Si è conclusa ieri a Sansepolcro (Arezzo) la 22° edizione di Kilowatt Festival 2024 che in nove giorni ha dato spazio ad artisti italiani e stranieri, impegnati a far conoscere i loro nuovi lavori nel campo della prosa, danza, performance digitale e arte visiva.
Diffuso in 15 suggestive location del borgo medievale, il festival si caratterizza per la molteplicità di linguaggi e la fiducia accordata a giovani compagnie, drammaturghi e coreografi che rappresentano la nuova linfa della nostra scena e di quella internazionale.
Come sempre alla direzione ci sono stati Lucia Franchi e Luca Ricci, fondatori dell’Associazione CapoTrave/Kilowatt, uniti nella passione per il lavoro e nella vita: per quest’anno hanno scelto, citando il poeta Walt Whitman, il claim Contengo Moltitudini. “In ognuno di noi – sottolineano – convivono molti sé: la molteplicità porta alla contraddizione che è la capacità di accogliere punti di vista diversi, fuori e dentro di noi. Non siamo però solo ciò che il nostro corpo delimita: facciamo parte di una vasta moltitudine formata da esseri umani, animali e vegetali, e della Terra che accoglie ogni specie. Siamo estensioni verso ciò che è altro da noi, nonostante questo tempo di esasperato bisogno di definirsi, di delimitarsi, di tormentare le parole per costringerle a rappresentare la pluralità. Una lingua forse non riesce a contenere le innumerevoli identità del mondo, ma l’Arte sì, perché cerca di creare qualcosa di più vasto di quello che ogni singola esistenza può aver vissuto, per far estendere e moltiplicare le nostre piccole vite.”
Come ogni anno il festival ha un padrino ma quest’anno ne ha avuti ben due: Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, sodalizio artistico che ha scritto pagine indimenticabili nella storia del nostro teatro. Li amiamo e seguiamo sin dalla fine degli anni settanta quando la loro compagnia si chiamava prima Il Carrozzone e poi Magazzini Criminali e ancora ricordiamo l’emozione provata assistendo a Punto di rottura e Crollo nervoso con in scena Marion D’Amburgo. A loro Kilowatt ha dedicato un focus che comprendeva un convegno diviso in due sezioni: Teatro e arti visive e L’attore e la sua voce a cui hanno partecipato, tra gli altri, Giovani Agosti, Francesca Benedetti, Francesca Della Monica, Lino Guanciale e Fabrizio Sinisi.
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Tre sono state le creazioni presentate al Festival: il primo è stato un lavoro di video-teatro realizzato da Federico Tiezzi; per lui Sandro Lombardi ha tradotto e adattato la novella di Henry James, La belva nella giungla (The Beast in the Jungle), scritta nel 1903, e il regista ne ha affidato l’interpretazione a Anna Della Rosa e Graziano Piazza. E’ la storia di due solitudini e di un amore infelice. Dopo essersi conosciuti a Sorrento dieci anni prima, John Marcher e May Bartram s’incontrano a un ricevimento a Londra: lei non l’ha mai dimenticato, soprattutto perché John le ha confidato il presentimento di avere nell’animo qualcosa di oscuro simile a una catastrofe che un giorno all’improvviso si sarebbe manifestata, al pari di una bestia feroce in agguato pronta a colpire. Lui stenta a ricordare ma pian piano le tessere del mosaico si ricompongono nella sua memoria sino alla singolare rivelazione che le aveva fatto. Da quel giorno inizia una frequentazione e un’amicizia che rimane tale per John mentre per May è amore, seppur mai palesato. Passano gli anni e il rapporto si consolida: sarà solo quando l’amica sarà prossima alla morte che John potrà dare un nome alla “belva”: è la sua incapacità di amare, il non saper riconoscere e ricambiare l’amore di May, l’egoismo, una celata misoginia.
