In collaborazione con la London Tate Britain e il Metropolitan Museum di New York, il Centre Pompidou presenta la retrospettiva più completa dedicata al lavoro di David Hockney, pittore, disegnatore, incisore, fotografo e scenografo britannico. La mostra celebra l’80mo compleanno dell’artista rivedendo la sua intera carriera attraverso più di 160 opere (quadri, fotografie, sculture, installazioni video, disegni e stampe), che includono i suoi dipinti più iconici (piscine, ritratti doppi e paesaggi monumentali) e alcune delle sue più recenti creazioni. Si veda Sothebys. La mostra si concentra in particolare sull’interesse di Hockney sulle moderne tecnologie per la produzione e riproduzione di immagini. Mosso dalla costante preoccupazione di assicurare la più ampia visibilità al suo lavoro, nella sua carriera si è successivamente servito della macchina fotografica, del fax, del computer della stampante e ultimamente dell’ipad. Per lui la creazione artistica è un atto di condivisione. Didier Ottinger, curatore della mostra, è anche editor di un catalogo della mostra di 320 pagine pubblicato dal Centre Pompidou. La pubblicazione contiene anche saggi di Didier Ottinger, Chris Stephens, Marco Livingstone, Andrew Wilson, Ian Alteveer e Jean Frémon, oltre ad una estensiva cronologia. La mostra si apre con dipinti del giovane Hockney, che provengono dal periodo in cui frequentava il college artistico nella nativa Bradford. Immagini di una Inghilterra industriale che testimoniano il grigio realismo sociale dei suoi insegnanti, membri della così detta Kitchen Sink School. Alla Bradford School of Art e al Royal College of Art a Londra, Hockney ebbe modo di scoprire e assimilare la versione inglese dell’Espressionismo Astratto impersonato da Alan Davie. In Jean Dubuffet trovò uno stile (graffiti, naïve etc.) che rappresentò una adeguata risposta alla sua domanda di un’arte espressiva e accessibile, e in Francis Bacon l’audacia per esplicitare il tema allora scabroso della omosessualità. La scoperta di Picasso poi lo convinse che un artista non doveva limitare la sua capacità espressiva ad un unico stile tanto da giungere a intitolare una delle sue prime mostre “Dimostrazione di versatilità”.