Roma celebra i 150 anni dell’Impressionismo con una mostra allestita, scelta a dir poco insolita e originale, nel Museo Storico della Fanteria.
Impressionisti-L’alba della modernità resterà aperta al pubblico fino al 28 luglio.
L’esposizione, prodotta da Navigare srl, è organizzata con il supporto del comitato scientifico composto da Gilles Chazal (ex Direttore Musée du Petit Palais, Membre école du Louvre), Vincenzo Sanfo (Curatore mostre internazionali, esperto di Impressionismo) e Maithé Vallès-Bled (ex Direttrice Musée de Chartres e Musee Paul Valéry), e diretto da Vittorio Sgarbi, storico dell’arte.
Il Museo Storico della Fanteria è un museo militare che parla di armi e di guerre e i cui spazi sono stati conquistati dall’arte che ci parla di anima e di spirito e della volontà di sconfiggere la guerra. Le opere esposte mostrano paesaggi idilliaci, belle donne, fiori, momenti di vita goduta. E’ bello pensare a tutto questo come un segnale di pace.
Questo è uno dei primi commenti del critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi. Basterebbe riportare alcune interviste sue e di Vincenzo Sanfo, curatore dell’evento, per raccontare l’intera mostra, il suo percorso e, soprattutto, il senso della mostra stessa che è filologico e didascalico.
Dopo un numero infinito di mostre sull’Impressionismo viste nel mondo, con quadri importanti, soffermandoci sulla bellezza rappresentata, sull’autore dell’opera, sugli stili, arriviamo a percepire in questa esposizione un nocciolo diverso.
“L’Impressionismo non è un movimento, è un passaggio storico fondamentale verso la modernità, nasce una pittura universale perché per gli artisti cambia la visione del mondo e il rapporto con la realtà”. In Francia, a metà Ottocento, accade qualcosa di fondamentale perché è lì che lo spirito del tempo si è fermato.
Se la grande pittura di Caravaggio, Bellini, Mantegna e altri ancora rappresentava e testimoniava importanti momenti storici e religiosi, ideologie, fatti accaduti, con l’Impressionismo cambia il rapporto tra i pittori e il mondo e cominciano a riprodurre ciò che si prova e non ciò che si vede, inventano la pittura della quotidianità, rappresentano momenti senza significato, stati d’animo dell’artista che guarda il mondo, senza responsabilità né ideologia. Quindi è il trascorrere della vita raccontato con stili e immagini personali. E’ la pittura della modernità, un modo universale di vedere il mondo.
Un mondo che sta cambiando. Vengono costruite scuole, mercati, ospedali, municipi, teatri e grandi magazzini; in questo mondo di pietra fa capolino la modernità della ghisa, del ferro e del vetro. L’avvento della fotografia, del cinema e delle grandi trasformazioni tecnologiche e sociali, l’elettricità, i primi voli aerostatici, i tram e la prima metropolitana trasformano anche il mondo dell’arte grazie al coraggio di un gruppo di artisti, pur diversi tra loro per stili e tematiche, che cambieranno radicalmente il modo di “sentire” la pittura.
La costruzione della Torre Eiffel segnerà il culmine della rivoluzione sociale oltre che artistica e nulla sarà più come prima, siamo all’alba della modernità.
“La Parigi dell’ultimo quarto dell’Ottocento era una privilegiata civiltà borghese che credeva nel progresso positivista e vedeva in esso la promessa di una migliore condizione materiale e spirituale per l’intera umanità”, ha dichiarato Sgarbi. “C’era la convinzione di vivere un’epoca nuova e non paragonabile alle precedenti nelle quali eventualmente trovare le chiavi del presente e del futuro”.
Nell’arte si guarda al principio della visività, dell’istinto, della percezione sensoriale, della condizione dello spirito, arte per arte e basta, de-intellettualizzata e non più accomunata con la letteratura, semmai con la musica.
E per comprendere questa modernità la mostra ci indica un percorso che si articola in tre sezioni: da Ingres a l’Ecole de Barbizon (1830-1870) i fermenti dell’Impressionismo; l’Impressionismo; l’eredità dell’Impressionismo, abbracciando un arco temporale che parte da inizio Ottocento e giunge fino al 1968 davanti a un’acquaforte di Pablo Picasso.
I grandi protagonisti e precursori ci sono tutti: partendo da Ingres a Corot, Courbet, Millet, Delacroix e Dorè, la mostra ripercorre i fermenti che scuotevano il mondo dell’arte ancora prigioniero di una visione rigida e accademica. Fermenti che provocano una rivoluzione nei confronti dell’arte aulica per scegliere tematiche rivolte al mondo più vero e autentico.
