La Galleria Il Ponte di Firenze inaugura la stagione primaverile con la personale dell’artista cinese scomparso di recente, Hsiao Chin, in programma fino al 3 maggio, accompagnata dal testo critico di Michele D’Aurizio. La mostra è una retrospettiva sintetica che riunisce 16 opere su tela e su carta dal 1960 al 1998 dell’artista al quale la galleria aveva dedicato una mostra con solo opere su carta, già nel 1998 e prima ancora, nel 1993, aveva esposto delle incisioni a colori.
Questa mostra intende offrire l’occasione non solo di rincontrarne l’opera, quanto di avviare un più acceso dibattito sulle storie globali dell’arte italiana.
Oltre a una selezione di dipinti realizzati da Hsiao negli anni di Punto, ne raccoglie le successive evoluzioni: dalle esplorazioni della forma del mandala tibetano dei tardi anni Sessanta alle incursioni nella pittura Hard Edge dei primi Settanta (Hsiao soggiorna brevemente a New York nel 1969) fino alle immaginifiche evocazioni di fenomeni meteorologici degli anni Ottanta, vere e proprie traduzioni della forza della natura in energia cromatica, fino agli ultimi, magniloquenti esperimenti gestuali, un ritorno alle origini calligrafiche dell’astrattismo orientale.
Nelle sue opere le pratiche spirituali dell’Oriente si coniugano perfettamente con le sperimentazioni artistiche dell’Occidente. Se da un lato i suoi dipinti possono far pensare a una pagina scritta in cui l’artista fa appello alla simbologia orientale, realizzando un messaggio fatto di segni sottili, quasi ideogrammi, cui si alternano forme geometriche evocatrici di significati atavici e condivisi (cerchi, quadrati, spirali…); dall’altro le audaci scelte cromatiche, cariche di energia, e le pennellate talvolta frenetiche e sfavillanti, talaltra più liquide e calibrate, appaiono “occidentali”, lasciando a tratti intravedere un Rothko, un Matisse, un Malevich.
Per lo più, sono in mostra opere che vanno dal 1961 al 1964 divise tra opere su tela in acrilico e gouache su carta riso, di grande suggestione.
Quello di Hsiao Chin è un percorso estremamente personale. Il terreno sul quale cresce è quello di una famiglia agiata con un padre fondatore del primo Conservatorio in loco.
Formatosi nell’habitat artistico cinese, dove partecipa alla fondazione del primo gruppo di Astrattismo cinese, TON-FAN, alla metà degli anni Cinquanta giunge in Europa, prima in Spagna dove ha rapporti con i maggiori esponenti dell’Informale spagnolo, quali Tapies, Saura, Millares, dal quale però si distacca presto. Entra così in contatto con tutte le recenti esperienze informali europee e con la vivacità prorompente dell’Espressionismo astratto della nascente New York School.
“Hsiao”, come scrive Michele D’Aurizio, “riconosce immediatamente un’affinità tra la sua pittura e l’Arte Informale. Anzi, nel vocabolario gestuale di quest’ultima rintraccia il terreno di una possibile ibridazione tra tradizioni estetiche occidentali e orientali. Tuttavia, i riferimenti, spesso indebiti, di molti pittori informali all’arte calligrafica orientale lo spingono a riscoprire le motivazioni filosofiche che storicamente animarono i letterati cinesi. I suoi quadri si popolano di segni prelevati dalla simbologia taoista e resi fortemente materici dall’uso della pittura a olio”.
Nel 1958 compie il suo primo viaggio in Italia e l’anno successivo espone proprio a Firenze, alla Galleria Numero di Fiamma Vigo. Si trasferisce poi a Milano, dove frequenta il milieu artistico della città, con personaggi quali Fontana, Manzoni, Castellani, e conosce Giorgio Marconi, con cui inizia un lungo rapporto di collaborazione, molto stimolante.
Il colore è alla base della pittura di Hsiao Chin. I suoi dipinti si costruiscono con i colori, che sono sempre puri, decisi, privi di incertezze, come lo è d’altra parte il gesto. La sua esecuzione è rapida, priva di ripensamenti, la costruzione dell’immagine così semplificata da non ammettere esitazioni. Il controllo dell’atto pittorico è totale. Il gesto è unico, irripetibile, frutto di una lunga e profonda meditazione, che rivela come le sue radici affondino nella cultura, e nella tradizione orientale. La superficie dell’opera è il luogo dove si rivela l’accadimento e ogni singolo gesto è un evento che definisce e determina lo spazio, conferendogli senso.
Nel 1961, con Antonio Calderara e Kengiro Azuma, Hsiao fonda il movimento Punto a cui aderiranno altri artisti di varie nazionalità. Attraverso un serrato programma di mostre, gli artisti di Punto rielaborano l’estetica informale interpretando l’azione del dipingere come una forma di meditazione e ricerca dell’armonia perfetta tra microcosmo del sé e macrocosmo del “grande tutto”, del tao. “In questi anni”, scrive ancora il critico D’Aurizio, “i quadri di Hsiao, che ora si riappropria della tecnica dell’inchiostro su carta di riso, sono strumenti di quell’indagine, articolati in due o più figure di forme e colori complementari che, galleggiando su uno sfondo monocromo, tentano di controbilanciarsi a vicenda, così come, nella filosofia taoista, le due opposte espressioni cosmiche dello yin e dello yang si controbilanciano nel vuoto attivo dell’inazione del soggetto di fronte ai fenomeni mondani”.
