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Fino al 6 ottobre, Palazzo Esposizioni Roma e il Museo Nazionale Romano–Terme di Diocleziano a Roma ospitano le mostre dedicate all’artista messicano Javier Marín, a cura di Laura González Flores.
Il progetto espositivo Materiae è uno dei principali appuntamenti di rilevanza culturale all’interno delle celebrazioni dei 150 anni della nascita dei rapporti diplomatici tra Italia e Messico.
Il titolo in latino, al plurale, evoca due “latinità”, quella della Roma antica, italiana, e quella messicana, richiamando l’antico; altresì indica la pluralità della sperimentazione dell’artista che in questo percorso si misura oltre che con la terracotta, con il marmo, il legno, la resina e approda all’arazzo, al disegno con una scannerizzazione in 3D, allargando i suoi orizzonti. La parola come ha sottolineato Federico Mollicone, Presidente Commissione cultura della Camera dei Deputati e vero orchestratore della mostra, è un autentico caso di nomen omen perché contiene in sé la parola mater, non solo madre ma vita, creazione come lo è l’arte e richiama l’idea dell’universalità umana che lega, la collaborazione, la ricerca di dialogo che in questa esposizione è presentato a più livelli. Non solo come linea di condotta della poetica dell’artista quant’anche quale suo impegno personale.
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Promossa dal Ministero della Cultura, dalla Direzione Generale Musei, dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, con il patrocinio dell’Ambasciata del Messico in Italia, con gli auspici della Presidenza Commissione Cultura, Camera dei deputati, la mostra è realizzata in collaborazione con la Fondazione Javier Marín, la Galleria Terreno Baldio Arte e la Galleria Barbara Paci. L’idea è nata proprio da quest’ultima che ha l’esclusiva europea per l’artista e lo ha seguito e accompagnato quando era un artista emergente, nella convinzione che il suo ruolo di un gallerista sia ben al di là dell’essere una vetrina commerciale. Tra l’altro la Galleria di Pietrasanta ha curato importanti mostre quali quella al Mudec di Milano, al Mattatoio e al Pincio nella Capitale nonché al Labirinto di Parma, promuovendo il dialogo della scultura monumentale di Javier con il paesaggio urbano. Javier Marín si è dunque già confrontato in passato con la città di Roma; è del 2012 la mostra De 3 en 3 al Museo MACRO Testaccio, oggi Mattatoio di Roma, mentre in Piazza del Pincio trovarono posto nove cavalli con cavaliere di dimensioni monumentali e tre teste di giganti in resina, simbolo di campi di battaglie e devastazioni che impongono una riflessione anche a chi combatte.
Scultore, disegnatore, pittore, Javier Marín ha da sempre reso omaggio, con il suo lavoro ultratrentennale, alla cultura e alla storia dell’arte italiana, contaminando i temi di ispirazione preispanica con forme e linguaggi propri del manierismo toscano e del barocco romano. Nella sua arte sono evidenti i richiami all’antico, nelle sue grandi teste e busti, come al Rinascimento e al Barocco, con una spinta alla contemporaneità molto forte sia per le tecniche di esecuzione, sia per l’approccio a nuovi linguaggi e tecnologie e per la capacità di reinterpretare ad esempio la Colonna Traiana che narra un’umanità sofferente in guerra nei corpi legati dell’installazione monumentale in resina nella sala centrale delle Terme di Diocleziano, dove anche la base lignea richiama lo stile architettonico rigoroso dell’edificio. I corpi sono legati, prigionieri e nello stesso tempo rivelano l’intreccio indissolubile dell’umanità portando il dramma universale e il concetto di pòlemos nell’attualità.
L’esposizione racconta il percorso dell’artista e la sua ricerca, dalle prime esperienze di scultura monumentale, realizzate con materiali come la terra rossa di Oxaca o il bronzo lavorato nelle fonderie messicane, alle nuove sperimentazioni in resina riciclata, ottenute attraverso immagini digitali o utilizzando stampanti 3D. In questo caso ha realizzato una sorta di archivio digitale dando vita a nuove opere che diventano un “registro”, una sorta di matrice per dar vita, a loro volta, a nuovi lavori. Un cammino per certi aspetti circolare che lo ha riportato nel suo Paese, che aveva lasciato da piccolo, dieci anni fa, con una continua contaminazione di stili, frutto della sua esperienza di viaggio. A bene vedere anche nel suo processo creativo c’è una circolarità, dove nel frammento si ritrova il tutto e il tutto, d’altronde, è un mosaico di frammenti che sono opere a sé stanti e che evoca l’immaginario di Luis Borges.
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Le opere di Marín sono infatti frutto del dialogo tra la cultura di provenienza e le esperienze artistiche italiane. In particolare, della cultura e della storia messicana, l’artista indaga, con spirito critico e al tempo stesso con fiducia, le vicende dei secoli XVI e XVII.
Il tema della collaborazione, come accennato, non è solo una questione di stile quanto un’esigenza profonda, spirituale come mostra il suo impegno in Messico. Dal punto di vista strettamente artistico questa idea di lotte e d’amore per citare un verso di Lucrezio Caro dal De rerum natura, era già presente nel tappeto di corpi intrecciati presentato alla Biennale di Venezia e in alcune opere presentate a Pietrasanta. Sotto il profilo dei progetti è importante il suo investimento nella ristrutturazione di un palazzo dove ora c’è un centro di lavorazione artigianale di tappeti, nella sede di un’ex fabbrica di tessuti industriali. L’idea è di dar vita a luoghi di incontro e di scambio che ricordano la tradizione antichissima, precolombiana, del Messico che ha visto il fiorire dell’artigianato artistico. In particolare Javier ricorda il mercato che una volta l’anno accompagnava due settimane di festa nel suo paese, con costumi tradizionali e danze, la sua prima fonte di ispirazione.
