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Una passeggiata a tappe nella Piccola Atene che comincia dal vento del deserto, l’harmattan, che soffia sulle tele di Medhat Shafik, l’artista egiziano in mostra nelle due sedi di Marcorossi presentata in anteprima da BeeBeez. Il modus operandi di questo artista non è cambiato ma nel nuovo ciclo delle opere dedicate al deserto, è nuova la configurazione della tela, la suggestione della rappresentazione, più rarefatta, con colori chiari e per certi aspetti più didascalica. Sono le sue tele coltone che si modellano su tavole di legno dando l’impressione della sabbia del deserto. Il colore si raffredda con inserti di blu e verde.
Corrispondenze. Barlumi, Angeli e altre storie. Il dialogo tra Pietro Bologna e Pino Deodato alla Galleria Susanna Orlando, la mostra inaugurata in occasione della Collectors Night, a cura di Tiziana Tommei, è terza mostra del programma estivo della Galleria Susanna Orlando. Fino al 12 settembre resterà visibile un’opera site-specific realizzata e curata da Pietro Bologna e Pino Deodato per lo spazio di via Garibaldi 30, progetto nato da una conversazione a due voci che unisce fotografia, scultura e pittura. Le creature, angeli custodi di Pino Deodato si scaldano per entrare in sintonia con le foto della natura di Pietro Bologna.
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In mostra le creazioni in terracotta policroma a ingobbio di Pino Deodato, tra le quali Angeli, Deposizione e Porto Salvo, le opere fotografiche, edizione unica, di Pietro Bologna dal titolo Barlumi; a coronamento, i lavori a quattro mani di pittura e gum print, e l’intervento pittorico di Deodato, ideale congiunzione dei due percorsi intesi e generati come un unicum.
Non è solo un progetto, ma una “dichiarazione d’amore” che nasce dalla materializzazione di un dialogo, di uno scambio che trascende il progetto stesso, sottendendo un comune sentire, un’intima complicità, una sublimale corrispondenza. Da questo prende forma un “viaggio onirico” tra “frammenti di pensiero”: storie in cui l’umanità dell’uno si muove nello spazio aperto dell’altro, che a sua volta si fa scenografia di un racconto, dando così vita ad una nuova storia. E così via in pressoché infinite combinazioni.
La chiave di accesso a questo mondo fatto di natura e poesia è la “sintesi”, intesa come viatico verso l’assoluto. Procedere per sottrazione o cancellazione, in una ricerca rabdomantica, al fine di veicolare un messaggio universale e inclusivo, una “rivoluzione gentile”, un invito ad avere cura dell’opera che custodisce “l’essenza delle cose”: la natura.
Il risultato è un romanzo poetico la cui narrazione rifugge qualsiasi linearità per procedere attraverso subitanei bagliori, barlumi e soffuse epifanie; liberi fotogrammi in cui il colore diviene strumento empatico e semantico; una partitura musicale aperta, che lungi dal condurre ad una inopinabile verità, insinua riflessioni e interrogativi circa la natura e l’umanità come parte di essa.
Un’osmosi che ridisegna la galleria come giardino alchemico, un luogo in cui lo spirito si muove in una danza contemplativa, tra “barlumi, angeli e altre storie”. Opere, oggetti, ‘cose’ dotate di anima e di vita.
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Chi è Pino Deodato
Nasce a Nao, Vibo Valentia, nel 1950. Dagli anni Novanta l’espressione artistica di Deodato è caratterizzata da un realismo magico che, trovando ispirazione nelle pieghe della sua memoria, dà origine a vere e proprie metafore della vita. Questo percorso prosegue nel nuovo millennio: Deodato, umanista e alchimista dell’immagine, sempre in transito tra scultura e pittura, continua a narrare la storia dell’uomo con uno sguardo severo e gentile, acuto e poetico, aperto al meraviglioso e al fantastico. Ha esposto in Italia e all’estero in gallerie e spazi museali, tra Milano, Roma, Torino, Pietrasanta e Kuwait City.
