Con l’insolito dittico Edgar-Le Villi si è alzato il sipario sulla 70a edizione del Festival Puccini di Torre del Lago (Viareggio), con regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi e sul podio Massimo Zanetti, molto applaudito dal pubblico.
La prima volta nella storia delle sue 70 edizioni, il Festival Puccini mette in scena in una sola stagione sette opere del Maestro di cui sei nuovi allestimenti, affidandosi a Pier Luigi Pizzi che ha inteso dar vita a un progetto unico, in ordine cronologico, per mettere in risalto il modo in cui il compositore ha concepito la sua antologia.
Così a inaugurare la stagione 2024, l’esordio di Giacomo Puccini, eseguite una dopo l’altra per dare il senso della coerenza dell’avvio della composizione dell’autore, che aveva appena concluso il Conservatorio, e il sinfonismo che ha caratterizzato il suo avvio, presente in entrambe, pur essendo due opere molto diverse. Non sono opere minori semmai embrionali dove, soprattutto per quanto concerne l’Edgar, si intravedono motivi musicali e stile della futura produzione e la grande versatilità del Maestro, nel viaggiare per il mondo attingendo fonti di ispirazioni diverse, la capacità di unire il lato popolare e storie comuni a protagonisti di statura vissuti però nella loro intimità.
Fin dai primi due lavori lirici emerge chiaramente la portata innovativa della musica di Puccini, la sua straordinaria modernità esaltata da una regia che valorizza l’immedesimazione del pubblico con l’opera anche grazie all’effetto immersivo della scenografia. La mano unica che disegna scene e costumi e raccorda le fila, crea una grande armonia che non concentra l’attenzione solo sulla musica – che da sola riesce ad essere protagonista – o sul virtuosismo delle voci. L’orchestra che all’inizio sembra forse troppo poco presente emerge gradualmente per fare corpo unico con la scena mettendo in luce come la musica di Puccini non abbia bisogno di imporsi. Ne Le Villi non c’è una sola nota in più ed è incredibile se si pensa all’esordio di un giovane. La scelta degli interpreti, al di là delle voci, è centrata anche nel physique du rôle.
Un cartellone quanto mai ricco in omaggio a due anniversari per l’unico festival al mondo dedicato a Giacomo Puccini, nato nel 1930, quando fu rappresentata la Bohème, con la direzione di Pietro Mascagni, voluto dalla Città di Viareggio per celebrare il Maestro che a Torre del Lago prima, e Viareggio poi, scelse di vivere, ma che nel lago sentì il suo vero ambiente di ispirazione musicale e di conforto personale, lontano dalla mondana Versilia. Fu lì infatti che nel giugno del 1891 decise di rendere la casetta del guardiacaccia Venanzio, di fronte alle paludi del lago di Massaciuccoli, la sua dimora. Quel mondo sembra tra l’altro essersi cristallizzato come uno scrigno appena fané che, una volta aperto, schiude le porte a un mondo incantato dove si incontrano tutte le passioni del Maestro, a cominciare dalla caccia.
Infatti “attraverso l’esecuzione della sua opera, nei luoghi della loro creazione”, dichiara il presidente della Fondazione, Luigi Ficacci, “il nostro intento è produrre per il pubblico l’esperienza dal vivo degli elementi intrinseci al genio pucciniano, in una condizione speciale, distinta dalle deformazioni e dagli equivoci impliciti nella riproduzione musicale e nel suo abuso fuorviante”.
Nell’occasione del Centenario dalla morte avvenuta a Bruxelles nel 1924, anche il restauro di 12 edifici luoghi del cuore del Maestro, uno dei quali, Villa Caproni di fronte alla casa di Giacomo, diventerà la sede della residenza degli artisti, cuore della Puccini Academy, centro di alta formazione della Fondazione Festival Pucciniano, per dar vita a Borgo Puccini.
Ci saranno ad esempio anche interventi su edifici di archeologia industriale come le officine della vecchia torbiera. Così il Festival diventa un’occasione per entrare nel mondo di Puccini di allora e nella sua eredità da rivitalizzare. Una sorta di “viaggio nel futuro ispirato al passato”, come ha spiegato l’architetto Paolo Riani, già direttore dell’Istituto italiano di cultura a New York.
