Fino al 7 luglio al Museo d’arte Mendrisio è di scena la personale di Enrico Castellani, distribuita sui 600 metri quadrati del Complesso dei Serviti, a cura di Barbara Paltenghi Malacrida, direttrice del Museo di Mendrisio, Francesca Bernasconi e Federico Sardella, direttore artistico Fondazione Castellani.
Realizzata in collaborazione con la Fondazione Enrico Castellani, è una retrospettiva che riunisce 60 opere che abbracciano l’intera carriera dell’artista.
Dipinti, superfici a rilievo, opere su carta, installazioni, sculture, stampe e un’intera sezione documentaria , con alcuni inediti, sono presentati nel percorso espositivo con pertinenza cronologica attraverso le sale, ciascuna delle quali è dedicata a un momento specifico della ricerca di Castellani. L’iniziativa si avvale del sostegno della Banca del Sempione, del contributo della Repubblica e Cantone Ticino, Fondo Swisslos, e della media partnership di RSI Rete 2.
L’ampia antologia di Enrico Castellani (1930-2017) offre spunti nuovi sul suo percorso artistico grazie anche a un ampio video introduttivo. Opere varie, di qualità eccelsa, che celano un lavoro di ricerca tra collezioni private e grandi gallerie e alcune originalità.
Soprattutto colpisce l’allestimento così calibrato e adattato agli spazi museali che rendono emozionante la visione dei lavori attraverso un ritmo cadenzato, luci soffuse e puntuali che uniscono l’aspetto della suggestione a quello didattico e una successione che si distende come una partitura.
Il Museo di Mendrisio conferma la sua vocazione non main streaming con una ricerca sempre originale anche nella presentazione e in questo caso sceglie un artista mai esposto in precedenza sul suolo nazionale.
Elegante il Catalogo con saggi di Federico Sardella, Ester Coen, Fulvio Irace e Paolo Bolpagni, edito da Edizioni Casalgrande in italiano e in inglese, che presenta nuove riproduzioni di tutte le opere esposte e cinque saggi incentrati su aspetti specifici dell’opera e della vita di Castellani.
Ester Coen analizza gli inizi della sua carriera e l’esperienza di Azimut/h, Paolo Bolpagni gli aspetti musicali delle sue composizioni, Fulvio Irace riflette sul rapporto dell’artista con l’architettura, Federico Sardella offre una panoramica della sua produzione artistica attraverso un prisma geografico e Barbara Paltenghi Malacrida fornisce una valutazione della ricezione critica della sua opera. L’appendice comprende una nuova nota biografica e una storia espositiva e bibliografica aggiornata.
L’esposizione intende mettere a segno cinque obiettivi, rispettivamente presentare tutta la parabola di Enrico Castellani in oltre quarant’anni di carriera; confutare l’idea che Castellani rappresenti “l’elogio della monotonia” come titolò il Corriere della Sera parlando dell’artista, un’espressione per altro nella quale Castellani si riconosceva per evidenziare la propria univocità e identità. E ancora rendere omaggio al ruolo importante e indipendente di Castellani non abbastanza studiato soprattutto a livello internazionale, tanto che sono poche le sue opere nei musei.
È una figura ancora molto legata al panorama italiano e spesso anche nelle esposizioni inserito, per non dire confinato, insieme ad artisti quali Bonalumi, Alviani e lo stesso Fontana nell’Optical Art e in una dimensione di minimalismo. D’altronde Castellani non ha mai avuto un’antologica in Francia e in Germania. E ancora la mostra intende consentire al pubblico svizzero di conoscere un artista che gli svizzeri hanno avuto poche occasioni per vedere.
Infine il Museo di Mendrisio intende aprire una porta sull’uomo Castellani che parlava poco, scriveva meno (alcuni suoi testi si possono ascoltare durante il percorso espositivo), reticente alle interviste e che non era particolarmente addentro al sistema dell’arte anche se sapeva muoversi con consapevolezza all’interno dello stesso. Ecco perché la scelta di mostrarne il volto nella locandina, sul museo, cercando però di avere rispetto di quello che fu. Un uomo timido, geometra, poi laureato in architettura, che fu capocantiere, falegname con un grande rispetto per il lavoro anche quello più propriamente manuale. Lavorò sempre con la dedizione e la disciplina di un buon impiegato. A Milano a Brera e poi a Bruxelles frequenta l’accademia delle Belle Arti che non lo soddisfa totalmente anche se per tutta la vita ha voluto essere pittore.
