Il mondo del private capital potrebbe incontrarsi con quello degli investment certificates che hanno come sottostanti i titoli di operatori quotati, così come già accade per gli ETF. Più complicato, invece, il lancio di certificate che fanno riferimento a prodotti illiquidi, dice a BeBeez Giovanna Zanotti, direttore scientifico di ACEPI, l’Associazione Italiana degli Emittenti di Certificati e Prodotti di investimento. “Gli emittenti dei Certificati con cui abbiamo discusso della possibilità di convergenza tra questi prodotti e il mondo del private capital ritengono che si possano eventualmente strutturare questi strumenti per finalità specifiche di qualche investitore istituzionale interessato a canalizzare risorse in questa asset class. Al momento l’obiettivo è quindi piu di investimento e di diversificazione di portafoglio. Inoltre, trattandosi di strumenti con un sottostante illiquido, non potrebbero essere offerti alla clientela retail. In generale, la difficoltà di strutturare questo tipo di prodotto è direttamente proporzionale al grado di articolazione dei payoff poiché richiede l’acquisto di opzioni esotiche poi incorporate in un unico strumento. Allo stato attuale, è dunque più semplice emettere certificati di tipo benchmark o tracker che abbiano come sottostante un fondo di private capital quotato”.
Tuttavia, alcuni fund manager hanno detto a BeBeez che la curiosità in merito al possibile ricorso agli investment certificate per le asset class di private capital risale alla prima metà degli anni ’90 e da allora è silenziosamente aumentata, senza però che da ciò sia scaturita una reale convergenza tra questi due settori. Il punto cruciale, infatti, spiegano ancora i fund manger, è che i certificati hanno strutture molto standardizzate, tanto che la comunità degli investitori ritiene quasi inutile leggere i prospetti informativi che sono simili tra loro. Diverso sarebbe il caso in cui si trattasse di un sottostante come un fondo di private capital non quotato. I processi di fundraising adottati da operatori di private equity, venture capital e private debt si basano spesso su accordi legali dettagliati e memorandum di collocamento privato per delineare i termini, le condizioni e i rischi associati all’investimento. Le strategie di raccolta nei private markets pongono inoltre l’accento sulle performance passate dei fondi, sulla loro strategia di investimento e capacità operative.
Alcuni degli elementi che compongono i certificati, quali le garanzie e le barriere di vario grado a protezione del capitale potrebbero comunque mettere sulla stessa lunghezza d’onda tutte le parti coinvolte negli investimenti in private capital, anche sui mercati secondari, e rendere le Limited Partnership più liquide grazie ai flussi di coupon.
“Il mercato dei certificati è senza dubbio in fase di forte crescita: il 2023 è stato un anno particolarmente positivo per i collocamenti sul mercato primario nella scia di un’ascesa più rilevante negli ultimi due anni”, ha detto ancora Zanotti. Come evidenziato nell’ultimo Report ACEPI, nel 2023 si sono registrate transazioni per 25,764 miliardi di euro, centrando il migliore risultato annuale dopo il record registrato nel 2019, pari a 17,166 miliardi, e in crescita del 59% rispetto al 2022 quando il valore è stato pari a 16,236 miliardi. La maggiore esigenza di strutture di protezione per l’incertezza del quadro geopolitico e macroeconomico del 2022 potrebbe aver agito da volano per questa crescita poderosa. Le 1546 emissioni del 2023 (+21% rispetto al 2022) hanno seguito il trend che è in costante ascesa dal 2020, quando i prodotti offerti erano 830. Il mercato dunque apprezza lo strumento.
Ricordiamo che i certificati sono derivati cartolarizzati che incorporano più contratti finanziari in un unico e scambiabile titolo liquido. L’acquisto di questi prodotti corrisponde all’investimento in strumenti derivati di acquisto (call) o di vendita (put). Per esempio, nel caso di prodotti che incorporano un limite al rialzo del sottostante (cap) l’investitore ha implicitamente venduto una opzione call con lo strike pari all’estremo massimo previsto dal certificato. Una peculiarità dei certificati a capitale condizionatamente protetto (CCP) consiste nelle “barrier option”, in particolare di natura put, che consentono agli investitori di tutelarsi dal calo di prezzo del sottostante entro il limite che impone la barriera. Questi prodotti danno insomma la possibilità di investire su molteplici asset class, incorporando in un unico strumento strategie finanziarie raffinate, il tutto con un trattamento fiscale semplice e vantaggioso. I certificati offrono un ampio ventaglio di profili di rischio/rendimento che consentono venire incontro a diverse esigenze di investimento. Alcuni degli elementi che compongono questi strumenti sono: l’esposizione ai cambiamenti di prezzo del sottostante; i coupon che pagano le rendite durante la vita dello strumento; callability, cioè possibilità di rimborso anticipato con relativo premio riconosciuto all’investitore; vari gradi di garanzia (completa, parziale oppure condizionata) del capitale investito all’emissione; e un premio di rimborso a scadenza.
Vontobel, Banca Akros, Intesa SanPaolo, Banca Cesare Ponti, BNP Paribas, Leonteq, Barclays, Mediobanca, Societe Generale e Unicredit, membri ordinari di ACEPI, sono gli emittenti e market maker dei certificati e assumono l’obbligo dei pagamenti dei flussi dovuti ai sensi delle condizioni che illustra il prospetto informativo. Borsa Italiana, Intermonte, Spectrum e Fideuram si occupano della loro distribuzione mentre la negoziazione ha luogo secondo le medesime modalità con cui si acquistano e si vendono azioni e obbligazioni su varie tipologie di mercati che in Italia sono SeDeX ed EuroTLX.