La natura cela il suo sapere ai nostri sensi, ma rivela la sua potenza in modi talvolta distruttivi, talvolta delicati. Si può intendere come un processo tra essere e divenire.
Come esseri umani cerchiamo il carattere essenziale delle cose: di animali, piante, rocce, fiumi e sistemi meteorologici, nel tentativo di scoprire la natura e comprendere noi stessi e il mondo intorno a noi.
D’altra parte, l’essere umano fa parte della natura, è parte di un più vasto organismo naturale. Tutti gli esseri viventi, infatti, sono collegati fra loro in un “corpo globale”, in cui i confini si dissolvono o si compenetrano. Tuttavia, i sensi di ciascuna creatura sono diversi a seconda dell’istinto di sopravvivenza, perciò la realtà viene percepita come molteplice e mutevole, frammentata e limitata. La mente umana ha persino la capacità di nascondere la verità a se stessa, alla nostra vera natura, tranne quando sogniamo. Eraclito evoca molteplici spunti di riflessione nel celebre frammento: “La natura ama nascondersi”.
Fotografia Europea 2024, che si terrà a Reggio Emilia dal 26 aprile al 9 giugno, si propone di catturare la natura esplorando le interconnessioni fra occultamento e scoperta proprio con il tema La natura ama nascondersi.
La ricca e variegata serie di fotografie riunite per questa edizione tematizza il senso del doppio o della coesistenza come parte di tutta la vita sulla terra. Il contesto è quello dell’Antropocene e le storie si snodano da un lato su una scala iperlocale, dall’altro sul palco planetario, per parlare delle idee di simbiosi, sostenibilità e di emergenza climatica.
La selezione vuole anche evocare le azioni positive o di trasformazione che gli esseri umani possono intraprendere, uscendo dall’asse di controllo dominante che la nostra specie esercita. In questo processo si scopre l’individuo, e insieme si celebra la coscienza ecocentrica, immaginando nuove narrazioni, forme e interpretazioni, presentando i vari modi in cui i concetti di natura sono stati rappresentati, e in alcuni casi destabilizzati, attraverso la fotografia e il cinema della contemporaneità.
“Fotografia Europea, premiata di recente come miglior festival del settore al mondo”, ricorda Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, “torna quest’anno con un’edizione dal titolo potente quanto lo è il soggetto che ammireremo in molte mostre: la natura. Credo che mai come in questi anni ci si è accorti della finitezza del nostro pianeta e della necessità di ripensare il rapporto fra il creato, oggetto di una importante enciclica del Pontefice, e l’uomo. Abitiamo un ambiente che ci lancia, da molteplici punti di vista, segnali di allarme e sofferenza, frutto di una mentalità predatoria rispetto a risorse che iniziano a scarseggiare. Sono certo che i lavori esposti sapranno calarci in realtà sconosciute, e sollevare dubbi e interrogativi sui quali è bene che tutti assieme come comunità, e ognuno di noi in quanto persona, è bene che si ponga. Voglio ringraziare Palazzo Magnani per il grande lavoro svolto, per il continuo rilancio delle proprie progettualità, di cui Fotografia Europea è un esempio”.
“Fotografia Europea rinnova per il 2024 la propria proposta culturale scegliendo un tema di grande attualità su cui la vita di ognuno di noi si confronta quotidianamente: i legami tra l’Uomo e la Natura e le trasformazioni messe in atto dagli esseri umani. Appellandosi alla citazione di Eraclito, “la natura ama nascondersi”, il titolo di questa diciannovesima edizione del festival dipana gli aspetti più controversi e paradossali sottesi a questa materia, che proprio nella fotografia e nelle sue molteplici modalità ha modo di trovare la più piena espressione”, sottolinea Mauro Felicori, assessore alla Cultura e Paesaggio Regione Emilia-Romagna. “Su questo tema, nel nostro territorio, il pensiero va immancabilmente alla catastrofe naturale dell’alluvione in Romagna del 2023 che ha colpito la popolazione e inferto danni ingenti anche al patrimonio culturale di musei, biblioteche, archivi, parchi, siti archeologici. Siamo grati a Fotografia Europea e ai suoi direttori artistici, Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart, per ricordare il valore della cultura visiva e della fotografia in particolare al formarsi del pensiero e al dibattito sull’attualità più urgente, riportando i luoghi della cultura e le loro istituzioni alla missione che il futuro richiede loro in termini di trasformazione e impegno sociale come vere e proprie leve del cambiamento”.