Materiae è una raccolta di lavori che narra, nel suo insieme, le diverse direzioni intraprese da Marín con la sua ricerca. Corpi senza peso e flessibili, forme carnose, esuberanti e in tensione, trovano un’espressione inedita attraverso l’impiego di nuovi materiali, supporti e formati: oltre al marmo e al legno, il disegno digitale, la pittura, la resina poliestere, ma anche la resina lavorata con semi di amaranto e l’arazzo, presente in due lavori a Palazzo Esposizioni.
Sperimentale e riflessiva, la ricerca creativa di Javier Marín utilizza la materia come mezzo per interrogare le possibilità dell’arte di oggi. È possibile disegnare espandendosi nello spazio fisico utilizzando le risorse attuali, o scolpire nello spazio virtuale dello schermo? Come si può integrare la casualità dei numeri o l’intelligenza artificiale nella creazione artistica?
L’artista risponde cancellando le differenze tra generi e modi di produzione, muovendosi con un’insolita fluidità da un materiale all’altro: dalla grafica alla pittura e alla scultura, dall’analogico al digitale, dallo spazio fisico reale a quello virtuale dello schermo. Con uno sguardo pienamente postmoderno, pratica un’arte spaziale transmediale ed esplora, oltre la scultura, nuove dimensioni.
In due sedi romane, con due mostre simultanee, Palazzo Esposizioni Roma e Museo Nazionale Romano-Terme di Diocleziano, il pubblico può fare esperienza del processo di lavoro di Marín, dalla preparazione attraverso il disegno, sino alla trasformazione in sculture e arazzi monumentali, grazie anche a un video che mostra il lavoro dietro le quinte.
A Palazzo Esposizioni Roma sono esposte 35 opere realizzate in resina poliestere amaranto, legno, arazzi, tessuti, stampe digitali e video, la produzione più recente, incentrata sull’utilizzo delle nuove tecnologie e sul tema della sostenibilità ambientale sviluppato grazie al riutilizzo di resine di scarto derivate da produzione industriale.
Nelle aule delle Terme di Diocleziano è collocata l’opera monumentale Columna, di oltre 8 metri di altezza, realizzata nel 2004, interamente composta da frammenti scultorei di corpi in resina, innalzata su un basamento in legno concepito come un’antica base di colonna romana. Accanto 6 sculture in bronzo e arazzi realizzati con disegni dell’artista, eseguiti con metodi tradizionali di tessitura della zona dello Yucatan.
Di grande bellezza e potenza, il lavoro di Javier mostra la forza della sua artigianalità e l’originalità di un’arte figurativa che va oltre i confini della rappresentazione-riproduzione per quanto soddisfi anche un’esigenza estetica. Possente la colonna dove la deformità e il dolore sposano l’armonia classica; così come la Cabeza de Chico Grande in legno a Palazzo Esposizioni rompe lo schema della scultura classica diventando però testimonianza archeologica con i tre frammenti che compongono la figura nei quali ha utilizzato il colore blu intenso per sottolineare i tagli. Tra l’altro l’effetto della sinestesia odorosa del legno è molto piacevole e ci trasporta idealmente in un parco di rovine, nella natura.
Chi è Javier Marín
L’artista messicano è nato a Uruapan (Michoacán) nel 1962. Nel corso di un’attività artistica di quarant’anni, Javier Marín ha esposto le sue opere in più di trecento mostre individuali e collettive, in Messico, Stati Uniti e Canada, come anche in diversi Paesi dell’America Centrale, dell’America del Sud, dell’Asia e dell’Europa. Sebbene molti delle sue opere siano di tipo astratto, è più noto, paradossalmente, grazie alle sue sculture figurative. Nella sua permanente ricerca fa uso di materiali e tecniche classiche, affiancate altresì allo sviluppo di tecniche nuove, ad esempio i polimeri misti che fanno da castone a semi, zucchero, carne, tabacco e altri materiali. Recentemente, Marín ha incluso nella sua ricerca la scansione e stampa 3D, con tecniche di integrazione, sottrazione o ibride anche stampa fotografica digitale, in una constante esplorazione di nuovi strumenti.
Le sue opere sono un invito agli spettatori a concentrarsi sull’evidenza del procedimento, sugli elementi centrali nella trasformazione dei materiali e sull’intervento di terzi, siano questi persone o macchine. Le sue opere formano parte di collezioni pubbliche e private di grande rilievo, tra le quali quelle del Museo de Arte Moderno e del Museo de la Secretaría de Hacienda y Crédito Público, a Città del Messico; quella del Museo de Arte Contemporáneo di Monterrey; quella del Museo del Barro, a Caracas; del Santa Barbara Museum of Art, in California; del Museum of Fine Arts di Boston; del Boca Raton Museum of Art e quella del Latin American Museum, in Florida. A queste si aggiungono la Collezione Blake-Purnell, a New York; la Collezione Costantini del Museo de Arte Latino-americano di Buenos Aires; la Collezione Ersel, a Torino, e la Collezione d’arte del Principato di Monaco.
Di particolare rilievo, tra le sue attività più recenti, la creazione della Fondazione Javier Marín, un’organizzazione no-profit nata nel 2013 e inserita nell’ambiente della cultura e l’arte con lo scopo di fare ricerca, e creare legami e professionalizzare le arti plastiche e visive. Con questo fine, cerca di promuovere gli incontri e la collaborazione presso comunità vulnerabili.
a cura di Ilaria Guidantoni