Clicca qui sopra per rivedere il video del Caffé di BeBeez del 28 giugno
Dopo la grande pulizia dei bilanci bancari dalle sofferenze, il focus dei nuovi flussi si è spostato sugli UTP e sui pre-deteriorati ed è lì che la collaborazione tra credit servicer specializzati da un lato e banche e investitori dall’altro può fare una grande differenza. Non solo. Anche sul fronte delle performance delle cartolarizzazioni di NPL con GACS potrebbero esserci spazi di miglioramento se a gestirle ci fossero più servicer con esperienze di gestione focalizzate.
E’ quanto è emerso dal Caffé di BeBeez dedicato a Credit servicer alla sfida di un mercato tutto nuovo. Le soluzioni vincenti oggi per banche e fondi, che si è tenuto mercoledì 28 giugno a Milano ed è stato offerto da Fire, servicer italiano indipendente di crediti deteriorati, con 19 miliardi di euro di asset in gestione a fine 2022 (si veda altro articolo di BeBeez).
Tracciando il quadro del mercato per introdurre la discussione al Caffé di BeBeez, Gabriele Guggiola, partner Strategy Financial Services, PwC Italy, ha detto: “Dopo il grande lavoro di pulizia dei bilanci, le banche italiane sono ormai in sicurezza e Il processo di derisking ha portato a uno spostamento degli NPE dal bilancio delle banche a quello degli Investitori: dello stock di 347 miliardi di euro di NPE a fine giugno 2022, 279 miliardi si trovano ora sui libri degli investitori” (si vedano qui le slide di presentazione di PwC). Ma ha aggiunto: “Se oggi i flussi di nuovi crediti deteriorati non sono più così rilevanti, l’attenzione è invece per i cosiddetti crediti Stage 2 che per le banche significative in Italia rappresentano uno stock di circa 190 miliardi di euro, pari al 12% degli asset. Una percentuale che è molto più alta di quella che vediamo in altri paesi europei, dove però lo stock è ben più elevato, per esempio in Francia e in Germania”. Più nel dettaglio, ha sottolineato ancora Guggiola, dall’analisi condotta da BCE su oltre 100 banche europee significant, è emerso che a fine 2022 erano registrati a bilancio circa 1400 miliardi di euro di crediti Stage 2, di cui in Francia 468 miliardi (pari al 9,8% del totale dei crediti) e 203 miliardi in Germania (9,8%).
Quanto a quest’anno, ha detto ancora il partner di PwC, “nel primo trimestre in Italia si è assistito a una riduzione degli Stage 2 sui libri delle banche, ma si è trattato soprattutto di un fenomeno tecnico, perché, terminate molte moratorie, parte delle aziende hanno inziato a pagare quanto dovuto e quindi sono state riclassificate tra i creditori performing, mentre altre non lo hanno fatto e sono quindi uscite dalla classificazione Stage 2 a seguito del default. Sarà interessante ora vedere quante aziende del primo gruppo saranno in grado di continuare a mantenere fede ai loro pagamenti, vista l’attuale situazione macroeconomica”. Per questo motivo, ha concluso Guggiola, “a mio parere è necessario che le banche mantengano un’elevata focalizzazione sull’individuazione di strategie di gestione dedicate sul pre-
deteriorato, considerando l’aumento atteso dei tassi di default per il 2023-2024“.
Proprio sul pre-deteriorato Fire ha una storia alle spalle. Sergio Bommarito, ceo e fondatore di Fire, ha ricordato che “Fire ha 30 anni e all’inizio gestivamo solo i crediti delle finanziarie e poi quelli delle utility, perché le banche ancora non avevano iniziato a esternalizzare la gestione dei deteriorati. La nostra specializzazione iniziale è stata quindi proprio su crediti granulari e pre-write off. E’ stato poi in un momento successivo che, per seguire il mercato, abbiamo creato una nuova business unit dedicata alla gestione delle sofferenze. Quindi direi che oggi siamo avvantaggiati, perché il mercato è principalmente orientato alla gestione di crediti granulari e UTP, oltre che alla prevenzione dello scivolamento a deteriorato dei crediti Stage 2. E’ importante che il cliente sia gestito sin dal primo ritardo nel pagamento e quindi è proprio in quella fase che diventa cruciale lo scambio di informazioni tra banche e servicer, con un flusso di dati continuo in entrambe le direzioni”.