Le mostre
Palazzo Magnani, corso Garibaldi 29
Susan Meiselas, Mediations
Susan Meiselas (1948 Baltimora, Stati Uniti), sin dal 1976 membro di Magnum Photos, si è fatta conoscere per il suo lavoro nelle aree di conflitto dell’America Centrale (1978-1983) e in particolare per i suoi potenti scatti della rivoluzione nicaraguense.
Nelle sue opere coinvolge i soggetti in un’incessante esplorazione e sviluppo di narrazioni, lavorando spesso su lunghi periodi e su un ampio ventaglio di paesi e soggetti: dalla guerra alle questioni relative ai diritti umani, dall’identità culturale all’industria del sesso.
La mostra, intitolata Mediations dalla sua opera omonima, è la retrospettiva più completa mai presentata in Europa e raccoglie una selezione di opere che vanno dagli anni Settanta a oggi.
La mostra rivela l’approccio unico di Meiselas come fotografa che mette costantemente in discussione lo status delle sue immagini in relazione al contesto in cui vengono percepite, mostrando il suo modo di muoversi attraverso diverse scale di tempo e di conflitti, spaziando dalla dimensione personale a quella geopolitica.
Chiostri di San Pietro, via Emilia San Pietro, 44/c
Sky Album. 150 years of capturing clouds
Agli albori della fotografia, quando fotografare richiede lunghi tempi d’esposizione, risultava quasi impossibile immortalare le nuvole. Solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo, grazie ai miglioramenti di tecnica e tecnologia, i fotografi iniziarono a catturare l’infinita mutevolezza delle nuvole.
Nacque così una vera ossessione per questo soggetto, un’affinità che da allora ha generato innumerevoli immagini: spesso per scopi scientifici, come lo sviluppo di un sistema di denominazione internazionale o la visualizzazione del movimento delle nuvole su scala planetaria, ma anche per scopi artistici. Ne sono prova gli innumerevoli approcci metodici, ripetitivi e ossessivi, con alcuni fotografi che dedicano anni della loro vita a inquadrare il cielo.
Il fantasma dell’astrazione incombe su queste immagini, e il senso della messa a fuoco si rivela sfuggente: nella fotografia di una nuvola come si misura la sfocatura o come si distinguono le gocce che la compongono dalla grana o dai pixel?
La mostra celebra la vastità e la bellezza delle immagini di nuvole e l’unicità della pratica appassionata, di scienziati, dilettanti e artisti, di fotografare il cielo. In questo modo la mostra traccia un quadro della storia del cielo e della storia della fotografia, e dei modi in cui esse si intrecciano.
Helen Sear, Within Sight
Helen Sear presenta una serie di opere multiple e composite interconnesse che esplorano la dissoluzione della prospettiva a lente singola associata all’obiettivo della macchina fotografica.
A differenza della posizione fissa che il fotografo adottava nelle prime fotografie di paesaggi, Sear usa la macchina fotografica come fosse uno scanner che si muove nello spazio.
Da una catasta di legna monumentale a un pino gigante caduto nella foresta, Sear esplora un senso di connessione e ritorno alla vita attraverso esposizioni multiple e stratificazioni. È un’attenta osservatrice degli elementi mutevoli che compongono un paesaggio, e i suoi metodi di registrazione e ricostruzione visualizzano l’esperienza di essere presenti nella natura, utilizzando tutti i nostri sensi nell’atto di guardare.
Sear spesso rifiuta il tradizionale primo piano, il campo medio e il campo lungo nella realizzazione della foto, portando l’immagine quasi alla superficie dell’occhio, preferendo concepire gli elementi del paesaggio alla stregua di altri corpi in cui ci si può chiedere chi o che cosa stia guardando chi.
Yvonne Venegas, Sea of Cortez
Tra due altopiani al centro della penisola della Bassa California, nel 1885 fu fondata la città di Santa Rosalia in seguito alla scoperta nel terreno di grandi quantità di rame.
Il presidente Porfirio Díaz diede in concessione per cinquant’anni lo sfruttamento del territorio alla società francese Del Boleo. Nel 1930, Francisco Percevault Sobarzo, secondo di quattro figli di un ex prete cattolico francese e di una donna Yaqui, lavorava come contabile nella miniera di El Boleo e viveva con la moglie e quattro figli in una delle case costruite per i suoi operai.
Il 10 settembre 1931 la popolazione che viveva vicino alla diga di cemento che proteggeva dal passaggio dell’acqua fu evacuata a causa di un uragano in avvicinamento dal Pacifico. Francisco, orgoglioso della sua casa e con un figlio appena nato, decise di non prendere sul serio l’avvertimento, ma purtroppo la diga cedette. Della sua famiglia sono sopravvissuti due figli che, aggrappati a un tronco, riuscirono a liberare il flusso d’acqua: erano Manuel di dieci anni e suo fratello di dodici anni, Rodolfo Percevault Ceseña, nonno di Yvonne Venegas.
