La cornice raffinata dell’hotel Byron, fascino d’antan, sul lungomare di Forte dei Marmi, in collaborazione con Barbara Paci galleria d’arte di Pietrasanta, ospita la personale di Aron Demetz (fino al 30 ottobre prossimo), un artista nato in Italia nel 1972, una formazione all’Istituto d’arte di Selva di Val Gardena dove vive e lavora, dopo un percorso di frequentazione all’Accademia delle Belle Arti di Norimberga ed esser stato professore di scultura all’Accademia delle Belle Arti di Carrara.
La sua arte è in bilico tra il folclore e la tradizione dell’arte delle sue zone, il classicismo e la voglia di sperimentazione, in grado di prendere il volo, configurandosi con un respiro universale di modernità; lontana, anche quando l’uso del legno lo avvicina alle sue valli, da ogni riferimento strettamente territoriale. La mostra, focalizzata sulla figura umana, in un percorso figurativo, per certi aspetti iper-realistico – in particolare nei due busti femminili Di OhneNamen Blieb del 2010, in tiglio e Nordwind del 2007, sempre in tiglio – trasmette l’eco della land art, evocata anche nel titolo dell’esposizione Wherever I lay my art, That’s my home, secondo quanto impresso sulla copertina del catalogo raffinato (stampato da Bandecchi & Vivaldi di Pontedera) con il testo critico di Alessandro Romanini, curatore della mostra, nata da un’idea di Salvatore Madonna. L’occasione è una nuova riflessione sul contesto e sintassi spaziale, da anni al centro della sua poetica ma che si inserisce nell’ambito di una tendenza che da alcuni decenni porta a viaggiare molto artisti ed opere d’arte, con la conseguenza che il trasloco di lavori artistici in ambiti completamente diversi trasforma in qualche modo la percezione degli stessi. In relazione all’ambiente naturale Demetz provenendo da luoghi che raccolgono identità diverse dialoga in particolare con il tema del confine e dell’ospitalità, impiegando il legno come materia prediletta che è per eccellenza simbolo del suo orizzonte naturale, come nella grande testa esposta nel giardino, intitolata semplicemente Testa del 2017 in sequoia e nella delicata testa di bambino di piccole dimensioni del 2014 in noce e foglia d’argento, Sul sentire, dove l’argento veste le orecchie. Non è un caso che nei paesi nordici europei coperti da grandi foreste, come anche quelli slavi e la Russia spesso le comunità locali segnano il tronco degli alberi per marcare il territorio. In tal senso, secondo quanto rileva il curatore, non si possono trascurare molti titoli delle opere dell’artista che ci riportano ai temi della natura e dell’identità del luogo, come Heimat, parola tedesca senza corrispettivo in italiano che indica la piccola patria o luogo natio, il posto dove ci sente a casa e soprattutto del quale si parla la lingua delle emozioni.
L’arte di Demetz coniuga l’aspetto concettuale alla forza dell’artigianalità che lo rende un artista ‘classico’, mentre la forza della sua tridimensionalità che si impone nello spazio, spinge lo spettatore a un dialogo interattivo e partecipativo con l’opera, come un personaggio che si incontra nel proprio cammino. L’allestimento di Giampiero Ghelfi e Angelo Chieregati, contribuisce a quest’ottica di naturalezza dell’incontro con le opere, sfuggendo alla rigidità museale. Demetz tiene insieme, come a mio parere osserva giustamente il testo critico del catalogo – accompagnato dalle immagini di Nicola Gnesi – il classicismo, legato alla purezza del forme di stampo canoviano, al minimalismo, un po’ scabro ma vibrante dell’Arte povera.
Una pausa di riflessione per riconnettersi con radici profonde, un’oasi nella mondanità della Versilia.
a cura di Ilaria Guidantoni