Un viaggio attraverso 90 capolavori del Museo di Stato Russo di Sanpietroburgo, per raccontare due tematiche molto significative: la raffigurazione delle donne nell’arte russa e le donne artiste in Russia, in un gioco di rimandi attraverso otto sezioni che raccontano un piano diacronico e sincronico ad un tempo. Ogni capitolo un tema ma anche un passo nel tempo coprendo quattro secoli di storia, dalle icone, alle avanguardie fino al monumento simbolo della rivoluzione sovietica di Vera Muchina per l’Esposizione di Parigi del 1937. Un allestimento di grande suggestione che tende a far immergere lo spettatore nelle atmosfere della vita e della cultura russa, oltre che un’antologia preziosa per ampiezza e qualità pittorica.
Dai volti delle icone della Madre di Dio e delle sante, alle opere che riflettono la vita delle donne in Russia e quelle delle autrici dei capolavori dell’avanguardia russa, che hanno influenzato l’arte mondiale del XX secolo. Le donne sono le protagoniste della mostra Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa, con opere dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, promossa e prodotta dal Comune di Milano, assessorato alla Cultura, Palazzo Reale e CMS Cultura, aperta fino al 5 aprile 2021 nella principale sede espositiva milanese, Palazzo Reale in Piazza del Duomo. “Palazzo Reale prosegue così la collaborazione con i più importanti musei del mondo con una grande mostra che si inserisce a pieno titolo nel palinsesto ‘I Talenti delle Donne’, rappresentando l’universo femminile sia come soggetto delle opere, in grado di raccontare la storia e la vita del popolo russo; sia come autore, portatore di uno sguardo capace di rappresentare la propria contemporaneità, privata e sociale”, afferma l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno. La mostra è stata realizzata grazie al sostegno in primis di VTB Bank, sponsor ufficiale del progetto presente dalla prima ora, dell’azienda Kohro che ha dato un contributo di con i tessuti che sono parte integrante dell’allestimento, eleganza che ritroviamo anche negli Hotel partner del progetto: Grand Hotel et de Milan e Straf Hotel o ancora grandi gruppi come Alfasigma, Bper e Tenaris Dalmine che hanno dato valore e sostegno al progetto con la speranza di una ripartenza per tutto il comparto della cultura.
Il percorso originale accompagna il visitatore lungo secoli di storia tagliando epoche e stili molto differenti, grazie a una selezione scelta direttamente dai curatori del museo, raccontati in 8 sezioni, in cui sono esposti capolavori in larga parte mai esposti prima d’ora in Italia. L’esposizione, curata da Evgenija Petrova, direttore Scientifico del Museo di Stato Russo di San Pietroburgo e Josef Kiblitskij, restituisce un’idea dell’arte russa dei secoli XIV-XX e del ruolo delle donne fondamentale in questo Paese, che hanno contribuito a vario titolo a cambiare la propria terra.
Per quanto riguarda l’allestimento, la scenografia che contiene e distribuisce le funzioni di servizio in entrata riprende l’estetica di un paravento femminile, mentre il lungo corridoio di accesso alle sale espositive è stato trasformato in una galleria di immagini che gioca con i gesti e le pose delle mani di alcune protagoniste dei quadri. Dettagli quali mani che allacciando una scarpa da danza, che coprono il viso in un gesto di disperazione, che stringono un libro. Le pareti hanno toni legati ai grigi per mantenere un tono quanto più neutro possibile che accolga armoniosamente i toni vivaci delle opere. Ogni sessione ha una campitura netta di colore, con un’illuminazione teatrale che tende a scandire il cammino con l’accento sulle singole opere e a concentrare lo sguardo solo su quadri e oggetti. Il percorso di mostra si chiude con una sala dedicata alle grandi sculture monumentali dell’epoca sovietica: il modello in scala dei due protagonisti della scultura L’operaio e la kolchoziana, idealizzati a grande scala da Vera Muchina per l’Esposizione di Parigi del 1937, sono qui ambientati sullo sfondo immersivo delle immagini dell’epoca che ci fanno rivivere il clima di quel periodo ed il carattere e la cultura della Grande Madre Russia. Un video in bianco e nero racconta il montaggio dell’opera.