Le Villi, nell’edizione critica curata da Martin Deasy (Ricordi, 2020), ricostruisce la versione in un atto, che si distingue, sia strutturalmente sia esteticamente, dalla revisione in due atti, presentando significative differenze nell’orchestrazione e peculiarità nella scrittura vocale. Di nuovo in scena a Torre del Lago (l’ultima volta qui fu rappresentata nel 2019), la nuova produzione di Le Villi-Willis, nella dicitura originaria tedesca: creature mitologiche che seducono i giovani per trascinarli con loro nelle profondità del mare; vittima di questa furia vendicatrice è l’infedele Roberto interpretato da Vincenzo Costanzo che, cercando la sua amata Anna alias Lidia Fridman, morta di dolore per essere stata da questi abbandonata, viene trascinato e ucciso durante la Tregenda; questa diabolica danza vede le coreografie, in scena 20 ballerini, affidate a Gheorghe Iancu, storico partner di Carla Fracci e che da trent’anni collabora con Pier Luigi Pizzi.
Nel ruolo del padre di Anna, Guglielmo Gulf, Giuseppe De Luca. Completa il cast Il Coro del Festival Puccini sotto la guida di Roberto Ardigò. Qualche attenzione merita Vincenzo Costanzo, la cui storia sembra una favola o una commedia napoletana, dall’infanzia trascorsa in campagna con il nonno contadino, alla povertà e alla malattia, scoperta mentre cantava La Rondine nel 2017, sconfitta insieme a un destino che sembrava tracciato. Lo Zecchino d’oro (vinto a dieci anni) e l’oratorio ma anche le cattive compagnie, fino alla vocazione, la dote musicale, coltivata fin da piccolo quando imitava le voci alla tv finché viene preso nel coro di voci bianche del San Carlo di Napoli cantando La donna è mobile. Lidia Fridman è la vera protagonista canora delle due opere, grazie a una voce con l’estensione e la capacità di modulazione che incontra perfettamente il portato pucciniano che chiede a quella femminile una grande poliedricità di espressioni, come fosse un vero e proprio strumento. Non solo, l’interprete ha una grazia che incarna perfettamente l’eroina vittima virtuosa e pronta ad un amore generoso oltre ogni limite, raffinata nelle movenze dotata di doti recitative.
È importante per apprezzare quest’opera sapere che si tratta di un’opera-balletto scritta per un concorso indetto da Sonzogno che prevedeva parti sinfoniche e alcuni paletti fissati. A dire il vero l’opera, scritta dal librettista scapigliato Federico Fontana, che firma anche l’Edgar, passò inosservata e si rivelò per il suo timbro solo quando Puccini la eseguì al piano per un gruppo di appassionati tra cui Arrigo Boito, librettista scapigliato che lavorava con Verdi, il quale ne prese le distanze comprendendo però che c’era stoffa in questo neo diplomato. Da notare il sinfonismo e il ricorso alla mitologia, spiritelli e creature leggendarie, che avvicina Puccini all’opera tedesca e slava, molto distante dal gusto italiano. In ogni caso Le Villi, rappresentate al Teatro Dal Verme di Milano, fu un successo.
Domina il palcoscenico un gigantesco ledwall di 26metri x 8, che per Pizzi ha il vantaggio di realizzare una tridimensionalità in movimento e di conferire alla scenografia una maggiore verità spaziale.
La foresta è caratterizzata da bellissimi alberi in fiore che si spogliano di tutta la loro bellezza con lo svolgersi della vicenda che termina con la morte dei due protagonisti, assumendo una colorazione verde, spettrale. Raffinata la realizzazione della danza con abiti senza tempo che ricordano alcuni balletti dei primi del Novecento, anche nei film muti e in un certo senso i cori delle tragedie greche.