“E’ un fatto che oggi il sistema bancario non parli più di debitori, ma di clienti con difficoltà che hanno vissuto la crisi pandemica e poi l’innalzamento repentino dei tassi di interesse nonché il contesto inflazionistico. Il ruolo del servicer nel rapporto con la banca quindi deve ora essere focalizzato, più che sul recupero, sul supporto alla gestione del credito in ottica di re-performing. L’obiettivo è aiutare il cliente a tornare in bonis, avendo presente la sua situazione di credito complessiva, quindi non la sola linea per la quale è emerso il problema, ma la complessiva esposizione con la banca e nel quadro dell’intera esposizione verso tutti i suoi finanziatori”, ha sottolineato Gianluca De Martino, Head of Group Distressed Asset Management di UniCredit. E il modo per raggiungere questi obiettivi, ha aggiunto De Martino, è quello di “affidarsi sempre più a servicer specializzati in precisi segmenti di mercato che hanno cioé gli strumenti migliori per gestire diversi tipi di portafogli sia in termini di tecnologia, e quindi recupero e gestione dei dati, sia in termini di persone, professionisti in grado di approcciare i clienti e trovare con loro la soluzione alla loro difficoltà. Diverso è infatti dover gestire un portafoglio di posizioni medio-grandi verso controparti corporate rispetto a un portafoglio più granulare di crediti verso clienti retail o piccole e medie imprese. E poi è ovviamente diverso gestire portafogli NPL da portafogli UTP. Non solo. Anche il tipo di settore industriale richiede specializzazione e infatti, non a caso, nel tempo noi come altre banche sin dal 2015 abbiamo siglato partnership con servicer per gestire specifici segmenti di portafogli così come abbiamo costituito fondi ad apporto che gestissero delle nostre grandi posizioni UTP corporate, supportati da servicer e da investitori specializzati in precise industry, come ad esempio lo shipping o il large real estate”.
Come già anticipato a BeBeez Magazine lo scorso 4 marzo (pag. 10), proprio Fire ha in rampa di lancio un fondo UTP ad apporto, che punta a una raccolta di circa 300 milioni di euro, che verrà sviluppato insieme a una sgr e in partnership con delle banche che da un lato cederanno i loro crediti al fondo e dall’altro investiranno in quote del fondo. Ha spiegato Bommarito: “Il nostro ruolo come servicer in questo progetto sarà fondamentale, perché il nostro track record è la specializzazione nella gestione di crediti granulari e proprio di questi si occuperà il fondo. Il nostro compito sarà quello di condurre le due diligence sui portafogli e stabilire una curva di incassi. Se sbagliassimo, sarebbe un problema per le banche che sono gli investitori del fondo”.
E sul tema della partnership tra banche e servicer nella gestione di grossi portafogli di NPE è intervenuto anche Cristiano Matonti, Group Head for the Derisking Strategy, Intesa San Paolo, che ha detto: “In questi anni abbiamo ceduto 45 miliardi di euro di crediti deteriorati in 50 operazioni, ma lo abbiamo potuto fare anche grazie al supporto di servicer specializzati con i quali abbiamo costituito delle partnership di lungo periodo sia sul fronte NPL sia su quello UTP. Su quest’ultimo fronte ricordo che del totale di 45 miliardi di cessioni, 11 miliardi hanno riguardato proprio UTP, di cui la stragrande maggioranza verso controparti corporate con size di gross book value medio-grandi”. E ha aggiunto: “Noi come molte altre banche abbiamo fatto insomma una grande opera di de-risking e i nuovi flussi a deteriorato sono sotto controllo. Per questo non credo che d’ora in poi ci saranno grandi spazi per vedere nuove grandi partnership tra banche e servicer per esternalizzare la gestione dei deteriorati. C’è però il tema degli Stage 2 e lì, se è vero da un lato che le banche difficilmente ne esternalizzeranno la gestione, è possibile supporre che alcune potranno avvalersi del supporto dei dataset delle competenze verticali dei servicer e della loro tecnologia per poterli gestire in modo tale da evitare che si trasformino in non performing”.
Il tema della specializzazione non riguarda comunque soltanto il mondo UTP e pre-deteriorato. “A proposito di GACS, penso che se ci fossero stati più servicer specializzzati incaricati di gestire ogni GACS, allora le performance sarebbero state migliori. Ogni servicer ha il suo DNA ed è bravo a gestire particolari tipi di portafogli e non altri”, ha sottolineato Bommarito, aggiungendo: “Il problema è anche legato alle commissioni. I servicer vengono pagati in base a una commissione provvigionale media, che per alcuni tipi di portafogli non è sufficientemente remunerativa, per cui spesso il servicer non può investire come dovrebbe nella gestione”.