Percorrendo le sale
IL CIELO – La Vergine e le sante si apre con antiche e preziose icone della Madre di Cristo, protettrice della Russia e venerata in tutto il Paese, e di alcune sante, in particolare da notare la Madonna della tenerezza, che con un gesto affettuoso e spontaneo appoggia la propria guancia su quella del bambino. Nella vita di una famiglia russa tradizionale la religione aveva un significato particolare. La maggior parte delle donne si occupava esclusivamente delle faccende domestiche e dell’educazione dei figli: la devozione e la partecipazione ai coinvolgenti culti della Chiesa ortodossa, offrendo anche alle donne un ruolo, un compito, uno spazio, erano un argine alla marginalità sociale e ai limitati diritti. Non casualmente, le icone non erano collocate sono nelle chiese ma erano presenti anche nelle case, indipendentemente dalla posizione sociale. Alle icone veniva riservato un posto particolare sulle pareti e spesso anche nel cosiddetto krasnyj ugol (angolo rosso o angolo bello). Questa tradizione è ancora oggi viva, in particolare nelle case di campagna.
IL TRONO – Zarine di tutte le Russie muove dai profondi cambiamenti portati da Pietro il Grande che si rispecchiano anche sulla posizione delle donne, che salgono al potere con un proprio volto e una propria voce. Dopo la morte dello zar riformatore, nel 1725, in Russia ha inizio il periodo del regno “al femminile”: le zarine occupano il trono russo, governando un Paese enorme. Sono qui presenti sei delle quattordici imperatrici che regnarono dalla fine del XVII secolo al 1917: si va dal dipinto di un maestro russo legato alla tradizione delle icone alla realistica immagine di Marija Fëdorovna, madre di Nicola II, l’ultimo zar russo. Significativo è il confronto tra i due ritratti di Caterina la Grande, imperatrice dal 1762. Dmitrij Levitskij, uno degli artisti russi più famosi, ricevette nel 1782 la somma di 500 rubli per il ritratto ufficiale presente in mostra; la successiva tela è stata creata da nell’aprile del 1787, durante un viaggio dell’imperatrice in Crimea. Il quasi sconosciuto Šibanov dipinge la zarina come una donna anziana, con ciocche di capelli grigi che escono da sotto il cappello. Ivan Kramskoj, autore del ritratto di Marija Fëdorovna, era il leader dei pittori “ambulanti” o “itineranti”, che si proponevano la missione culturale di portare l’arte in tutta la Russia, anche al di fuori delle grandi città. Nonostante le critiche dei circoli liberali, Kramskoj ritrasse più volte sia l’imperatore Alessandro III che la consorte Marija Fëdorovna, che qui indossa il tipico copricapo russo, elegante e volitiva. La sala ornata di specchi dorati crea un’imponente quanto suggestiva atmosfera d’altri tempi, come ad entrare in un film in costume.
LA TERRA – L’orizzonte delle contadine che fino al primo Novecento formano la maggioranza delle famiglie della popolazione russa. Il cambiamento delle condizioni di vita nei campi è un processo estremamente lento: fino al 1861 i contadini erano rimasti nella condizione di servi della gleba, e appartenevano ai proprietari terrieri, ai latifondisti, alla chiesa, alla famiglia dello zar, ad alcune strutture statali. Non avevano documenti di identità, non potevano cambiare il luogo dove vivere oppure sposarsi per libera scelta. Il primo in Russia a dipingere i contadini è stato Aleksej Venetsianov, un agrimensore che si era accostato all’arte come autodidatta che aveva frequentato a lungo i servi della gleba, insegnando disegno ai loro figli in una scuola che seguiva il suo metodo di pittura “dal vero”. Si spiega così la sincera partecipazione di Mattina della padrona di casa (1823): in una stanza piena di aria e luce, la moglie del pittore distribuisce i compiti alle giovani contadine. Circa un secolo dopo, gli avvenimenti rivoluzionari del 1917 sovvertono i vecchi ordinamenti, ma gli slogan sul passaggio del potere al proletariato si rivelano ben presto illusori. Kazimir Malevich è uno dei più lucidi interpreti dei difficili cambiamenti. L’artista comprende che il suprematismo, avviato a metà degli anni Dieci, non è più la forma idonea per comunicare con il nuovo pubblico della Russia post-rivoluzionaria (operai e contadini), e torna a immagini riconoscibili. Nasce il “Supronaturalismo”, definizione che Malevich stesso indica sul retro della cornice delle Ragazze nel campo: dipinti figurativi in cui personaggi non sono ritratti in modo realistico, ma proiettati fuori da un tempo e un luogo definiti. La stilizzazione e la resa essenziale dei tratti nondimeno identifica in modo netto e quasi scultoreo i soggetti.