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Chi è Pietro Bologna
Nato a Milano nel maggio del 1972, Pietro Bologna è autodidatta. Nei primi anni Novanta si trasferisce in Germania e successivamente in Argentina lavorando come modellista, assistente fotografo, fotogiornalista e docente di camera oscura. Oggi affianca alla sua ricerca in ambito artistico la professione di designer.
La sua prima mostra personale risale al 1998 al centro Cultural J.L. Borges di Buenos Aires. Negli anni successivi ha esposto in Italia e all’estero in spazi pubblici e privati.
Alla Galleria The Project Space Annalisa Bugliani Arte-tg residency è di scena La Banda Pietrasantina
L’esposizione raccoglie le opere di quattro artisti giovani ma già affermati a livello internazionale: Vladimir Kartashov, Apollinaria Broche, Victoria Kosheleva e Alise Yoffe. Artisti che appartengono alla stessa generazione che però operano in diversi campi espressivi. Grazie alle residenze della Fondazione tg residency sono venuti a Pietrasanta per trovare la loro fonte di ispirazione e utilizzare i laboratori locali.
La mostra presenta i loro lavori insieme schizzi, modelli, foto e video delle opere in corso. Alcuni pezzi sono esposti incompiuti per mostrare il processo creativo.
Vladimir Kartashov, nato nel 1997 in una città della Siberia, esplora gli spazi di gioco dove trascorre gran parte della sua vita, creando repliche del mondo virtuale e integrandole nelle routine quotidiane. Lavorando principalmente con forme pittoriche, spesso integrate con installazioni, Vladimir si concentra sulla trasformazione della memoria culturale su internet e sull’emergere di una nuova mitologia internet. Combinando le tradizioni del muralismo messicano e della nuova scuola di Lipsia, sviluppa un nuovo stile: il cyberbarocco. Effetti di glitch su supporti tradizionali, personaggi fantastici idealizzati e cambiamenti di prospettiva dovuti a “lag” sono tecniche che Vladimir utilizza per sfidare le percezioni tradizionali della prospettiva e rivelare la diversità di una nuova realtà generata dagli utenti.
Apollinaria Broche, nata nel 1995, Apollinaria Broche vive e lavora a Parigi e Pietrasanta. Ha conseguito il diploma presso ENSBA Paris atelier Anne Veronica Janssens nel 2020. Attraverso la sua pratica basata su scultura e installazione, Broche crea luoghi di fuga e ritiro dal mondo che sfumano i confini tra reale e immaginato. Incorporando il bronzo nel suo ultimo lavoro—un’aggiunta resa possibile dalla sua residenza a Pietrasanta—Broche mette in evidenza le dualità presenti nella sua pratica: forza e fragilità, incubo e sogno, personale e politico, fantasia e realtà.
Victoria Kosheleva, nata nel 1989, anche lei vive e lavora attualmente a Parigi. Si è diplomata presso il dipartimento di arte monumentale dell’Istituto d’Arte Surikov e successivamente si è formata alla Parsons New School di New York. Dopo aver completato il corso Free Workshops sui problemi dell’arte moderna e della filosofia dell’arte a Mosca, si è trasferita a Parigi, dove ha rivalutato le sue competenze e conoscenze accademiche. Nella sua ricerca di un approccio personale, si è immersa nei suoi pensieri e sentimenti, mantenendo però l’attenzione sulle qualità pittoriche delle sue opere. La tecnica rimane un criterio chiave nella sua valutazione dell’arte.
Alisa Yoffe, nata nel 1987, ha studiato con Anatoly Osmolovsky e si è diplomata all’Istituto d’Arte Contemporanea di Mosca. Borsista del Joseph Brodsky Fellowship Fund e residente dell’American Academy a Roma (2017-2018), Forbes l’ha nominata una delle giovani artiste russe più promettenti nel 2015. Ha collaborato con marchi come Cartier, Comme des Garçons, Maison Margiela e Bonne Suits. Nel 2021 ha vinto il premio Demyan Bedny per la “Prospettiva Sinistra”. Attualmente vive e lavora a Tbilisi, Georgia.
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Alla Galleria Giovanni Bonelli è di scena Nicky Hoberman Unfinished Business, a cura di Gianni Romano, in programma fino al 28 luglio.
