Il tradizionale appuntamento di primavera a Reggio Emilia con la fotografia si è regolarmente aperto lo scorso 29 aprile con l’inaugurazione del programma di mostre ed eventi collaterali di Fotografia Europea 2022 che per questa edizione ha per titolo Un’invincibile Estate.
Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, afferma: “Fotografia Europea ritorna e, con essa, un momento che ci auguriamo possa rappresentare il riappropriarsi dello spazio pubblico da parte della cultura. Se a inizio 2020 ci avessero detto che due anni dopo saremmo stati ancora qui, a combattere giorno per giorno con una pandemia mondiale, probabilmente molti di noi avrebbero stentato a crederci. Sembrano, effettivamente, passati decenni, da allora. Oggi il titolo della rassegna rappresenta l’occasione per ammirare opere e progetti che riflettono sullo spirito di resilienza, sulla condizione umana in un momento della storia che verrà ricordato per sempre. Auspico di cuore che questa edizione di FE possa costituire anche un momento di ritorno alla socialità diffusa, con quel senso di responsabilità e di intelligenza collettiva che hanno contraddistinto i comportamenti dei reggiani in tutti questi lunghi mesi“.
“Un tema quanto mai attuale per la nostra società contemporanea, quello scelto per questa edizione dal Festival della Fotografia Europea, che come sempre punta a stimolare la produzione di nuovi punti di vista – ha commentato l’assessore regionale alla Cultura, Mauro Felicori -. Una metafora, quella suggerita da Albert Camus, che ci porta ad esplorare le nostre risorse interiori, le nostre sensibilità e capacità di uscire dal lungo periodo di complessità che stiamo vivendo e di guardare con speranza al futuro”.
Un programma ricco di proposte capace di incuriosire e portare appassionati e cultori della fotografia a desiderare di esserci ed apprezzare dal vivo quanto i curatori hanno saputo raccogliere e proporre, come è orami tradizione sono diverse le sedi espositive che permettono ai visitatori di cogliere il bello della città ospite.
CHIOSTRI DI SAN PIETRO
via Emilia San Pietro, 44/c
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Mary Ellen Mark. The Lives of Women fino al 5 giugno
Dal 1964 fino alla sua morte nel 2015, Mary Ellen Mark ha lavorato come fotografa documentarista realizzando saggi fotografici intensamente vividi e rivoluzionari che esplorano la realtà delle persone in una varietà di situazioni complesse e spesso difficili.
La grande maggioranza di queste persone erano donne. Il lavoro di Mark precede l’attenzione odierna sulle ingiustizie sociali e sui pregiudizi contro le donne evidenziati dal movimento #MeToo, con numerosi progetti che esplorano ampiamente la vita delle donne in contesti dolorosi: è il caso degli scatti che ritraggono le pazienti del reparto psichiatrico dell’Oregon, o nelle Missioni di carità di Madre Teresa, tra le prostitute di Falkland Road a Mumbai o nella storia di Tiny, la ragazza che vive per strada a Seattle. La mostra Mary Ellen Mark: The Lives of Women, a cura di Anne Morin, abbraccia l’umanità di queste donne e la condivide con un pubblico più ampio, fornendo ai suoi soggetti una voce significativa, spesso estremamente potente.
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Nicola Lo Calzo. Binidittu
Binidittu è un progetto che, attraverso il racconto della storia e dell’eredità culturale di San Benedetto il Moro, prende in esame i rapporti fra la storia del colonialismo e l’identità culturale contemporanea. Nicola Lo Calzo ripercorre nel percorso espositivo, composto da immagini di grande e medio formato, le tappe principali della biografia di Binidittu: dall’affrancamento dalla schiavitù alla sua morte, dall’utopia post razzista alla beatificazione permettendo così una riflessione sulla condizione delle persone migranti nel Mediterraneo. La vicenda di Binidittu, dalla
fama internazionale nel XVII secolo al totale oblio sul vecchio continente, interpella, infatti, l’amnesia collettiva di fronte alla presenza storica degli europei nel mediterraneo, di cui San Benedetto il Moro è una delle figure più rappresentative. L’invisibilità di Benedetto, progressivamente rimosso dall’immaginario occidentale, risuona con forza nell’esperienza contemporanea della diaspora africana nel Mediterraneo. Binidittu appare come un’allegoria dei nostri tempi: luogo d’incontro tra il Mare Nostrum e il mondo, tra la memoria e l’oblio, tra il visibile e l’invisibile, tra il razzismo banalizzato e l’humanitas condivisa.