VERSO L’INDIPENDENZA – Donne e società: nella Russia zarista i cittadini si dividevano in nobili, clero, cittadini (borghesi), e contadini. Le caratteristiche di ciascun gruppo si rispecchiavano negli aspetti della vita quotidiana, negli abiti, nei comportamenti. L’organizzazione in ceti venne abolita con la Rivoluzione, ma resta evidente la distinzione tra operai, contadini e intellighentsija. Questa sezione propone mogli e figli di artisti, insieme a volti di donne importanti per la storia del Paese, come la poetessa Anna Achmatova, ritratta nel dipinto del manifesto della mostra, e Nadežda Dobičina, prima gallerista russa, in seguito capo sezione dell’arte sovietica presso il Museo Russo. Altri ritratti rappresentano i lavori delle donne: dalla musicista, all’operaia, alla politica. I ritratti seguono l’evoluzione degli stili tra XIX e XX secolo: realista, impressionista, simbolista, cubista, supronaturalista. David Šterenberg raffigura la moglie come una rappresentante della società borghese prerivoluzionaria, mentre le opere di Alexsandr Dejneka e Kazimir Malevich sono dedicate alle operaie. Malevich mostra l’immagine della tipica donna sovietica degli anni Venti e Trenta, con i capelli corti raccolti in fazzoletto al posto del cappello o del velo, mani grandi indurite dalla fatica. Operaie tessili, dal tono quasi epico, lontano dall’idea della coltivatrice dimessa, è una delle più caratteristiche tra le opere giovanili di Dejneka. La rivoluzione del 1917 ebbe inizio proprio dalle tessitrici della fabbrica Krasnaja Nit’ (Filo Rosso) a Pietroburgo che il 23 febbraio scioperarono, chiedendo aumenti salariali e maggiori razioni alimentari (pane e aringhe!).
LA FAMIGLIA – Rituali e convenzioni: fino all’inizio del XX secolo in Russia le donne erano subordinate a rigide norme patriarcali, basate sul rispetto dei più anziani, e in particolare degli uomini, e alla più rigorosa purezza fino al matrimonio. Molte splendide pagine della letteratura russa, di Aleksandr Ostrovskij, Lev Tolstoj, Fëdor Dostoevskij e altri scrittori, sono dedicate alla condizione e ai destini delle donne. In questa sezione sono presenti alcune opere di denuncia. Il suocero di Vladimir Makovskij rappresenta una giovane sposa molestata dal padre del marito; Prima dell’incoronazione (del matrimonio) di Žuravlëv mostra tutta la disperazione della giovane sposa destinata a un vecchio marito per questioni di interesse. Nella Presentazione della promessa sposa Grigorij Mjasoedov fissa un momento umiliante nella preparazione al matrimonio: la fidanzata viene osservata scrupolosamente dai futuri parenti e con il capo un velo bianco tenuto da altre donne secondo l’usanza. La scena svolge nella casa del fidanzato, alla presenza delle donne della famiglia vestite in abiti tradizionali da festa e un ragazzo con la balalajka, che evidenziano la solennità della della cerimonia. La moglie di un militare caduto in guerra, rimasta senza mezzi di sostentamento e senza casa (Pavel Fedotov, La vedovella) è la metafora dell’indigenza in cui vivevano molte vedove. Il pittore essendo anche un militare si immedesima nella situazione difficile di una possibile vedova. Rappresentando il lavoro estenuante nei campi, nelle lavanderie e nelle fabbriche, artisti e scrittori denunciano l’ingiustizia nei confronti delle donne. Dopo la Rivoluzione del 1917, quando le donne ottengono parità dei diritti con gli uomini, quegli stessi soggetti vedono le lavoratrici trasformarsi in eroine sovietiche.