Sul tema della specializzazione dei servicer Paula Lichtensztein, senior representative del team structured finance di Scope Ratings, intervenendo al Caffé di BeBeez a proposito delle cartolarizzazioni di NPL e in particolare di quelle con GACS, ha detto: “Vediamo che ci sono servicer molto capaci sul mercato unsecured e altri sul mercato secured. In particolare sul mercato unsecured alcuni servicer hanno portato strategie innovative e impostato una macchina di recupero molto diversa dai competitor e questa esperienza può dare un grande spinta in termini di risultati e di performance”. A proposito di performance delle cartolarizzazioni, Lichtensztein ha ripreso quanto già emerso dall’ultimo report pubblicato da Scope Ratings (si vedano altro articolo di BeBeez e qui le slide di presentazione di Scope), precisando che “a oggi nell’80% delle operazioni la profittabilità, calcolata in termini di valore dei recuperi rispetto ai costi, si è rivelata in media inferiore del 10% rispetto alle aspettative originali di Scope. Mentre a livello di tempistica dei recuperi rispetto alle tempistiche attese dai servicer in base ai loro business plan, circa metà delle operazioni sta perfromando al di sopra delle aspettative, quindi hanno recuperato più velocemente del previsto, mentre un’altra metà sta sottoperformando. Le operazioni che stanno andando meglio sono quelle che si sono chiuse più recentemente e questo perché i business plan dopo la pandemia sono stati costruiti in maniera più conservativa ma anche perché nei primi anni di gestione è spesso possibile incassare cash in court e più facile trovare accordi stragiudiziali con i debitori su alcune posizioni, con la conseguenza appunto che i recuperi possono battere le previsioni”. A oggi, ha sottolineato ancora Lichtensztein, “i business plan sono costruiti sotto ipotesi di recuperi giudiziali ma c’è un buon 30-40% di recuperi che proviene da accordi stragiudiziali e anche da vendita di sottoportafogli. In particolare nel 2022 i servicer hanno fatto molto affidamento sulle vendite, mentre quest’anno c’è stato un calo significativo di ricorso a questa strategia, probabilmente a fronte dell’aumento dei tassi di interesse che ha portato gli investitori ha chiedere uno sconto importante sul prezzo, rendendo meno interessante per i servicer fare cassa vendendo i crediti”.
E, sempre a proposito di alti tassi di interesse, “c’è un tema di impatto potenziale sulle performance”, ha avvertito ancora Lichtensztein. Ricordiamo infatti che tutte le operazioni con GACS sono attrezzate con strutture derivate di copertura dal rischio di tasso, ma che queste strutture sono studiate sulla base dei business plan originari dei servicer e quindi, nel caso in cui un’operazione non rispetti più la tempistica di recupero originale, ci possono essere dei mismarch e le strutture di hedging diventano insufficienti a coprire le maggiori spese derivanti dai tassi in aumento combinati con i saldi in sospeso delle note più elevati del previsto. “Per ora l’impatto dell’aumento dei tassi sulle strutture è ancora contenuto, per cui non abbiamo preso nessuna decisione sui rating”, ha comunque precisato Lichtensztein (si tema si veda anche altro articolo di BeBeez). E’ anche vero, però, che “già oggi ci sono alcune operazioni che stanno sottoperformando in maniera importante e quindi in prospettiva esiste la possibilità che venga sostituito il servicer, nella speranza che il nuovo servicer sia in grado di estrarre valore dove il vecchio non è stato in grado, altrimenti alla peggio si dovrà riscuotere la GACS. In ogni caso siamo ancora lontani da questa eventualità”.
Tornando al tema della specializzazione, questo si sposa con la tecnologia. Il lavoro di analisi e gestione dei portafogli granulari di crediti ha detto ancora Bommarito, “è possibile soltanto se il servicer è dotato di tecnologie adeguate alla ricerca di dati sempre aggiornati relativi ai singoli clienti, che vanno analizzati su tutte le loro posizioni da quella sul mutuo a quelle di conto corrente e carta di credito. Noi gestiamo oltre 4 milioni di posizioni all’anno tra conto terzi e conto proprio. Un numero così grande non è approcciabile senza un sistema informatico di supporto e senza matematici, statistici, ingegneri gestioniali che siano in grado di analizzare i dati. Non a caso abbiamo una divisione di ricerca e sviluppo specializzata. Negli ultimi tempi abbiamo investito 4,5 milioni di euro nello sviluppo di un sistema predittivo che ci permetta di capire, interagendo con il cliente, se ci sta prendendo in giro oppure no, e di trovare il modo comunicativamente più efficace per arrivare a una soluzione e convincerlo al pagamento. Il sistema è in fase sperimentale e ha già dato risultati”.
Quanto all’utilizzo del fintech, De Martino ha sottolineato: “Anche le banche hanno i loro modelli predittivi, ma sono prevalentemente focalizzati sul performing. I segnali predittivi sono diversi a seconda della fase di deterioramento del credito. Per il mondo non performing sono proprio i servicer che possono subentrare a supporto della banca, in particolare nella fase di credito UTP o anche immediatamente prima. Compito del servicer è quello di migliorare per la banca la conoscenza, con strumenti alternativi, dei clienti che sono entrati in una fase nuova di criticità e trovare soluzioni specialistiche a supporto del piano di reperforming”
Ma la tecnologia e lo sviluppo di advance analytics richiedono investimenti rilevanti e, ha ricordato ancora Matonti, “è necessario quindi che i servicer che vogliono affermarsi o consolidare la propria leadership debbano avere la capacità di continuare a sostenere tali investimenti. Per questo è ragionevole supporre che ci saranno nuove aggregazioni tra i servicer, dato che si tratta di un’industria con professionailtà molto alte, ma ancora molto frammentata. Peraltro c’è anche un tema normativo che spingerà verso le aggregazioni, visto che la direttiva europea in arrivo porterà con sè il rispetto di una serie di requisiti di infrastruttura e di governamce difficilmente sostenibili dai soggetti più piccoli. Non solo. L’m&a tra i servicer sarà spinto anche dal fatto che alcuni dei principali servicer italiani sono controllati da private equity, i quali per definizione a un certo punto dovranno uscire dai loro investimenti”.