L’artista inglese è celebre a livello internazionale per i ritratti di bambini e bambine dai volti sovradimensionati con uno sguardo molto preciso, penetrante ma mai seducente. L’interesse principale della Hoberman è esplorare le emozioni e la comunicazione corporea utilizzando i bambini come metafore di universalità. Nei loro volti le emozioni forti che essi trasmettono sono compensate – o in alcuni casi amplificate – da un uso ludico dei colori cangianti per gli sfondi o per i dettagli. Queste immagini non sono frutto di fantasia ma frammenti di realtà ottenuti dell’elaborazione di foto polaroid fatte ai figli di amici e familiari, poi tradotte in pittura tramite la personale poetica dell’artista, caratterizzata anche da una sfocatura artistica che la rende immediatamente riconoscibile.
Nei lavori più recenti i colori accesi dello sfondo sono stati sostituiti da un bianco abbagliante che rende la linea del colore protagonista, in un ibrido tra pittura e disegno dove lo spazio vuoto tra le pennellate è altrettanto importante di quello dipinto. Esempio di questa produzione è l’opera ButterflyEye Ball, composta da ventisei tele bianche di piccolo formato che, ad un primo sguardo, ricordano il volo di tante farfalle colorate. Avvicinandosi questo volo si trasforma fino a farci realizzare che stiamo guardando dei volti ottenuti con pochi tratti colorati e veloci che disegnano -letteralmente- occhi, nasi e bocche. In questo lavoro risulta più evidente, seguendo le parole del curatore, come la Hoberman percepisca la pittura come “uno spazio di possibilità (…) un luogo di crescita, in cui artista e pubblico misurano le differenze tra realtà e apparenza.” Nei lavori recenti l’economia del tratto, che si è andato sempre più rarefacendo, trasmette la volontà dell’artista di liberare la pittura -senza per questo diminuire l’intensità delle emozioni trasmesse- per farla “respirare” e consentirle di librarsi in volo turbinando intorno a noi con quel senso di incompiutezza vibrante richiamato dal titolo della mostra. Anche la giocosità è un elemento importante nel lavoro della Hoberman, che compensa l’intensità emotiva più cupa delle sue figure. I suoi colori vivaci, che ricordano le caramelle o i giocattoli, sono ludici, con animali come gattini, cuccioli, galline e anatre, così come i titoli che alludono a metafore fantasiose.
La mostra è accompagnata da uno scritto di Gianni Romano e prosegue poi nella sede di via Nazario Sauro 56 con una selezione di opere di grandi dimensioni della fine degli anni Novanta.
Chi è Nicky Hoberman
Nato a Città del Capo nel 1967, vive e lavora a Londra. Trasferita a Londra dove ha conseguito un master in Storia moderna presso il Worcester College dell’Università di Oxford, una laurea in Belle Arti presso la Parsons School of Design di Parigi e un master in pittura presso il Chelsea College of Art di Londra. Le sue opere sono state esposte alla Victoria Miro Gallery di Londra (2022); al Tokushima Modern Art Museum di Osaka (2022); al Museo de Belem di Lisbona (2015); alla Fondazione Maramotti di Reggio Emilia (2012 e 2007); alla Gould Galleries di Melbourne (2010); Museo Michetti, Francavilla al Mare (2000); Magasin 3 Konsthall, Stoccolma (1998); Whitechapel Gallery, Londra (1998); Museum of Contemporary Art, Chicago (1997); Museum of Contemporary Art, Sydney (1997); Tate Liverpool (1986). In Italia ha tenuto la sua prima mostra personale allo Studio D’Arte Cannaviello di Milano (1997). Le sue opere sono presenti in alcune delle più importanti collezioni istituzionali, tra cui: Collezione Maramotti, Reggio Emilia (I); Museu Colecção Berardo, Lisbona; The New Art Gallery, Walsall (UK); The National Gallery of Victoria, Melbourne; Sammlung Olbricht, Essen (Germania); Scheringa Museum, Olanda; The Nigel Moores Charitable Foundation, Liverpool; The Hunterdon Art Museum, New Jersey
A cura di Ilaria Guidantoni