Supportata dagli interventi pittorici di Jacopo Stoppa e dalla fotografia e montaggio di Nicola Bellucci, l’opera-video (Tiezzi la definisce così) risulta di notevole bellezza formale e lascia intatta tutta l’ambiguità e l’allusività tipiche della scrittura di James. Anna Della Rosa è una perfetta May: seduttiva e intrigante prima, malinconica e rassegnata quando vicina al congedo. Graziano Piazza dà a John sicurezza virile e rigore autoreferenziale che poi si stemperano lasciando spazio a dubbi e autoanalisi. Tiezzi è anche autore di una serie di sette video ritratti (Vasari: le vite. Nati sotto Saturno) ispirati appunto all’opera di Giorgio Vasari. Lo storico dell’arte ci ha fatto conoscere da vicino i più celebri pittori del medioevo e del manierismo italiano: il regista ha scelto per ognuno di loro (oltre allo stesso Vasari) un attore che con efficacia ne svela vizi e virtù. Drammaturgia e adattamento di Fabrizio Sinisi e realizzazione video di Davide Barbafiera.
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Terza produzione della Compagnia Lombardi-Tiezzi con debutto a Kilowatt è La lunga strada di sabbia. Il viaggio in Italia di Pier Paolo Pasolini. Tra giugno e agosto 1959 la rivista Successo commissionò allo scritture (reduce dalla pubblicazione di Una vita violenta e Ragazzi di vita, apprezzati dai critici ma ignorati dai grandi premi letterari) un viaggio a tappe lungo le coste della penisola. Partendo da Ventimiglia, giù fino alla Sicilia e poi risalendo sino ad arrivare a Trieste, Pasolini, con la nota capacità di cogliere dettagli e particolari all’apparenza irrilevanti, ci regala un ritratto dell’Italia e degli italiani all’inizio degli anni del boom economico. Acutezza, ironia e grande raffinatezza linguistica soprattutto nella descrizione dei paesaggi, ma al contempo chiarezza e nitore sono le caratteristiche di questo delizioso reportage in tre puntate. Federico Tiezzi ne ha fatto uno spettacolo-concerto: Sandro Lombardi legge i brani selezionati con la consueta maestria, il mezzo-soprano Monica Bacelli, accompagnata al pianoforte da Andrea Rabaudengo, si esibisce in canzoni all’epoca popolari. Ricordiamo alcune opportunità per vedere altre nuove produzioni della Compagnia nella prossima stagione: ci sarà la Fedra di Racine diretta da Tiezzi con Elena Ghiaurov protagonista a Genova, Lucca e Milano (al Piccolo dal 9 al 14 aprile) e ancora al Piccolo dal 20 al 25 maggio Erodiàs + Mater Strangoscias, dai Tre lai di Giovanni Testori, progetto di Sandro Lombardi con Anna Della Rosa che si ritrovano dopo aver interpretato insieme il dittico Prima e Durante di Pascal Rambert.
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Dei numerosi spettacoli visti a Sansepolcro (ritornata unica sede del Festival dopo lo sdoppiamento biennale a Cortona) nei primi giorni della kermesse, diamo ora una sintesi, dividendoli tra teatro e danza. Il passar degli anni, il corpo che lentamente cambia e lo spettro incombente della vecchiaia – anche se ancora non alle porte – è il tema scelto dal Teatro dell’Argine per Miserella, titolo appropriato perché si riferisce a come viene chiamata in Toscana la pianta Daphne Mezereum che ha la prerogativa di avere, sopra un gambo in apparenza secco, una gran quantità di fiori. Un implicito invito quindi a considerare anche l’altra faccia della medaglia. Quattro amiche affrontano, ciascuna a suo modo, il problema: c’è chi lo esorcizza e chi si prepara serenamente a questa fase della vita. Per una di loro la faccenda sembra più complessa: già vittima di piccoli cedimenti fisici e spesso distesa a terra, rifiuta l’aiuto delle altre che s’ingegnano a trovare i più svariati mezzi per soccorrerla. Non c’è un vero e proprio plot ma, oltre alla coralità e accattivante fisicità delle attrici (Caterina Bartoletti, Micaela Casalboni – che firma anche la regia – Giulia Franzaresi e Ida Strizzi), hanno particolare risalto e impatto le voci registrate di persone comuni intervistate nelle diverse tappe delle residenze fatte dall’Argine in Emilia-Romagna. Si esprimono sulla stessa tematica, aprendosi sul cambio dello stile di vita, le abitudini e anche il sesso. A queste riflessioni fanno eco quelle delle performer, in parte attinte al loro vissuto, in parte prese a prestito dalle testimonianze raccolte. Ne esce uno spettacolo assai godibile, venato di umorismo e leggerezza, pur trattando una materia spinosa. Collaborazione alla drammaturgia di Nicola Bonazzi e Andrea Paolucci. Scene essenziali ma funzionali di Nicola Bruschi, costumi di Sabrina Beretta e musiche originali di Davide Sebartoli.