Edgar, titolo raramente rappresentato sui palcoscenici operistici nazionali e internazionali (sono trascorsi infatti già 16 anni dalla sua ultima presentazione al Festival Puccini) composto su consiglio di Ponchielli, è solo la seconda volta che viene rappresentato in 70 edizioni. L’opera debuttava il 21 aprile 1889, domenica di Pasqua, al Teatro alla Scala, una partitura che non dava ancora la misura del talento del compositore ma che non mancò di raccogliere giudizi positivi e di apprezzamento dal pubblico e dalla critica.
Anche questa seconda opera pucciniana è proposta nella sua versione originale in quattro atti nella ricostituzione sull’autografo a cura di Linda Fairtile con la supervisione di G. Dotto e C. Toscani. Pier Luigi Pizzi, regia, scene e costumi, ha scelto la versione in quattro atti, tenendo conto dei ripensamenti del Maestro. Il lavoro è armonico anche se forse il quarto atto, soprattutto nel duetto tra i due innamorati, può essere ancora sfrondato. Però nell’ottica di una restituzione storico-filologica della produzione pucciniana è certamente interessante questa scelta.
“L’opera”, sottolinea Pizzi, “è lunga, la prima versione è densa di idee, di forti temi musicali e di ampie pagine sinfoniche, ma c’è anche qualche eccesso narrativo. L’autore se ne rese conto e applicò tagli consistenti alla partitura originaria, arrivando a sopprimere il quarto atto drasticamente. A mio parere il quarto atto di Edgar e quello che forse contiene il maggior numero di pagine precorritrici di importanti sviluppi del linguaggio pucciniano”.
In effetti la partitura sembra contenere in nuce tanti temi musicali e di contenuto che poi saranno “esplosi” nel corso della carriera di Giacomo Puccini.
Sul podio dell’Orchestra del Festival Puccini, Massimo Zanetti sottolinea la modernità delle prime opere di Puccini, un punto di riferimento al quale tornerà sempre, espressione di quanto seguirà. Ad interpretare la storia che si svolge in un villaggio delle Fiandre il giovane Edgar, Vassiliii Solodkyy che, nonostante l’affetto per la dolce Fidelia interpretata da Lidia Fridman, non riesce a resistere al fascino della provocante Tigrana alias Ketevan Kemoklidze, una zingara, orfana, allevata dalla gente del paese e di cui è innamorato anche il fratello di Fidelia, Frank vestito da Vittorio Da Prato. Nel ruolo di Gualtiero, padre di Frank e Fidelia, Luca Dall’Amico. Il disegno luci è curato da Massimo Gasparon. Le coreografie sono firmate da Gheorghe Iancu. Il Coro del Festival Puccini è istruito da Roberto Ardigò. Il Coro delle voci bianche è diretto da Viviana Apicella. Il disegno video è di Matteo Letizi.
Le due protagoniste femminili sono scelte in modo quasi simbolico antitetiche, diafana Fidelia, che sembra fatta per amori pastorali come la zingara grida a Edgar in modo provocatorio, abbigliata come una vestale; mentre Tigrana è incandescente, dirompente, dal cuore infedele, pronta ad essere sedotta da quanto luccica di più e il suo motivo ci ricorda fortemente Carmen. L’opera ha una sua complessità tematica, per certi aspetti metafisica, in questo forse diversamente dalle opere successive: non è solo una questione di amori contrastati, di amore puro e passionale pronto a immolarsi da una parte; amore orgiastico, distruttivo, divoratore dall’altro. Qui c’è in gioco la lotta tra il bene e il male interiore, la lacerazione che vive Edgar, l’ambiguità del femminile, la fragilità maschile che finisce per ferire.
Infine una nota coloristica che tesse un filo conduttore tra le due opere e non è a mio parere solo una questione estetica e di costumi; è una scelta interpretativa: le divise sobrie e pompose maschili e i costumi severi grigio fumo delle donne del paese sono il simbolo di un ambiente convenzionale e un po’ bigotto; l’amata infelice che nell’Edgar si riscatterà, è bianca e sofisticata; la passione incontrollata che ferisce è rossa; mentre il bianco e nero o il bianco tessuto in vesti di garza e veli, si modula sulla giovinezza da una parte e su creature che possono essere soavi o crudeli punitrici.
a cura di Ilaria Guidantoni