![](https://bebeez.it/wp-content/uploads/2022/05/Hoda-Afshar-Untitled-from-the-series-Speak-the-Wind-Iran-2015-2020-©-Hoda-Afshar-e1653465279309.jpg)
Hoda Afshar. Speak The Wind
Hoda Afshar, attraverso gli scatti del progetto Speak The Wind svela gli straordinari paesaggi dell’Iran, nelle isole dello Stretto di Hormuz al largo della costa meridionale, la sua gente e i loro rituali, fotografando il vento e gli intrecci di tradizioni e credenze che porta con sé. In quei luoghi è emersa una cultura locale distintiva come risultato di molti secoli di scambio culturale ed economico, le cui tracce si vedono non solo nella cultura materiale ma anche nei costumi e nelle leggende dei loro abitanti. Al centro di queste ci sono i venti, che permeano la cultura di questi popoli, ma che raramente vengono raccontati apertamente perché generalmente considerati dannosi. Tuttavia risuonano anche nel paesaggio, surreale, fatto di strane vallate e montagne simili a statue che sono state lentamente scolpite dagli stessi venti nel corso di molti millenni. Afshar documenta la storia di questi venti e le tracce visibili che hanno lasciato sulle isole e sui loro abitanti: una testimonianza visibile dell’invisibile visto attraverso l’occhio dell’immaginazione.
Carmen Winant. Fire on World
In Fire on World, l’artista americana Carmen Winant, attraverso centinaia di diapositive ritrovate, porta in mostra solo immagini che hanno già avuto un’altra vita, tessendo così insieme più narrazioni: di protesta di nascita e di piccoli mondi, e che messi insieme formano un quadro più ampio di disordine sociale e dissenso.
Nel suo lavoro, la Winant utilizza da sempre strategie di installazione e collage per esaminare le modalità di sopravvivenza e le rivolte femministe. Infatti le rivolte di Watts e le proteste per i diritti all’aborto, tra gli altri eventi, descrivono in un tempo congelato un mondo agitato, in profonda disperazione e tuttavia riluttante a scaricare la speranza. Bruciare tutto può essere visto come un altro modo per iniziare di nuovo.
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Seiichi Furuya. First Trip to Bologna 1978 / Last Trip to Venice 1985
Il giapponese Seiichi Furuya con la mostra First trip to Bologna 1978 /Last trip to Venice 1985 racconta il primo e l’ultimo viaggio fatti insieme a sua moglie Christine Gössler, attraverso ritratti
intimi e fermo immagini, che gli hanno permesso di ricostruire la memoria di quei momenti, fino al suicidio di Christine. Da quel doloroso istante, la donna ha dominato il mondo spirituale per il resto della vita dell’uomo attraverso la morte. Lui, utilizzando come fossero indizi, le fotografie scattate
durante i sette anni trascorsi insieme, tenta di ricostruire le circostanze che l’hanno portata all’infelice fine, cercando una risposta impossibile. Poi la ricerca si ferma, 37 anni dopo la morte della donna. Questa mostra presenta un “viaggio” creato da Seiichi sulla base delle immagini di Christine ed evidenzia la durezza del destino e allo stesso tempo la gioia di vivere che caratterizzano l’incertezza della vita umana.
Ken Grant. Benny Profane
Benny Profane è un progetto a lungo termine su un distretto portuale nei dintorni di Liverpool delimitato da poche miglia quadrate ai margini del fiume Mersey che il fotografo inglese Ken Grant conobbe per la prima volta come operaio in gioventù e con cui strinse un forte legame.
Il titolo, preso in prestito da un personaggio del romanzo V. di Thomas Pynchon, si riferisce a un uomo che si imbarca in una precaria odissea che lo porta tra purezza e volgarità. La stessa precarietà la vivono i protagonisti delle immagini di Grant, da sempre interessato a raccontare la vita delle classi operaie inglesi, che navigano i propri viaggi verso una sorta di stabilità in un’era in cui poco è stabile.
