Al Museo di Roma-Palazzo Braschi è aperta al pubblico fino al 23 giugno la mostra Ukiyoe. Il Mondo Fluttuante. Visioni dal Giappone. Promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, Sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali, è coprodotta e organizzata con Mondo Mostre e Zètema Progetto Cultura.
L’esposizione presenta 150 capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, focalizzandosi su quello che è stato il filone artistico più innovativo del tempo e internazionalmente ancora oggi influente: l’ukiyoe.
C’è da sottolineare che le 150 xilografie giapponesi provengono dalle collezioni private di Edoardo Chiossone e Vincenzo Ragusa, uno di Genova e l’altro di Palermo, due importanti collezionisti di arte giapponese, artisti, avventurieri e uomini dotati di spirito di iniziativa.
Chiossone, abile incisore che ha vissuto a Tokyo dal 1875 al 1898, è noto per aver progettato le prime banconote e carte valori giapponesi dopo aver fondato il Poligrafico dello Stato. Il Museo di Genova, a lui intitolato, è il primo dedicato all’arte giapponese a essere stato fondato in Italia nel 1905 e conserva una grande e preziosa collezione d’arte nipponica tra le più importanti d’Europa.
Ragusa, scultore e fondatore dell’Istituto d’arte di Palermo, viene invitato in Giappone per istituire una scuola d’arte occidentale e insegna a Tokyo per sei anni i modi e metodi della scultura occidentale, mentre raccoglie preziosi oggetti d’arte locale. A Tokyo conosce O’Tama, sua futura moglie, alla quale insegna a dipingere.
Rientrati a Palermo nel 1882, Ragusa concepisce l’idea di una scuola, aperta a sue spese nel 1884, sulla base del Museo Giapponese con officine di lacca, ricamo e ceramica. Nel 1887 il Ministero la riconosce come “Regia Scuola Superiore di Arte Applicata alla Industria”, in seguito Istituto Statale d’Arte, oggi Liceo Artistico di Palermo, intitolato a Vincenzo Ragusa e alla moglie O’Tama Kiyohara, ma, fatto drammatico, impone a Ragusa di chiudere il Museo Giapponese con l’assurda idea che l’arte e l’industria giapponese potessero “contagiare e umiliare” l’arte italiana. Ragusa è costretto a vendere la sua preziosa collezione di 4200 oggetti al Museo Pigorini di Roma, salvo pochi oggetti conservati.
Tra le opere vendute al Museo Pigorini c’era una raccolta di Ukiyoe, opere di Kunisada, Kuniyoshi, avori, maschere, costumi e ventagli, porcellane e anche alcuni acquerelli dipinti da O’Tama.
Per tornare alla mostra, il termine Ukiyoe, letteralmente traducibile come “immagini del mondo fluttuante”, fa riferimento a un impetuoso e dinamico contesto culturale formatosi agli inizi del XVII secolo, nelle città di Edo (oggi Tokyo) e si tratta di un genere pittorico nato nel primo periodo dell’epoca Edo (1603-1868) che include rotoli da appendere, paraventi di grande formato, dipinti a pennello su seta o carta, oltre a stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta. Il secondo periodo inizia nel 1868 con l’era Meji e dura fino al 1912. Il periodo Edo fu essenzialmente un lungo periodo di calma e di pace sotto il governo militare dei Tokugawa e costituì l’ambiente ideale per lo sviluppo dell’arte in questa forma commerciale, con grandi cambiamenti sociali, economici ed artistici, mentre il periodo Meiji, che riportò al centro del potere l’Imperatore, fu caratterizzato da nuove influenze e scambi con le potenze occidentali, dovuti alla riapertura forzata del Giappone all’Occidente.
Nonostante la rigidità della stratificazione sociale del resto del Paese, questa tecnica artistica divenne molto popolare durante la seconda metà del XVII secolo; le raffigurazioni, realizzate tramite la xilografia con inchiostro cinese monocromatico, non erano costose ed erano intese come prodotti di massa pensati soprattutto per gli abitanti della città che non potevano permettersi altri dipinti. Alle origini, le opere ukiyoe rappresentavano scene e attività di vita quotidiana di quartiere: erano raffigurati, infatti, lottatori di sumo, belle cortigiane e attori famosi mentre svolgevano il loro lavoro. In seguito, divennero popolari anche i paesaggi eseguiti con inchiostri colorati, mentre non apparvero quasi mai soggetti politici e di altre classi sociali all’infuori di quelle più basse. Il sesso non era un vero e proprio tema a sé, anche se comparve spesso in queste stampe. Gli artisti e gli editori erano talvolta sottoposti a sanzioni per queste stampe sessualmente esplicite, dette shunga.
Nella mostra sono rappresentati i più importanti maestri dell’ukiyoe, oltre 30 artisti, a partire dalle prime scuole del Seicento come la Torii, fino ai nomi più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Tōshusai Sharaku, Keisai Eisen e alla grande scuola Utagawa con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi, Kunisada che rappresentò l’apice e forse anche il dissolvimento del genere quando i tempi stavano ormai cambiando.
La tecnica dell’ukiyoe venne importata dalla Cina e implementò fortemente la diffusione di immagini e libri permettendo una produzione in serie grazie anche al talento degli artisti ingaggiati. La produzione di stampe, infatti, rappresentò un vero e proprio mercato, tantissimi furono gli artisti e i professionisti, tra pittori, intagliatori, stampatori, calligrafi, che lavoravano in atelier sotto la direzione di un editore, il quale sosteneva economicamente il progetto, sceglieva artisti e soggetti e immetteva le opere sul mercato.
