Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 20 del 20 aprile 2024
di Giuliano Castagneto
Punta a coinvolgere investitori italiani Capital Dynamics, operatore di private capital nato in Gran Bretagna nel 1988 con il suo quartier generale stabilito in Svizzera nel 1999 e che oggi vanta circa 14 miliardi di dollari di asset in gestione, su tre linee di prodotto: private equity, soprattutto come co-investitore, private equity secondario e generazione di energia da fonti rinnovabili. A sottolineare la crescente importanza che gioca il mercato italiano nella strategia globale del gruppo è Martin Hahn, americano con sangue europeo nelle vene, ex ceo e consulente di aziende dell’informatica, dal novembre 2011 al comando di Capital Dynamics e che in questa intervista esclusiva a BeBeez Magazine spiega come e perché è molto interessato ad aumentare la presenza del gruppo presso i fondi pensione e casse previdenziali più piccole, offrendo loro soprattutto prodotti come i fondi di secondary private equity, a detta di Hahn molto adatti all’attuale, non facile, situazione di mercato
Domanda. Qual è al momento il mercato europeo per voi più importante?
Risposta. Storicamente il nostro più grande mercato è la Germania, dove siamo presenti sin dal 2008. Avevamo messo assieme un team con profonda conoscenza di quel mercato, dove è inoltre molto importante, dato anche il lungo orizzonte temporale degli investimenti che seguiamo, essere presenti stabilmente. Vi abbiamo effettuato molti investimenti in private equity.
D. In tale contesto che importanza riveste per voi l’Italia?
R. E’ un mercato tra i più interessanti perché le caratteristiche di diversi investitori istituzionali attivi nel Paese, inclusi HNWI e family office, si adattano piuttosto bene a quelle dei nostri prodotti. Nel 2018 abbiamo acquisito una società di gestione del rsparmio per stabilire la nostra presenza locale in questo mercato così strategico (si veda altro articolo di BeBeez, ndr).
D. Potrebbe fare qualche esempio?
R. In Italia esiste un gran numero di fondi pensione di dimensione medio-piccola, che non dispongono di grandi divisioni per gli investimenti, a differenza di quelli più strutturati. Nelle organizzazioni più grandi, la presenza e le relazioni locali sono meno importanti e aggiudicarsi i deal è più difficile e attira un maggior numero di partecipanti.
Le realtà più piccole, invece, collaborano con gli advisor locali e con i consulenti per selezionare le soluzioni di investimento private. Una situazione molto simile a quella che si verifica negli Stati Uniti, dove ci sono molti piccoli investitori pensionistici. Qui l’importanza della presenza locale è molto più rilevante e in generale la concorrenza è meno intensa.
Tuttavia, questi investitori più piccoli effettuano investimenti più ridotti e molti di loro hanno appena iniziato a investire nei mercati del private equity, quindi sono piuttosto cauti e attenti a non prendersi troppo velocemente un’esposizione in questi mercati.
Da parte sua, Capital Dynamics è specializzata in fondi e investimenti di medie dimensioni. Nel private equity, ad esempio, il nostro segmento focus di investimenti è rappresentato dalle società del mid-market, non dai grandi LBO o dal venture capital. Abbiamo appena lanciato il nostro sesto fondo di buyout paneuropeo e globale, Mid Market Direct VI, che mira a raccogliere circa 750 milioni di euro. In questo fondo ci procuriamo le opportunità di investimento co-investendo con altri GP e le commissioni sono in genere la metà rispetto ai fondi capofila, quindi stiamo offrendo commissioni di gestione di circa l’1% e un carried interest del 10%, e rendimenti stimati in linea con quelli ottenibili da altri fondi diretti di private equity. Condizioni che sono in grado di suscitare l’interesse dei piccoli investitori.
D. Attualmente gli istituzionali italiani a quale dei vostri prodotti guardano di più?
R. C’è molto interesse per le energie rinnovabili. Non a caso gli investimenti nel settore delle rinnovabili in Italia rappresentano il 50% del nostro portafoglio europeo. E il nostro ultimo fondo dedicato al settore, Clean Energy Europe Fund, che si propone di raccogliere un miliardo di euro, sarà focalizzato principalmente su Italia e Spagna. Inoltre ne abbiamo un altro da 600 milioni di sterline espressamente dedicato al Regno Unito. Le rinnovabili piacciono perché generano rendimenti stabili per periodi lunghi, sebbene inferiori a quelli ottenibili su private equity e private debt
D. Di che rendimenti parliamo?
R. Mediamente i flussi annui di dividendi oscillano tra il 6 e il 7%, quelli realizzati sulle exit un altro flusso tra il 5 e il 7%. Considerate assieme le due componenti, il rendimento complessivo è tra il 10 e il 12%.