Tra il 1989 il 1997 il l’autore si immerge in quel mondo e in coloro che ne dipendono per sopravvivere, restituendo nei suoi scatti un resoconto di parentela e sfida in una terra difficile, un ritratto coinvolto delle persone che lì hanno trascinato le loro vite, plasmando quella terra durante i suoi ultimi anni, prima di essere dismessa e diventare riserva naturale.
Guanyu Xu. Temporarily Censored Home
Tra il 2018 e il 2019, l’artista Guanyu Xu, nato a Pechino e residente a Chicago, torna – dopo aver compreso la sua sessualità attraverso la cultura occidentale, in particolare grazie a cinema, televisione e moda – a Pechino e crea segretamente delle installazioni fotografiche nella casa dei suoi genitori, utilizzando immagini recuperate da riviste e dominate da rappresentazioni di uomini bianchi.
Questo denso mosaico di immagini rivelatrici e autoreferenziali distorcono l’architettura dell’intero appartamento, trasformando lo spazio domestico e conservatore della sua infanzia, in scena di rivelazione, protesta e bonifica queer in cui il giovane Xu può finalmente riconoscersi. Con il progetto Temporarily Censored Home, Guanyu Xu mette in scena, così, una performance profondamente intima e politica, fornendo un toccante esame interculturale dei sistemi di potere oppressivi.
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Chloé Jafé. I give you my life
La fotografa Chloé Jafé con I give you my life racconta la storia, spesso sconosciuta, delle donne della Yakuza – la mafia giapponese tra le più leggendarie al mondo.
Nel 2013 l’artista si trasferisce a Tokyo con l’ambizione di incontrarle e conoscerne la storia. Dopo un anno trascorso a perfezionare la lingua e a studiare i codici di una cultura molto distante dalla sua, la Jafé riesce, grazie a un incontro fortuito, ad avvicinarsi a questi clan chiusi e a immergersi nei rituali ufficiali, conoscendo i tabù, le storie tatuate e mascherate dai kimono e poi le donne, mogli, figlie e amanti che nell’ombra, orbitano intorno alle attività criminali degli uomini e che a loro hanno dedicato la loro esistenze.
La capacità della fotografa francese di connettersi ai suoi soggetti rende il suo lavoro eccezionalmente personale. Dal lungo lavoro in Giappone, tra il 2013 e il 2019, è nata una trilogia composta da tre capitoli in cui l’artista presenta immagini in bianco e nero, tenere e feroci, su cui non esita a intervenire lavorando direttamente con acrilico e pennello, per rivelare una visione estremamente poetica, personale e certamente inedita di aspetti nascosti della società giapponese.
Jonas Bendiksen. The Book of Veles
Nel 2016 i giovani della cittadina macedone di Veles crearono centinaia di siti web clickbait spacciandoli per portali di notizie politiche americane e trasformarono così Veles – città che prende il nome di un antico dio slavo, noto per aver diffuso caos, malizia e bugie – in un centro di produzione di fake news.
Jonas Bendiksen utilizza queste storie come sfondo per generare caos nella comunità del fotogiornalismo. Accorpando le fake news originate a Veles pubblica The Book of Veles, che si rivela subito un successo immediato nella comunità del fotogiornalismo, fino a quando Bendiksen non rivela che il contenuto del libro è un grande falso, un misto di reportage classico, modelli di avatar 3D e sistemi di generazione di testo con intelligenza artificiale.
Attraverso The Book of Veles, Bendiksen dimostra che la disinformazione visiva può confondere anche i professionisti dei media addestrati, è una resa dei conti provocatoria, un esperimento per vedere dove la tecnologia potrebbe portare la fotografia nell’immediato futuro.
Alexis Cordesse. Talashi
Il progetto Talashi, racconta la guerra civile siriana attraverso le fotografie personali scattate da coloro che vivono in esilio. Allontanatosi dal fotogiornalismo, Alexis Cordesse propone immagini in grado di mostrare una realtà differente e più intima rispetto a quella drammatica e sentimentale diffusa attraverso i media.
