ai dubbi di suo figlio, sul mistero della vita, che ci fanno considerare, attraverso i suoi occhi, personaggi che nel corso della storia hanno avuto lo stesso dilemma: la ricerca del divino al di fuori di ogni risposta dogmatica. Durante il percorso si evidenziano le esperienze individuali di filosofi, monaci, profeti, mistici, lo
stesso Gesù, fino ad arrivare a quelli che, secondo Guarducci, si sono avvicinati maggiormente ad una risposta certa: i Catari, perché la ricerca del Divino era un fatto sociale e non individuale e questo si rifletteva su una società giusta ed egualitaria in cui tutti i beni erano in comune. Anche qui la scelta è marcata, la verità è quella del cuore, non esatta, cartesiana. L’anello di congiunzione è Benedetto da Norcia che ha lasciato la comunità religiosa per ritirarsi umilmente in una grotta, per distaccarsi e cercare quella scintilla divina, che poi ha condiviso con tutti i suoi seguaci. Per agevolare la narrazione e svilupparla in senso visuale il regista rappresenta il vento, Anemos, come metafora di questa ricerca che, come il Divino si sente, ma non si vede; se non per gli effetti che causa.
Al regista Fabrizio Guarducci e al produttore Matteo Cichero abbiamo chiesto: Come nasce
l’idea di questo film, evidentemente ‘didattico’ più che narrativo?
“In realtà questo film è narrativo, lo scopo è quello di aiutare le persone a cercare il divino e toccarlo non solo a sentirne parlare.”
Perché la scelta dell’ambientazione tra contemporaneità e Medioevo, con alcuni rimandi al mondo greco in un effetto distopico?
“Rispondo con un saggio di S. Weil: i Catari e la civiltà mediterranea, in cui sogna di ritornare ad una concezione culturale greca.”
Perché la centralità del messaggio è affidata ai riferimenti al platonismo nonché ad alcuni elementi pitagorici, e ai Catari in particolare?
“Riallacciandosi alla risposta di prima tutta la nostra cultura occidentale si è formata su quella greca”.
Perché la scelta allora di girarlo in inglese?
“Per ragioni pratiche, così da poter abbracciare un pubblico internazionale”.
I.G.