Si giunge ai vari protagonisti delle otto mostre ufficiali dell’Impressionismo: Pissarro, Degas, Cezanne, Sisley, Monet, Morisot, Renoir che si presentano alla prima esposizione del 1874 insieme con artisti comprimari come Desboutin, Lepic, Millet e Bracquemond con le sue ceramiche dipinte a mano (era stato direttore della Manifattura di Sevres) ispirate ai temi naturalistici dell’arte giapponese, grande moda dell’epoca e alla quale, insieme con l’Arte Orientale tutta, va dato grande credito come elemento di potente ispirazione. Per finire con gli eredi: Toulouse Lautrec, uno dei più grandi sperimentatori delle tecniche grafiche, Derain, Dufy, Bonnard, Utrillo, Vlaminck.
Ma sono le loro opere meno note che documentano la storia di un nuovo modo di fare arte passando attraverso disegni, incisioni, ceramiche, bozzetti preparatori, studi e litografie, prove di tecniche di stampa influenzate dalla invenzione della fotografia, la cui ingente presenza nella mostra denota una assoluta originalità.
In questa immersione totale si ammirano opere dalla dimensione atemporale, che colgono l’effimero e fissano l’istante: “Le lavandaie a Etretat” di Boudin, “Bateau sur la riviere” di Lecomte, “Coquette” di Lamy, “Les Gitanes” di Manet, acquaforte, “Les Baigneur” di Cezanne, litografia, e ancora la Teiera in porcellana conservata a casa Monet, e litografie, disegni e acquerelli che raccontano le mille sperimentazioni avvenute in quegli anni. Il Cartone di Renoir “La Saone se jetant dans le bras du Rhone” è da considerarsi tra i pastelli più grandi al mondo e anche un atto eroico, per la sua dimensione e complessità, poiché il maestro nei suoi ultimi anni di vita era costretto su una sedia a rotelle e con le mani rattrappite dall’artrite. I paesaggi di Corot, grandissimo incisore, che, a detta di Degas, sapeva disegnare un albero come nessun altro.
Un patrimonio di oltre 180 opere e 66 artisti, oltre una notevole quantità di materiale documentario come lettere, libri, fotografie e oggetti.
Gli Impressionisti, al loro debutto ufficiale con la prima mostra organizzata dal fotografo Nadar a Parigi nel 1874, non ricevettero una buona accoglienza e il termine “impressionista” fu creato allora in senso dispregiativo. E lo stesso insuccesso lo avevano riscosso, un decennio prima, in Italia, gli artisti toscani detti Macchiaioli e così apostrofati con intento denigratorio sulla Gazzetta del Popolo.
Entrambi i movimenti artistici, entrambi rivoluzionari, entrambi influenzati dalle nuove possibilità espresse dalla Scuola di Barbizon, entrambi antiaccademici, sono debitori per il loro successo e diffusione a collezionisti e mecenati che avevano intuito le loro qualità e capacità e avevano favorito la circolazione delle loro opere in Francia e in Italia.
Ed è sempre grazie ai collezionisti privati che il Giapponismo ricevette circolazione e nuovi impulsi. Sia i Macchiaioli che gli Impressionisti subirono, un po’ come tutti gli artisti, i collezionisti e i galleristi, il grande fascino dell’arte giapponese e delle stampe che dal 1860 iniziarono a circolare in Europa. Gli artisti italiani e francesi subirono la fascinazione dell’arte dell’Ukiyo-e o “immagini del mondo fluttuante” tra le quali è celebre la stampa La grande onda di Kanagawa di Hokusai.
In molte opere degli Impressionisti e dei loro eredi, fino ad arrivare all’Art Nouveau, si ritrovano forti richiami all’arte giapponese.
Nel percorso e nelle esperienze maturate in quegli anni ci si accorge, però, che la ricerca espressiva fine a se stessa non può restare tale per sempre perché risorge il bisogno di comunicare qualcosa che abbia un valore non solo puramente estetico.
Il Novecento è alle porte, tra nuovo e tradizione, tra progresso e conservazione, rinasce forte un dibattito di idee, mai sopito, sulla intellettualità dell’arte.
A conclusione della parabola impressionista non si torna indietro, si apre un nuovo corso che guarda al futuro. E’ sulla idea del futuro che, ideologicamente, si raccoglie il testimone dell’Impressionismo.
“Pietre miliari di questa lunga esperienza”, commenta ancora Sgarbi, “tra i più avanzati ci sono artisti come Cezanne che esprime una certa nostalgia della forma classica e si avvia verso il cubismo che ricostruisce quel che gli Impressionisti avevano destrutturato. Van Gogh, un impressionista negativo, che esprime nelle sue opere il suo dramma profondo e parla a tutti. Monet, infine, che nel 1926 punta ormai all’informale e all’astratto”.
a cura di Daniela di Monaco