La mostra è infatti composta da fotografie personali di ricordi e momenti quotidiani scattate e messe in salvo dagli stessi esuli siriani, incontrati da Cordesse in Europa e in Turchia. Questi manufatti, come i loro proprietari, sono sopravvissuti a viaggi pericolosi che il fotografo francese raccoglie e arricchisce con le storie delle vite di coloro che gliele hanno affidate. Al crocevia tra intimità e Storia, queste immagini ci permettono di immaginare con empatia vite di persone comuni sconvolte da eventi straordinari.
Inoltre, la combinazione di parole e immagini prodotta dall’autore nel progetto, crea l’impressione di un puzzle rotto ricostituito ma perforato, tale è la precarietà di Talashi, il cui titolo si traduce dall’arabo in Frammentazione, Erosione o Scomparsa.
PALAZZO DA MOSTO
via Mari, 7
Jitka Hanzlovà.
Gli scatti presentati dalla fotografa ceca Jitka Hanzlovà sono stati commissionati da Fotografia Europea che da sempre ritiene fondamentale incaricare nuove produzioni che interpretino il concept dell’edizione con lo scopo di dare ogni volta al festival un taglio sperimentale e di ricerca, offrendo così la possibilità agli artisti coinvolti, di fornire riflessioni e stimoli innovativi sulle questioni contemporanee.
Scopo del progetto affidato alla Hanzlovà è raccontare, partendo dalla massima di Camus, come le forze di resilienza e le forze interiori degli adolescenti siano oggi particolarmente sollecitate dai risvolti sociali che la situazione sanitaria impone loro da due anni a questa parte. In questo quadro, la fotografa cerca di scoprire cosa significa essere giovani a Reggio Emilia, osservando quell’età in cui si è più aperti al cambiamento, un’età di transizione che ha certamente risentito degli impedimenti dovuti alla Covid e che si sta riprendendo il suo spazio in modi molto diversi.
In particolare l’attenzione si riversa in quella linea d’ombra che sono le seconde generazioni, nell’età tra gli 11 e i 15 anni, che spesso trovano uno sfogo e una voce nella musica, nel video e nell’immagine. I ragazzi cercano, così, di affermare la loro identità, con una grande forza dell’io, un sentimento di rivalsa, di autodeterminazione, come individui all’interno di una società in forte cambiamento.
GALLERIA SANTA MARIA
Galleria Santa Maria, 1
Presso il nuovo spazio della Galleria Santa Maria saranno visibili i tre progetti vincitori della Open Call di questa edizione di Fotografia Europea.
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Simona Ghizzoni. Isola
Simona Ghizzoni racconta nel progetto Isola come sia riuscita a recuperare una relazione con la natura e con le persone, approfittando dell’emergenza
Covid per lasciare Roma e tornare a rifugiarsi nell’Appennino Emiliano. Il giorno in cui viene dichiarato il lockdown in Italia, diventa il giorno di una nuova vita dell’artista che la notte stessa parte con la sua nuova famiglia per tornare a vivere nella casa che fu dei suoi nonni materni.
Una vita molto diversa dalla precedente, vissuta nel caos della metropoli della capitale, per niente comoda, ma sentita come un’opportunità per riannodare i fili interrotti con il passato di famiglia e ricominciare dalla terra. Tutti questi aspetti sono raccontati negli scatti di Isola, con stampe fotografiche congiunte a elementi multimediali curati da Nicolas Janowski.
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Gloria Oyarzabal. Usus Fructus Abusus
La spagnola Gloria Oyarzabal, fotografa ma anche cineasta, fissa, nella mostra Usus Fructus Abusus il focus della sua indagine sull’Africa, indagando come i processi di colonizzazione e decolonizzazione, o neo-colonizzazione, abbiano influito sull’idea di Africa e sui femminismi
africani. “Usus fructus abusus”, concetti del diritto romano, offrono il titolo alla ricerca del 2021 con cui ha partecipato alla Open Call. In essa analizza i musei di arte africana creati dalle vecchie potenze coloniali per approfondire il ruolo che essi hanno avuto nel contribuire a creare l’immaginario di esotismo che nel Vecchio Continente si è stratificato intorno all’Africa. Affiancandoli ad una indagine sul mondo femminile africano che quotidianamente concretizza e vive concetti chiave del femminismo universale.