Inoltre, l’ukiyoe era una forma d’arte nata in seno all’urbanizzazione, quindi alla nascita delle grandi città nella metà del ‘600, in particolare alla nascita di Tokyo che allora era chiamata Edo, la capitale shogunale scelta dalla famiglia Tokugawa. In questo senso l’ukiyoe fornisce una testimonianza diretta della società giapponese del tempo, degli usi e dei costumi, delle mode da indossare, dei luoghi naturali e delle vedute urbane più ricercate. Dalle immagini del teatro kabuki con i volti degli attori più affermati fino ai quartieri di piacere ravvivati dalla bellezza di cortigiane e geishe altrettanto note, agli spettacoli di danza, musica e di intrattenimenti con ogni forma d’arte. L’ukiyoe, tuttavia, dietro al racconto di nuove mode e stili di vita, lascia trasparire anche una raffinatezza culturale testimoniata dalla diffusione della cultura, innanzi tutto, anche tra la popolazione femminile, e delle arti intese come discipline formative dell’individuo colto, talvolta utilizzate come espediente per aggirare la censura del governo che vietava soggetti legati a cortigiane e attori, che venivano nascosti dagli editori e dagli artisti sotto velati insegnamenti morali e moralistici.
La grande novità dell’ukiyoe erano i soggetti, completamente diversi dalla grande pittura parietale aristocratica e dalle scuole classiche di Kyoto. A Edo a dettare gusti e mode era la classe cittadina emergente, composta soprattutto da mercanti arricchiti i quali, pur non avendo potere politico, avevano però il denaro e cominciarono a permettersi lussi e intrattenimenti di ogni genere. Fino ad allora, secondo l’insegnamento buddhista, Ukiyo era stato inteso come attaccamento all’illusorio mondo terreno da cui rifuggire, ma ora, come riscattato, prendeva un senso opposto di godimento della vita, della bellezza, del lusso e di tutto ciò che era alla moda.
Nella prima parte della mostra, accanto a dipinti e xilografie, sono esposti anche strumenti musicali, giochi da tavolo, un soprakimono (uchikake) e raffinati accessori del corredo femminile e maschile alla moda, restituendo così la realtà di molti oggetti d’arte applicata rappresentati nell’ukiyoe e collezionati a fine Ottocento dai primi artisti e professionisti italiani residenti in Giappone.
In breve, la mostra, con le sue sette sezioni, consente un vero viaggio nella società giapponese del tempo, e in uno dei suoi filoni artistici più conosciuti e apprezzati al mondo. Si chiude con due sezioni dedicate alle visioni della città: la vita dentro la capitale Edo, e il percorso lungo le province, fino alla capitale imperiale di Kyoto, con immagini di paesaggi celebri, tra cui la Grande Onda Kanagawa, parte delle Trentasei vedute del Monte Fuji, creata dall’eccentrico Katsushika Hokusai
Un’area tematica sarà dedicata ad Utagawa Kunyioshi, considerato uno degli ultimi grandi maestri della pittura e della silografia giapponese in stile ukiyo-e. Da queste xilografie si può imparare molto sui costumi e gli usi tradizionali nipponici, dal modo di vestire alle acconciature, dagli atteggiamenti alla vita sociale, questo percorso espositivo è un vero e proprio viaggio alla scoperta di un popolo e della sua storia affascinante. Un punto di incontro tra la cultura e la tradizione italiana e quella giapponese e vuole anche raccontare la passione per il collezionismo nata dall’incontro con il Giappone.
In seguito alla Restaurazione Meiji del 1868, il Giappone si aprì alle importazioni dall’Occidente, tra cui la fotografia e le tecniche di stampa. I colori naturali vegetali usati negli ukiyo-e vennero sostituiti da tinture chimiche all’anilina importate dalla Germania. Anche se gli ukiyo-e vennero in gran parte rimpiazzati dalla fotografia e passarono di moda in Giappone durante, l’occidentalizzazione del paese, all’inizio periodo Meiji, divennero fonte di ispirazione in Europa per l’Art Nouveau per gli Impressionisti, e altri artisti come Van Gogh, Degas e Klimt. Questa influenza, ma sarebbe più giusto dire questa fascinazione, è stata chiamata Giapponismo.
Durante gli anni ’60, il movimento artistico ha visto una fusione tra tecniche tradizionali giapponesi e occidentali. L’arte stampata di questo periodo rispecchia una vasta gamma di stili e influenze internazionali, con un innovativo utilizzo delle tecniche giapponesi per esprimere idee contemporanee.
E nel tardo XIX secolo, artisti, pittori, galleristi e collezionisti dell’Occidente hanno cominciato a valorizzare l’arte giapponese. Questo interesse ha favorito un’interazione più profonda tra le due tradizioni artistiche, sfociando in una forma d’arte contemporanea giapponese che rispecchia influenze globali anziché esclusivamente occidentali.
Gli ukiyo-e vengono prodotti ancora oggi, influenzando alcuni campi artistici, come i manga e gli anime, o talvolta, come nella serie Ukiyo-e Heroes di David Bull e Jed Henry, la cultura pop viene inglobata nel mondo ukiyo, e, attraverso uno stile creativo facilmente identificabile, nell’industria dei videogiochi.
a cura di Daniela di Monaco