La notte mi cammina sui piedi, le pietre della strada, come scatti d’orologio, scandiscono i talloni, li percorrono, li fiaccano, e così pure i tendini, l’intorpidirsi dei muscoli, trafitti dall’aria che passa e che si rende passato del mio vagare. La meta non c’è, in questa Firenze crepuscolare che fermenta come un tramonto sul letto ripiegato del mare. Là dove vibra la superficie si insinua la luce. Dove il vento muove, si dipana l’oscuro. E la notte, la stessa notte, non ha meta ma un semplice destino, quello di vagare e ritrovarsi al di là della sera, per poi, all’alba, perdersi ancora. La gente si zittisce o parla sottovoce. E non c’è ginnastica migliore per la mente che infilarsi due gambe nel cervello, ed errare come un errore (l’errore di andarsene definitivamente), come l’orrore (l’orrore oltre il Chianti, oltre il Mugello, oltre il Valdarno – l’orrore dell’oltre, di ciò che è diverso, di ciò che è altro da questa città), come una erre che si arrota nel palato, scoppia nell’iride e ride: perché che siamo noi, se non piccole comparse comiche nella farsa carnevalesca che ci veste la miseria? E Firenze, di notte, è nuda come una musa che danza. Si rivolta in se stessa, nei fetidi crocevia del diavolo, che canta, anche lui, con voce d’Arno, di campane bronzee, di ubriachezza. Il Rinascimento è il ricongiungimento del demone col suo angelo, dell’uomo con Dio, di Dio con la sua creazione. Il Signore ha profanato se stesso nella bellezza. Ha tradito un solo principio ed è come se li avesse traditi tutti. Anche a noi è bastato un frutto, e siamo solo uomini in fondo. La bellezza, Teresa, ha uno scandalo in se stessa che va oltre l’inganno: appartiene in eguale misura al bene e al male, ma di questo dualismo è trina, ha una vita propria che li trascende. E la bellezza di Firenze è immutabile già prima che sia venuta ad esistere. Non per il Duomo, Santa Croce, la torre di Giotto. Non per questo. Ma per quel suo silenzio che li fa riposare, come in un torpore, come in un’attesa di polvere. La bellezza cos’è, Teresa? La mano di una bambina, la tua, capace di rimuovere lo sporco, di acquietare le voci quando si alzano e camminare con passi che non fanno rumore. Noi non conosciamo più cosa sia nè cosa sia stato il silenzio della bellezza. Solo la notte ci ipnotizza e, come in un sogno, ce ne dona un esile assaggio. Ma, assopiti, siamo come sognanti, addormentati o non addormentati, o l’una o l’altra cosa, mai però la terza, quella che trascende e che sgretola la bellezza nella sua polverosa attesa. Non abbiamo più, come te, Teresa, mani di bambini.
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Bernardo Giusti, nato a Firenze nel 1990, giovane speranza tra i romanzieri italiani ha pubblicato recentemente “Bivium” Edizioni Masso delle Fate. Teresa non è ancora nata e Bernardo Giusti ha scelto Bebeez per condividere l’attesa.