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Maxime Riché. Paradise
Maxime Richè, parigino, da tempo si misura con la capacità di adattamento dell’uomo rispetto alle conseguenze degli sconvolgimenti ambientali. Il focus di questo specifico racconto è l’incendio che in sole quattro ore, l’8 novembre del 2018, ha incenerito la città di Paradise, in California, distruggendo 18.000 strutture, uccidendo 89 persone e gettandone molte altre nella precarietà.
Il problema dei mega-incendi non risparmia nessuna regione del mondo e si replica nelle successive estati fino alla desertificazione di milioni di acri intorno a quella che era stata una città. Nonostante tutto, molti tornano e cercano di ricostruirsi una vita dove la vita è stata così brutalmente cancellata, affrontando l’impresa forti di una nuova visione dell’ambiente e di una enorme capacità di adattamento e resilienza tipiche della condizione umana.
Lo Speciale Diciottoventicinque, il progetto formativo di Fotografia Europea nato per accompagnare i giovani amanti della fotografia in un percorso che va dall’ideazione alla realizzazione di un progetto espositivo, è affidato quest’anno ad Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti, due artisti d’eccezione che da anni lavorano insieme coniugando video e fotografia e che, forti della loro esperienza, punteranno sulla multidisciplinarietà, consapevoli che un progetto visivo si possa costruire e arricchire attraverso linguaggi diversi.
FONDAZIONE I TEATRI
Teatro Romolo Valli
Arianna Arcara. La Visita / Triptych
Teatro e fotografia entrano ancora in relazione nel nuovo progetto che Fondazione I Teatri, con Reggio Parma Festival e Collezione Maramotti hanno affidato ad Arianna Arcara, invitandola a una lettura e interpretazione del lavoro della Compagnia di danza Peeping Tom al Festival Aperto Reggio Emilia 2021. Il site specific La Visita, alla Collezione Maramotti e la spettacolare trilogia Triptych al Teatro Municipale Valli, sono i due spettacoli che diventano così le due facce – tra loro diversissime – di un unico lavoro, che indaga il perturbante iperrealismo onirico di questa Compagnia belga, il cui nome significa, tradotto in italiano,“guardone”.
Ritratti, allestimenti e sequenze sono i tre focus su cui Arcara ha lavorato per questa mostra, che si muove tra spettacoli che sembrano porsi in antitesi: il minimalismo de La Visita e l’eccesso di Triptych.
Arcara ha seguito il processo creativo, prima alla Collezione Maramotti, dove la Compagnia ha allestito la perfomance, agendo per la prima volta all’interno di uno spazio museale in attività: poi, spostandosi al Teatro Municipale Valli per la trilogia The missing door, The lost room e The hidden floor, un’ambientazione unica con cambi a vista che evoca un set cinematografico, dove gli 8 danzatori / performer vivono tra realtà e immaginario, guidati da forze naturali che li conducono a un destino incerto.
PALAZZO DEI MUSEI
via Spallanzani, 1
In scala diversa.
Luigi Ghirri, Italia in miniatura e nuove prospettive dal 29 aprile 2022 all’ 8 gennaio 2023
Curata da Ilaria Campioli, Joan Fontcuberta e Matteo Guidi, la mostra prende avvio da In scala, la serie fotografica realizzata da Luigi Ghirri dalla fine degli anni Settanta alla prima metà degli Ottanta nel parco divertimenti Italia in Miniatura di Rimini.
La serie, nella quale Ghirri approfondisce tematiche a lui molto care quali il doppio, la finzione e l’idea stessa di realtà, sarà messa in dialogo con alcuni dei materiali – disegni, cartoline, documenti e immagini – provenienti dall’archivio del parco tematico.
Si tratta di uno straordinario archivio involontario prodotto dalla metà degli anni Sessanta da Ivo Rambaldi (1920 – 1993), ideatore e fondatore del parco tematico, quale risultato dei suoi numerosi viaggi lungo tutta la penisola con l’obiettivo di raccogliere quanta più documentazione visiva possibile per la costruzione delle miniature.
Alessandra Matia Calò. HERBARIUM. I FIORI SONO RIMASTI ROSA
Un progetto collaborativo di Alessandra Calò con Valentina Bertolini, Paolo Borghi, Valentina De Luca, Cinzia Immovilli, Matilde Ronzoni, Flavia Vezzani e Caterina Perezzani.