Hsiao entra in dialogo con i maggiori esponenti di movimenti artistici coevi a Punto, dallo Spazialismo alle Nuove Tendenze, mettendo in discussione il sostrato scientista e produttivista del tardo modernismo europeo e anticipando i diffusi riferimenti alle filosofie orientali dell’arte degli anni Settanta, basti pensare a massime boettiane di ascendenza zen come “mettere al mondo il mondo” o “dare tempo al tempo”.
Negli anni Settanta è l’ambiente newyorkese ad avere una certa influenza su di lui, in particolare la Minimal ma anche il Pop, con colori a campiture decise, linee e figure geometriche, che sembrano però perdere la spiritualità dei periodi precedenti; e l’Oriente con i suoi riferimenti al Tao, si sente più lontano.
Gli anni Ottanta sono caratterizzati dalla grande energia cromatica che resta perfino durante la decade successiva quando attraversa un periodo doloroso, dopo la perdita della figlia appena ventitreenne, cominciando così a riflettere sulla vita e la morte con opere quali La soglia e Verso il giardino eterno, incisioni nelle quali però, forse per il colore squillante, non si avverte la tragicità. Viene spontaneo chiedersi se sia diversa la raffigurazione della morta, della meditazione esistenziale tra Oriente e Occidente.
Hsiao Chin è un artista che raggiunge il successo anche con quotazioni di mercato significative. “Eppure”, fa notare D’Aurizio, “la storiografia dell’arte italiana ha spesso relegato l’esperienza milanese di Hsiao a un epifenomeno, irrilevante a confronto degli scambi interculturali intrattenuti tra artisti europei e statunitensi”.
Chi è Hsiao Chin
Per questo artista l’arte è un percorso di crescita e conoscenza, un viaggio spirituale attraverso il tempo e lo spazio, che va al di là di qualsiasi limite geografico e culturale. Hsiao Chin nasce a Shanghai nel 1935 e, dopo i primi studi d’arte, nel 1956 partecipa alla fondazione del gruppo Ton-Fan, che raccoglie pittori di tendenza astratta. Grazie a una borsa di studio istituita dal governo spagnolo si reca a Madrid e a Barcellona, dove nel 1957 ha la prima personale e una collettiva dedicata al gruppo Ton-Fan. Alla fine degli anni Cinquanta si stabilisce a Milano, dove inizia a esporre regolarmente da Giorgio Marconi. Nel 1961, insieme ad Antonio Calderara, fonda il movimento Punto, al quale si aggiungono membri dell’avanguardia internazionale. Con esiti vicini alla pittura della colorfield abstraction, le sue tele presentano stesure di colore fluido che si dispongono in superfici incorporee e vibranti, animate dall’energia interna dei campi cromatici. Dopo lunghi soggiorni a Londra, Parigi e New York torna a Milano nel 1971 e inizia a dedicarsi all’insegnamento (prima all’Istituto Europeo di Design, poi all’Accademia di Belle Arti di Brera). Nel 1988 lo Studio Marconi gli dedica una prima grande retrospettiva. L’anno seguente inizia la serie Dalla primavera di Pechino al massacro di Tiananmen, ispirata ai drammatici eventi del 1989, mentre il ciclo La grande soglia, che realizza a partire dal 1990-‘91, nasce da una riflessione sulla vita e sulla morte dopo la scomparsa della figlia Samantha.
Tra le principali esposizioni degli ultimi anni vanno ricordate le retrospettive di Taichung (1992), Taipei (1995), a Milano nel 2002 presso lo Spazio Oberdan, la Fondazione Mudima, Giò Marconi e la galleria Lattuada; al National Museum of Art di Beijing (2006) e alla Triennale Bovisa di Milano (2009). Nel 2011 l’Académie Royale des Beaux-Arts e il Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Liegi gli dedicano una grande mostra. Nel 2012 è al Taipei Fine Arts Museum, nel 2013 alla Fondazione Marconi con la mostra Hsiao Chin. Opere su carta. Negli anni seguenti continua a svolgere un’intensa attività espositiva in Italia e all’estero. Tra le mostre più recenti figurano: Hsiao Chin. Un viaggio attraverso l’universo alla galleria Robilant & Voena di Milano nel 2015, la personale Hsiao Chin. The Universe Energy alla Die Galerie di Francoforte nel 2016, Hsiao Chin Coming Home retrospective exhibition presso il China Art Museum di Shanghai nel 2018. Nel 2019 fa una mostra personale Les Couleurs du Zen: Peintures de Hsiao Chin, presso il Musée national des arts asiatiques-Guimet di Parigi, nel 2020 In my beginning is my end: the art of Hsiao Chin al Daugavpils Mark Rothko Art Centre a Daugavpils e The Artist As Astronaut: Hsiao Chin nel 2021 presso l’Art Museum di Beijing.
Hsiao Chin è venuto a mancare il 30 giugno 2023.
Il prossimo appuntamento fiorentino che ci accompagnerà da maggio all’estate sarà con la retrospettiva del greco Kostas (o Costas) Tsokles (o Tsoklis) che torna in galleria dov’era stato esposto nel 2019.
a cura di Ilaria Guidantoni