MADRI – La dimensione dell’amore: ad eccezione di un dipinto di Zinaida Serebrjakova, le opere dedicate alla maternità tra il XIX e il XIX secolo sono tutti lavori di artisti maschi. Oltre all’evoluzione degli stili, rivelano aspetti caratteristici delle tradizioni russe. Ad esempio, la tela Il primogenito, dipinta da Ivan Pelevin nel 1888, descrive accuratamente le stoviglie di terracotta, l’enorme stufa bianca, la culla in legno del neonato, che costituivano l’arredo caratteristico della casa contadina. Questo pittore è attento alla dimensione intima e affettiva di quello che sembra il momento più bello per una donna. Invece, la statuetta di bronzo del soldato dipinta sul davanzale nel quadro Maternità di Kliment Red’ko è un dettaglio che immerge lo spettatore nell’epoca sovietica; non fosse per questo particolare il quadro, che presenta una grande modernità di tratti, ha un carattere assolutamente intimistico. Una madre qualunque, che stringe teneramente in braccio il suo bambino, diventa la testimone o la protagonista dei turbamenti da lei vissuti con la Rivoluzione del 1917 o la guerra civile che ne era seguita. Due veri capolavori sono le opere di Boris Kustodiev: Lillà e Mattino. Da notare anche la scultura del “milanese” Paolo Trubetskoj, nato in Italia dal principe russo Petr Trubetskoj (1822–1892) e dalla pianista e cantante americana Ada Winans (1835–1917). Trubetskoj (il museo a lui dedicato è a Pallanza, sul lago Maggiore dove ha trascorso la propria esistenza) è l’autore del famoso monumento allo zar Alessandro III (oggi al Museo Russo), di molti ritratti, di opere di soggetto naturalistico. I personaggi sono la principessa Marina Nikolaevna Gagarina (nata principessina Trubetskaja), parente dello scultore in linea paterna, con la figlia Marina.
IL CORPO – Femminilità svelata: il tema del nudo femminile è un classico dell’arte mondiale e a partire dalla metà del XVIII secolo modelle nude posano per i corsi di disegno e pittura dell’Accademia Imperiale di Belle Arti a Pietroburgo, ma il corpo femminile nudo come soggetto autonomo, degno di essere esposto accanto ai ritratti, ai paesaggi, ai quadri di soggetto mitologico e storico, si afferma in Russia soltanto a cavallo tra il XIX e il ХХ secolo. Solo allora l’emancipazione permise alla società di riconoscere il diritto di mostrare pubblicamente il corpo femminile senza veli. L’evoluzione nella figura del nudo permette di seguire l’ampliarsi del concetto stesso di bellezza nelle tendenze e nelle avanguardie della pittura russa. Boris Kustodiev propone donne formose, dai volti con i tratti tipici slavi; poi l’estetica dello sguardo naturale, infantile, ingenuo sul mondo entra saldamente nella categoria del bello, dando vita alle opere nello spirito del Neoprimitivismo come la Venere dipinta nel 1913 da Michail Larionov, marito di Natalia Goncharova. Nonostante le rigide e pudiche restrizioni imposte dal realismo socialista, alcuni artisti trattano in modo coraggioso il nudo, mostrando in modo insolente le forme non idealizzate delle modelle nei costumi da bagno tipici di quegli anni (Vladimir Malagis, Modella sullo sfondo di drappeggio azzurro).
LE ARTISTE – Realismo e amazzoni dell’avanguardia: in Russia le donne si sono occupate di attività artistiche sin dai tempi più remoti. Anche nelle famiglie contadine e in quelle più umili delle città decoravano le case con tappeti, ricamavano, facevano lavori a maglia, dipingevano giocattoli in legno e in creta, realizzavano quadretti incisi in bianco e nero (i “lubki”, o “stampe popolari”). Intanto, nei monasteri le novizie ricamavano con fili di oro e argento le immagini sui sudari e su altri oggetti del culto religioso. Dal XVIII secolo, nei ceti benestanti si diffonde l’uso di far prendere lezioni di disegno e pittura alle ragazze. Tuttavia, fino alla metà dell’Ottocento, le donne possono ricevere un’autentica formazione in campo artistico. La lotta per l’emancipazione e per i diritti femminili ha spinto molte donne dotate di talento a trascorrere periodi di studio all’estero e alla fine del XIX secolo in Russia si contano diverse professioniste delle arti figurative: alla pari degli uomini espongono alle mostre e partecipano all’attività di diverse società di artisti. Nei decenni successivi l’ondata di creatività delle donne in Russia è alla base della nascita e della fioritura di diverse forme di arte innovativa. In modo amabile ed efficace Benedikt Livšits ha definito “Amazzoni delle avanguardie” le sue contemporanee come Natalija Goncharova, Ol’ga Rozanova, Ljubov’ Popova, Nadežda Udal’tsova. Come i colleghi maschi (Kandinskij, Malevich, Tatlin e altri) le donne russe hanno offerto un contributo enorme all’arte mondiale. Con Natalja Goncharova (1881-1962) raggiunge il culmine l’ondata particolarmente vivace di creatività delle donne artiste russe negli anni Dieci e Venti del Novecento, alla ricerca del “nuovo” e del “radicale” nell’arte di cui era carica tutta l’avanguardia russa. Come i colleghi uomini, anche la maggior parte delle donne artiste in Russia approfondisce la ricerca delle proprie radici culturali, che, pur essendo conosciute fin dall’infanzia, erano state in parte dimenticate negli anni del fervore dell’infatuazione per le tendenze europee. Verso l’inizio degli anni Dieci le icone, gli intagli su legno, le decorazioni sui telai, le stampe popolari diventano oggetto di ispirazione, imitazione e collezionismo. Prende corpo una variante tipicamente russa del Neoprimitivismo, orientata sull’arte popolare, sulle tradizioni nazionali e sulla creatività dell’infanzia. Questa esperienza lascia un’impronta particolarmente profonda proprio nell’opera di Natalja Goncharova, discendente da una nobile famiglia imparentata con il poeta Alexsandr Pushkin, senza dubbio una delle personalità artistiche più intense e originali sulla scena delle avanguardie europee. Gli alberi e le piccole figure umane nel suo quadro monocromo Inverno (1908) sono dipinti appositamente con scarsa abilità, come accade nei disegni dei bambini o in quelli dei telai. Nello stesso periodo viene finalmente organizzata a Mosca e a Leningrado una mostra di opere di Zinaida Serebrjakova, in precedenza a lungo vietata a causa della sua partenza nel 1924 per la Francia. Gradualmente, a partire dagli anni Ottanta iniziano a comparire nelle sale dei musei e nelle mostre lavori delle artiste dell’avanguardia. I nomi di Natalja Goncharova, Ljubov Popova, Olga Rozanova, che avevano stupito tutti per la loro audacia, la grandezza e la profondità delle scoperte fatte nel campo della creatività. Come altre colleghe Olga Rozanova (1886–1918) muove i primi passi nell’ambito del neoprimitivismo, per poi dare vita a una originale forma di astrattismo. Malevich considerava Rozanova la più talentuosa dei suoi compagni di idee e approvava il suo approccio molto individuale al Suprematismo. Dopo avere assimilato i fondamenti delle correnti europee più innovative, Aleksandra Ekster, Nadežda Udaltsova e Ljubov Popova danno vita a una originale versione del Cubismo, che in Russia viene chiamato Cubo-Futurismo: ciascuna di loro ha avuto la capacità di superare i confini della corrente, andando alla ricerca di una propria espressione. Ljubov Popova (1889–1924) ha svolto un ruolo decisivo nella cultura dell’avanguardia russa. Il suo percorso verso il Suprematismo passa attraverso i paesaggi realisti e il Cubo-Futurismo. Anche Popova ha fatto parte del gruppo Supremus ed è stata una delle seguaci di Kazimir Malevich. Le sue composizioni suprematiste distinguono per il freddo rigore dei colori e la monumentalità. Per la sovrapposizione delle superfici si avvicinano ai rilievi costruttivisti di Vladimir Tatlin: non a caso, lei stessa li definisce “pitture architettoniche”. Aleksandra Ekster (1882–1949) già nel 1908 è a Parigi, dove conosce Picasso e Braque e stringe amicizia con i coniugi Delaunay. Il colore luminoso unito alla musicalità, tipico della pittura “orfista” di Sonia Delaunay Terk (che era di origine ucraina), entrano nello stile della Ekster, arricchendola di una semplicità di gusto popolare. Città di notte (1913) è uno straordinario esempio di combinazione di cubo-futurismo, orfismo e astrazione. Sofja Dymšits-Tolstaja (1889–1963) sviluppa una specifica ricerca sui materiali: lavora in modo audace ed efficace con il vetro, creando originali vetrate con tematica e stilistica sovietica. La composizione Circo (1921) è eseguita in forma astratta con l’uso della tela, della sabbia e del bitume. Nel 1932 una disposizione del Partito vieta tutti gli stili e le correnti: il realismo socialista viene scelto come espressione ufficiale dell’Unione Sovietica, non dissimile dalla retorica di regime prediletta dal nazismo e dal fascismo. Anche le donne artiste, insieme agli uomini, sono costrette a scegliere di “rimodernarsi” oppure di uscire di scena, limitandosi a un’attività privata. Una condizione che ha condizionato gli artisti in Unione Sovietica fino alla metà degli anni Sessanta.
dall’alto: ALEKSANDR DEJNEKA Operaie tessili, 1927; ALEKSANDRA EKSTER Città di notte, 1913
a cura di Ilaria Guidantoni