Il progetto di Reggio Emilia Città senza Barriere “Incontri! Arte e persone” torna a porre l’attenzione sul tema dell’incontro tra fragilità e creatività. L’artista visiva Alessandra Calò e sette persone con fragilità sono i protagonisti di questa terza edizione, affiancati dallo staff dei Musei Civici e da un’atelierista di STRADE, il nuovo ambito socio-occupazionale e del tempo libero a favore delle persone adulte con disabilità del Distretto di Reggio Emilia, progetto gestito dal Consorzio Oscar Romero.
Incuriosita dalla ricca collezione di erbari conservata presso Palazzo dei Musei, che per la loro fragilità e valore storico non sono esposti al pubblico, ma custoditi in eleganti contenitori che ne lasciano trapelare tutta la preziosità, l’artista guiderà i partecipanti nella realizzazione di un vero e proprio erbario, tramite l’utilizzo di antiche tecniche di stampa fotografica a contatto.
Nella sua pratica, infatti, Alessandra Calò attualizza antichi procedimenti di stampa realizzando la maggior parte del suo lavoro off camera; un fare alchemico che riporta a tempi passati.
Nati ad uso e consumo dell’uomo, oggi questi antichi erbari permettono di approfondire temi legati all’ambiente e “viaggiare” nel tempo creando delle connessioni tra passato e presente. Il materiale raccolto e realizzato liberamente sarà esposto nella forma di un erbario installativo coinvolgendo anche il gruppo de I Senzamai, operosi custodi del Parco San Lazzaro, e Art Factory.
CHIOSTRI DI SAN DOMENICO
via Alighieri, 11
Giovane Fotografia Italiana #09. Possibile
La gioventù non è un semplice stato anagrafico ma una condizione che permette di vedere le cose in modo diverso e immaginarne le infinite potenzialità.
Le recenti trasformazioni del medium fotografico offrono sempre più modi di affrontare tematiche complesse: gli spostamenti di campo danno spazio a tutte quelle immagini latenti tracciando un’altra narrazione, una storia diversa ma possibile. E Possibile è proprio il tema della IX edizione di Giovane Fotografia Italiana, progetto, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, dedicato agli artisti visivi under 35, realizzato con la collaborazione di importanti festival europei e realtà nazionali.
Sono sette i progetti vincitori della call, selezionati dalla giuria internazionale, composta dai curatori e da Chiara Fabro, Shoair Mavlian, Krzysztof Candrowicz che confluiscono nella mostra collettiva. Marcello Coslovi (Scandiano, 1992) con The wrong side of the tracks indaga il rapporto tra persone e territorio. Chiara Ernandes (Roma, 1989) in Still Birth ricostruisce una dimensione sospesa tra vita e morte. Claudia Fuggetti (Taranto, 1993) documenta in Hot Zone lo svolgimento di un sogno lucido. Con Sea Bones Caterina Morigi (Lugo, 1991) ricerca la relazione tra micro e macro, uomo e materia. In Diachronicles Giulia Parlato (Palermo, 1993) tratta le possibili declinazioni della narrazione archeologica. Riccardo Svelto (Bagno a Ripoli, 1989) sottolinea il legame tra vista e memoria in La Cattedrale. Infine, The Ugly Ducking di Giulia Vanelli (Lucca, 1996) riflette sull’identità e la crescita personale.
Novità di questa edizione è l’istituzione del Premio Luigi Ghirri, in collaborazione con l’Archivio Eredi Luigi Ghirri.
SPAZIO GERRA
piazza XXV Aprile, 2
Maria Clara Macrì. In her rooms
Dall’idea di restituire alla donna la sua nudità, slegando il corpo dall’oggettivazione sessuale, è nata l’esigenza di intraprendere un’indagine delle stanze dove avviene la scoperta di se stesse, nei momenti di libertà e intimità.
Maria Clara Macrì ha iniziato dal 2018 a girare il mondo per incontrare donne di altre culture, che fosse Milano o Parigi, Londra, New York o Los Angeles, ciò che contava per la fotografa era riuscire a cogliere appieno ed esprimere visivamente la natura complessa e intensa della femminilità odierna, distruggendo gli stereotipi e liberando l’immagine della donna dalla sessualizzazione e dall’oggettivazione di cui è vittima.