D. A quali strumenti mostrano interesse gli istituzionali italiani?
R. C’è un forte interesse per il private credit, in quanto mira ad ottenere rendimenti medi a doppia cifra, senza richiedere un investimento in equity, che può immobilizzare capitali per periodi piuttosto lunghi Abbiamo visto forte interesse nel nostro ultimo fondo sul secondario del private equity che stiamo promuovendo più attivamente in Italia. Sul secondario, infatti, i volumi si stanno intensificando a causa dei problemi di raccolta dei fondi attivi sul primario, che guardano a questo mercato come a una fonte di liquidità. Inoltre, acquisendo quote da singoli Limited Partners, è possibile comprare ticket di taglio più piccolo. La particolarità del nostro attuale fondo globale, il sesto, con il quale abbiamo raccolto per ora oltre 700 milioni di dollari con l’obiettivo finale di 850 milioni di dollari e una hard cap di un miliardo, è quella di concentrarsi su operazioni di piccola taglia, tra 10-50 milioni di dollari ciascuna, dove c’è meno competizione come avviene sulle grandi operazioni (sui 250-500 milioni dollari) sulle quali è più tipico che vengano organizzate vere e proprie aste a cui partecipano i grandi secondary (ossia più grandi di 5 miliardi di dollari). Questa focalizzazione sulle transazioni più piccole ci permette di offrire diversi tipi di fondi secondari con rendimenti interessanti e competitivi. Il nostro track record secondario è un IRR netto del 29%.
D. Lei ha accennato prima ai problemi di raccolta dei fondi di private capital, dovuto al denominator effect a sua volta innescato dall’impennata dei tassi. Problemi che tuttavia non sembrano superati, perché le aspettative di una costante discesa nel 2024 sono state frustrate dalle ultime dichiarazioni sia della Fed sia della Bce, che lasciano intendere tassi all’attuale livello ancora per mesi. Vi preoccupa questo nuovo scenario?
R. Nel 2023 la raccolta globale del private capital è diminuita del 35-40%. E anche le exit, un possibile canale alternativo di liquidità, hanno sofferto. La speranza era che il 2024 fosse l’anno di una grande normalizzazione, ma per buona parte dell’anno non pare essere stato così. I tassi infatti non stanno calando perché le continue emergenze geopolitiche sono altrettanti focolai di inflazione. Tuttavia Capital Dynamics non è stata impattata più di tanto. Per esempio negli Stati Uniti il 2023 per noi non è stato diverso dal normale in quanto ci sono molti fondi pensione poco esposti al private capital, essendo investiti per la maggior parte in titoli del Tesoro, e ai quali il discorso del denominator effect non ha avuto lo stesso impatto. Inoltre, questo è uno scenario molto favorevole a chi come noi investe sul secondario. Molti investitori si sono rivolti ai fondi secondari come fonte di exit per i loro portafogli e hanno potuto individuare nuovi investimenti a prezzi molto interessanti. Abbiamo trovato diverse opportunità di investimento in Italia.
D. Ci sono asset class più penalizzate di altre da questa situazione?
R. Soprattutto gli investimenti nelle infrastrutture, che mediamente rendono tra il 4 e il 6%. Noi però investiamo nelle rinnovabili, che come le ho detto prima rendono notevolmente di più e continuano a godere di un contesto socio economico favorevole, soprattutto in Europa e in Italia in particolare.
D. Avete mai pensato di diversificare su altre asset class, per esempio alcune nicchie del real estate come i data center, o anche nel real estate debt?
R. Per ora no, per due motivi. Il primo è che i nostri core business sono tutti in grande crescita, quindi non c’è motivo per dedicare risorse ad altre attività sulle quali, e questo è il secondo motivo, dovremmo investire notevoli risorse per assicurarci il know how necessario ad avere successo su quei mercati. Vediamo molte nuove opportunità nel nostro core business per espanderci e offrire soluzioni nuove nei prossimi anni.