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La pièce Il disperato, scritta, diretta e interpretata da Marleen Scholten (attrice e co-fondatrice del collettivo olandese Wunderbaum) ci trasporta nelle atmosfere della drammaturgia nordeuropea. Assistiamo alla cena di una famiglia (marito, moglie, madre di lei e figlia adolescente) e subito notiamo la cappa di silenzio che pesa sui quattro, con le uniche parole di circostanza sul risotto cucinato. Silenzio che viene interrotto da un gioco che sembra essere molto amato, ma anche in questo frangente notiamo qualche nota stonata, una sovraeccitazione che risulta sospetta. Affiorano infatti le prime tensioni e capiamo che il marito soffre di depressione e a poco serve il sostegno pratico (è lei che lavora) e psicologico della moglie. Come si evince, più dello scarno testo sono gli sguardi, le posture, il pianto e il riso ad avere maggior rilevanza. In un finale che non riveliamo ma che era prevedibile per quanto covava sotto la cenere, tocca alla figlia comunicarci con una lettera la sorte che è toccata a lei e a tutti i suoi cari. E’ una denuncia della violenza familiare che alberga ormai ovunque, costruita con sapienza sia sul versante drammaturgico che su quello registico e attoriale: in un efficace gioco di squadra troviamo Elisabetta Bruni, Ludovica Callerio e la stessa Scholten nel ruolo della madre. Menzione speciale per Alessandro Riceci, padre fragile e nevrotico ma capace di tenerezza. Dramaturg Dafne Niglio, scene e luci di Maarten van Otterdijk.
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Si posiziona tra il noir e il surreale De/Frammentazione di dramma assoluto, la pièce di Fabio Pisano diretta da Michele Segreto. Zero e Uno sono vecchi amici o meglio per Uno è appropriato il termine “amicizia” mentre Zero dell’altro è da sempre innamorato, senza averglielo mai confessato. Scopriamo che Uno è un killer di professione ma fa anche l’ostetrico: è sposato e pur desiderandolo (soprattutto per soddisfare le aspettative della moglie) non può avere figli perché è sterile. Decide quindi di chiedere il “favore” all’amico che, dopo l’iniziale, comprensibile imbarazzo, accetta. Lo vediamo quindi alle prese con la donna che, con il noto intuito femminile, gli fa confessare la verità sul sentimento che nutre per il marito. Zero comunque assolve il compito assegnatogli ma purtroppo al momento del parto, con Uno in veste di ostetrico, la coppia si rende conto che il bebè è nato senza gambe. Lo terranno oppure lo abbandoneranno al suo destino? Tutto questo fa parte di un flash back perché all’inizio della storia il killer ha ucciso l’amico, evidentemente non risultato sufficientemente idoneo. Qualche ripetizione in meno e una maggior compattezza non nuocerebbero al lavoro, interpretato da Francesca Borriero, Michele Magni e Roberto Marinelli.
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Entriamo nel campo della stand-up-comedy con Davide Grillo in Come se niente fosse. Una particolare allerta meteo mette in guardia la popolazione: si sta avvicinando un’enorme ondata di scetticismo. Questo è il canovaccio dal quale il performer spazia per parlarci del rapporto con la fidanzata che lo vuole lasciare e delle promesse fatte alla mamma e mai mantenute. Nella sua essenzialità, ci pare il ritratto di una certa generazione di trentenni che, pur con le attuanti di vivere in un momento storico complesso, sono ancora imbozzolati in seno alla famiglia, incapaci di spiccare il volo verso autonomia e realizzazione di sé.
