articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 16 del 23 dicembre 2023
parte dell‘inchiesta di copertina Debt arranger, m&a in vista
di Giuliano Castagneto
“Sinora i minìbond collocati sui portali di crowdfunding sono stati sottoscritti per oltre il 90% da investitori istituzionali di varia natura, in primis le banche e i confidi, e solo residualmente dagli investitori che in passato venivano definiti dalla normativa wealthy retail. Grazie alla nuova normativa europea prevedo nel tempo un graduale ribaltamento di queste percentuali”. A parlare è Leonardo Frigiolini, fondatore di Frigiolini &Partners, tra i principali advisor e arranger di minibond, anche di breve durata, per le pmi italiane, cui fa capo la piattaforma di equity e debt crowdfunding Fundera, che ha condotto una quindicina di campagne di raccolta anche nel 2023, e quasi 100 dal 2020 a oggi.
Ed è anche questo il motivo alla base dell’accordo, chiuso solo pochi giorni fa, con un’altro leader del crowdfunding italiano, CrowdFundMe, grazie al quale la piattaforma guidata da Tommaso Baldissera Pacchetti estenderà al proprio network di investitori la possibilità di sottoscrivere i minibond collocati su Fundera. Un accordo, di natura esclusivamente commerciale, che, secondo quanto risulta a BeBeez Magazine, è maturato in tempi estremamente rapidi, circa un mese, e dovuto al bisogno di CrowdFundMe di consentire alla propria base di sottoscrittori un accesso al mondo dei minibond. Ma invece di sviluppare da zero una funzione apposita, come ha fatto per esempio Opstart con Crowdbond, si è preferito “esternalizzarla” accordandosi con Fundera, in modo simile a quanto fatto con Trusters per il crowdfunding immobiliare, dove però in quel caso c’è stato anche uno scambio azionario (si veda qui il comunicato stampa).
Alla base del ribaltamento di prospettiva a cui accenna Frigiolini, ci sono da un lato la crescita del mercato del debt crowdfunding e dall’altro l’adeguamento della normativa di riferimento. Spiega Frigiolini: “Anzitutto il Regolamento UE 2020/1503 del 2020 entrato in vigore lo scorso 10 novembre rappresenta un cambio di marcia perché ha schiuso alle aziende le porte sia degli investitori retail (che prima non potevano sottoscrivere minibond, se non dotati di risorse finanziarie significative), sia degli investitori esteri, rispetto ai quali le imprese Italiane, oltre a incarnare in molti settori l’eccellenza del made in Italy (meccatronica, food, turismo, moda, design…), potrebbero pagare interessi appetibili, in quanto da sempre abituate a pagare alle banche interessi molto più elevati rispetto alla media europea”. E poi, aggiunge Frigiolini, “negli ultimi anni tanti investitori privati hanno scoperto il crowdfunding e oggi si ritrovano una normativa che, tutelando l’investitore, può rendere il minibond un’asset class di ampia diffusione. Questo porterà a una riduzione del taglio unitario dei minibond, che sarà più appetibile per gli investitori retail”.
Ma ci saranno abbastanza aziende per soddisfare questa domanda? Risponde l’arranger: “Manca ancora una giusta consapevolezza degli imprenditori. Credo però che fra 5-10 anni moltissime aziende attingeranno l’acqua da due pozzi: il primo sarà sempre la banca, il secondo sarà il mercato, totalmente separato e indipendente dal primo, costituito da un’ampia platea di investitori. Per quanto ci riguarda, possiamo dire che questo allargamento di orizzonte si intravvede già perché Fundera oggi ha oltre 120 aziende in attesa di collocare minibond, il maggior numero di questi ultimi anni”.
Una cosa da evitare saranno però le trappole tese dall’intrico di norme italiane spesso in contraddizione tra loro. “Va fatta attenzione a questi bizantinismi perché una buona norma europea deve funzionare anche in Italia senza il rischio di inciampi sul percorso. Un esempio è quello delle srl italiane, le quali contrariamente alle omologhe europee possono far sottoscrivere i propri bond solo agli intermediari soggetti a vigilanza, cioè in primis le banche. Ora, se per allentare la dipendenza da queste ultime è stata regolamentata l’emissione dei minibond, ma poi questi devono essere offerti solo alle banche, beh forse c’è un corto circuito. Con il rischio che siano le società estere a raccogliere fondi presso i risparmiatori italiani. Si dovrà quindi lavorare per evitare pericolosi arbitraggi normativi proprio a danno dell’economia italiana” conclude l’arranger genovese.