Una connotazione particolare dell’arte e della concezione del mondo dell’artista è legata all’aspetto del linguaggio, che in Castellani assume note lontane dall’uso comune e si concentra sulla filologia così superficiale che indica il muoversi in superficie e non l’essere frivolo o futile; mono-tono, l’unicità del tono e non l’essere noioso, mono-cromo la sola possibilità per inserire l’arte nello spazio e la possibilità che sola la pittura ha rispetto alle altre arti. La sua innovazione anche in termini artistici non è di rottura come il gesto di Lucio Fontana ma è una riscrittura che conserva perché riteneva che tutta la storia dell’arte in fondo si sviluppa sulla crisi costante del concetto stesso di arte e non è mai negazione di quello che è stato.
Il percorso museale comincia da una prima opera figurativa Ponte provvisorio sul fiume Po con una parte del ponte distrutta dai bombardamenti del 1947; quindi una serie di Carte con acquarelli e inchiostro di china o carta giapponese, non pastelli colorati e fili (della fine degli anni Cinquanta, Ombre che hanno aperto la strada alle tele “estroflesse”, dai dittici e dalle superfici angolari alle enigmatiche installazioni), tra le altre dove emerge anche il colore. Immancabile la serie più riconoscibile della sua arte monocromatica e monotona, come da lui stessa definita, con i chiodi a vista che nella scelta riserva alcune sorprese. La scelta curatoriale è stata di dedicare una o più sale esclusivamente a un colore che tra l’altro a Castellani non interessava in quanto tale ma quale strumento per indagare il riflesso della luce.
Il primo monocromo è bianco e l’ultimo nero, un nero che riflette e si illumina.
Splendidi i dittici rossi dei primi dei primi anni Sessanta, quelli rigati con i tessuti.
La riflessione sul tempo è rappresentata da Il muro del tempo con otto metronomi del 1968, inserito su una mensola in una nicchia che sembra realizzata appositamente, e Spartito del 1969, opera realizzata per la Galleria romana La Tartaruga, uno spartito non da “spartire” che divide ma in senso musicale che unisce in armonia, come precisa lo stesso autore. I metronomi sembrano introdurre idealmente al dialogo tra spazio e tempo con la Serie blu, acrilico su tela del 1996, allestita con sapienza perché consente di apprezzare il senso della serie come un viaggio nel ritmo dell’arte sebbene in coerenza con la scelta di indirizzo data dallo stesso artista che le pensò come una serie da esporre senza frammentazione.
Sul tema musicale è importante ricordare quanto accadde nel 1959 quando uscirono quattro composizioni jazz che cambiarono il senso dello spartito e New York si sostituì a Parigi quale capitale culturale e artistica.
Contemporaneamente anche la sperimentazione sulla tela e sulle articolazioni architettoniche sono sottoposte a sollecitazioni mai affrontate prima: luce, spazio, tempo e sperimentazione, questi gli elementi che diventano centrali nell’arte di Castellani. Dalla fine degli anni Cinquanta dopo la ricerca rigorosa con i suoi centri di attrazione, e che esercitano un fascino al quale è impossibile sottrarsi, come scrisse Gillo Dorfles, dato anche però da un’impalpabile imprecisione; ripetizione, rigore e discontinuità ad un tempo.
In mostra l’opera forse più nota, Superficie bianca del 1964, una parete di via Palmanova 24 a Milano, all’interno di un condominio milanese, oggi Collezione privata, progettato da Nanda Vigo e Cesare Tacchio, che nell’atrio ospitava una scultura di Lucio Fontana e la parete appunto di Castellani. Tra il 1962 e il 1967 Castellani a Milano sperimentò l’integrazione tra arte e architettura e una scansione tempo e spazio che non è solo definizione rigorosa matematico-geometrica ma variazioni i su tema di grande creatività.
Completa l’antologica un’ampia documentazione.
a cura di Ilaria Guidantoni