Parole e musica sono le componenti dell’one man show di Ivan Talarico, autore e cantante, uno dei fondatori del format Sgombro e co-conduttore del divertente programma Le ripetizioni in onda il sabato pomeriggio su Radio 3. Grazie a un volume recuperato su una bancarella dell’usato, Talarico si è appassionato e ha approfondito la figura di Agata Facci di cui, grazie anche al libro ormai introvabile, di Michele Spanni, ci parla in La cantautrice fantasma, ricostruendone la storia. Facci è stata attiva tra gli anni sessanta e ottanta e dalle sue composizioni, secondo la tesi dell’autore, molti illustri colleghi (tra cui Paoli, De Andrè e Battisti) sembrano aver attinto a piene mani, arrivando al plagio, un reato che nella musica peraltro è sempre assai difficile da dimostrare. Talarico ci fa ascoltare sia le versioni “saccheggiate” che quelle arrivate ai vertici delle classifiche: eclettico e comunicativo ci diverte e induce all’empatia con la sfortunata autrice che, scoraggiata dai rifiuti collezionati in tanti anni, ha finito per togliersi la vita.
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Teodoro Bonci del Bene, regista, attore e traduttore, a Kilowatt ha proposto Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la Russia, un interessante monologo (curioso il fatto che sia andato in scena ancora in forma di studio il giorno prima dell’invasione dell’Ucraina), interpretato con ardore e passione. Non è una manifestazione di stima nei confronti di Putin, al contrario ci racconta una vicenda accaduta nel corso dei cinque anni vissuti in Russia dove si è laureato alla Moscow Theatre Art School. Protagonista è il Giovane Artista, che, nato in una famiglia povera ai confini dell’impero, dopo una lunga gavetta, era riuscito a sfondare guadagnandosi fama e successo come comico, ma la sua fortuna si è bruscamente interrotta sino a rischiare di venir ucciso quando ha iniziato a denunciare le condizione di vita di tanti villaggi e, a colpi di satira, a prendere di mira il Presidente. Bonci del Bene arricchiste la narrazione inframmezzando citazioni da Puskin e del poeta Vyrypaev (i cui testi in originale vengono mostrati in video) ma allentando la forza drammatica con alcuni godibili sketch.
Passando alla danza, molto atteso era Skaking Shame (Scuotendo via la vergogna), una creazione della coreografa Melyn Chow, originaria di Singapore ma residente in Olanda dove lavora anche nel mimo e nella performance. Per i suoi quattro danzatori (Estela Canal Parejo, Rita Bifulco, Sjaid Foncé e Ashley Ho) ha voluto la nudità integrale affinché, come da titolo, esplorassero tramite il movimento compulsivo i confini tra sensuale e sessuale in un chiaro intento liberatorio nell’affrancarsi dai tabù e nello scoprire il piacere attraverso l’erotismo. Una prova di virtuosismo la danno i ballerini Clara Davidson e Ibai Jimenez in A Duet del coreografo lituano ma residente in Francia e Belgio Dovydas Strimaitis, già collaboratore della compagnia Peeping Tom. Nella prima parte della coreografia il pubblico, a differenza dei danzatori, non sente la musica (basata sul movimento del Petit Allegro del balletto classico) che irromperà solo più tardi e accompagnerà la coppia sino alla fine di una vera e propria sfida alla resistenza fisica.
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Kilowatt è anche tanto altro: nel settore dell’arte visiva citiamo almeno il progetto di Luigi Presicce diviso in tre parti (La notte, Il sogno di Uccello e La madre che canta la guerra) ognuna ospitata in una diversa location, ispirato alle opere di Paolo Uccello e Piero della Francesca. Del secondo abbiamo visto il suggestivo tableaux vivant sulla Resurrezione e quello sulla Madonna del Parto, quest’ultimo a Monterchi proprio accanto al piccolo museo civico costruito per valorizzare questo imperdibile capolavoro. C’è poi la Danza Urbana nelle piazza di Torre Berta e negli Orti del Bastione di Porta di Ponte; i reading Ad alta voce con gli studenti delle scuole superiori e il vivacissimo gruppo dei Visionari, 44 cittadini della Valtiberina appassionati di teatro e danza che contribuiscono alla selezione degli spettacoli in cartellone, visionando oltre 400 proposte in video: quest’anno sono stati ben 9 i titoli entrati nel cartellone. Non può mancare la musica con i concerti all’ora dell’aperitivo ai Giardini di Piero (dove ci si può rifocillare con l’ottima cucina locale) e per i più nottambuli il Dopofestival con il Dj-set a cura di I Citti del Fare.
a cura di Mario Cervio Gualersi