Così nasce il progetto In Her Rooms, in cui Maria Clara esplora il rapporto tra empatia, intimità e la rappresentazione contemporanea delle donne, quasi tutte non originarie del luogo in cui sono state fotografate, mixed raced, queer e non binary.
Al di là di ogni casella precostituita, l’unico criterio che ha condotto l’autrice nella sua ricerca è stata la propria empatia verso il mondo esterno, che le ha permesso di cogliere l’essenza di un nuovo sentire femminile internazionale e globale, e di registrare il dato di una forte trasmigrazione al femminile. Interamente scattato su pellicola In Her Rooms è anche una raccolta di storie, poesie e aforismi che la Macrì ha scritto nei suoi diari durante il suo viaggio da una stanza all’altra.
BIBLIOTECA PANIZZI
via Farini, 3
![](https://bebeez.it/wp-content/uploads/2022/05/Vasco-Ascolini-Les-Ballets-Jazz-de-Montreal-Reggio-Emilia-1979.-©-Vasco-Ascolini-e1653464617403.jpg)
Vasco Ascolini: un’autobiografia per immagini
La mostra è dedicata al fotografo reggiano Vasco Ascolini con l’intento di far conoscere al pubblico la donazione che il fotografo ha fatto a Reggio Emilia: una collezione di circa 500 fotografie a stampa che tracciano una “biografia per immagini” della vita artistica e lavorativa di Ascolini, che ha attraversato, con i suoi scatti, 40 anni di storia della fotografia, lavorando in diversi paesi, dall’Italia alla Francia, dagli Stati Uniti, all’Austria e alla Germania.
L’autobiografia è considerata un genere letterario con il quale l’autore si racconta allo scopo di raggiungere fini differenziati e che ha una lunghissima storia alle spalle, quasi quanto l’invenzione della scrittura. Vasco Ascolini ha voluto affiancare alla sua vasta produzione fotografica una breve autobiografia inedita in cui ha raccontato, come una sorta di diario di viaggio, i momenti che ha considerato più importanti per la sua crescita intellettuale e artistica. Il lavoro che Ascolini testimonia con questa donazione alla sua città, e con quelle precedenti, rivela una continuità evolutiva che consente di seguirne le orme nel tempo e ci segnala i momenti di passaggio con i quali ha progressivamente arricchito il suo linguaggio espressivo.
La mostra è la narrazione di questo percorso coraggioso, fatto di incontri importanti e di grande determinazione.
COLLEZIONE MARAMOTTI
via fratelli Cervi, 66
1 maggio – 31 luglio
Carlo Valsecchi. Bellum
Le quarantaquattro fotografie di grande formato che costituiscono Bellum raccontano il conflitto ancestrale tra uomo e natura e tra uomo e uomo; l’uso della natura come difesa dall’altro uomo e parimenti la difesa dell’uomo dalla natura.
Con la montagna come sua simbolica rappresentazione – espressione naturale estrema e insieme luogo dell’ultima guerra di posizione – il progetto origina da un’esplorazione dei territori e delle costruzioni fortificate del nord-est italiano legati al primo conflitto mondiale, uno degli ultimi momenti nella storia dell’umanità occidentale in cui il destino e l’esperienza dell’uomo erano strettamente connessi all’ambiente naturale, alla sua conformazione, alle sue leggi e al suo controllo.
Attraverso un lavoro durato circa tre anni, Valsecchi ha percorso quelle montagne con il suo banco ottico, dall’inverno alla primavera si è messo in ascolto di quei luoghi per affacciarsi sull’abisso di un conflitto cieco, sublimando nei suoi scatti una realtà cruda in forma spesso astratta, intimamente estetica e assoluta nella sua essenza. Le immagini di Bellum diventano squarci, portali fatti di luce e composizione, sospesi in un tempo senza termine tra silenzio, isolamento e attesa.
In questa serie di fotografie di Valsecchi, densa di analogie visive e concettuali, la natura talvolta si fa architettura o si antropomorfizza, mentre il costruito si ibrida con l’ambiente naturale in un processo di scambio e mimesi reciproci, in cui tuttavia risuonano silenziosi i cicli della natura e lo scorrere del tempo – il lento processo di mutamento e di cancellazione del passaggio dell’uomo e dei suoi segni inesorabilmente effimeri sulla terra.
a cura di Paolo Bongianino