Questo progetto è costituito da una serie di testimonianze documentarie che spaziano fra diversi generi e in bilico tra la storia di famiglia dell’artista e i luoghi abitati dai suoi antenati, i territori che circondano il Mare di Cortez, le persone che ha incontrato lungo la strada o gli attori e i danzatori locali con cui collabora.
Arko Datto, The Shunyo Raja Monographies
The Shunyo Raja Monographies è una trilogia fotografica in corso da nove anni che propone tre modi concettualmente distinti di visualizzare il delta del Bengala, considerato uno degli epicentri del cambiamento climatico.
L’innalzamento del livello del mare e il brusco innalzamento dei fiumi hanno sommerso molte isole della regione esponendo milioni di persone al rischio di diventare rifugiati climatici. Questo lavoro mappa visivamente la traiettoria degli sfollati, delle case distrutte, delle scuole crollate e dei paesaggi perduti a causa dell’erosione, dell’innalzamento del livello del mare e dell’attività ciclonica.
La mostra racconta due dei tre capitoli della storia: il primo è un progetto fotografico che include ritratti e paesaggi che mappano l’erosione e l’innalzamento del livello del mare nel delta del Bengala attraverso l’India e il Bangladesh. Il secondo un quadro fotografico che delinea un’equivalenza tra la lotta al cambiamento climatico e la guerra globale al terrore, entrambe in conflitto con nemici invisibili ma onnipresenti e onnipotenti che possono colpire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. L’acqua qui rappresenta l’elemento del terrore.
Matteo de Mayda, There’s no calm after the storm
Un evento meteorologico estremo si è abbattuto sull’Italia nord-orientale nell’ottobre 2018. Lo scirocco ha soffiato fino a 200 chilometri orari nelle valli dolomitiche, schiantando al suolo circa 14 milioni di alberi. La pioggia incessante ha fatto esondare i torrenti, trascinando a valle tronchi e detriti. Nel volgere di una notte, gli abitanti di alcune comunità montane di Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia si sono trovati con le cantine allagate e le case scoperchiate dal vento.
A oltre cinque anni di distanza, le conseguenze della tempesta Vaia sono ancora visibili e tangibili. I versanti di alcune montagne sono brulli. I boschi che restano sono invasi dal Bostrico tipografo, un coleottero parassita che si ciba di legno. Senza le piante, è venuta a mancare una protezione contro le frane e le valanghe. Mentre esperti e gente del luogo si rimboccano le maniche per riportare la situazione alla normalità, il danno economico complessivo è stato stimato in tre miliardi di euro.
Realizzato in collaborazione con il giornalista Cosimo Bizzarri, i dipartimenti Tesaf e Dafnae dell’Università di Padova e il Grant ISPA 2021, There’s no calm after the storm indaga le conseguenze a lungo termine di un evento meteorologico estremo e l’equilibrio fragile tra l’azione dell’uomo e la tenuta degli ecosistemi.
Jo Ractliffe, Landscaping
Landscaping include scatti in bianco e nero realizzati durante lunghi viaggi in auto lungo la costa sud-occidentale dell’Africa. In Landscape and Power (2002), W.J.T. Mitchell sostiene che il paesaggio dovrebbe essere considerato un verbo anziché un nome, qualcosa che modella e viene modellato dall’agire sociale e politico. Jo Ractliffe prende le distanze da questa idea, che parla di una “vista” piuttosto che di “spazio reale”, confondendola con il luogo stesso. Il “paesaggio” non è la geografia o lo “spazio là fuori”. È già di per sé un artificio.
Nel suo lavoro, l’artista si ritrova ancora una volta a disconoscere il termine nel tentativo di sottrarre le sue fotografie a convenzioni stereotipate. Parlare di paesaggio in termini di bellezza, o al contrario di bruttezza, significa osservare invece che partecipare, ridurre il luogo a un concetto piuttosto che a un’esperienza vissuta.
Nella prima bozza di questa testimonianza, l’artista descriveva la costa atlantica come arida e spazzata dal vento. In seguito, si è resa conto che la sua rappresentazione riproponeva involontariamente le narrazioni coloniali della ‘terra vuota’, che vedevano l’uomo di frontiera come intrepido esploratore votato alla conquista e alla scoperta.
Molte città del Namaqualand sono nate dopo la ‘scoperta’ del rame a Okiep nel 1685. Utilizzando il termine landscaping, l’artista ha cercato di trasmettere l’idea di paesaggio come qualcosa di attivo, di renderlo un “fare” che ci impone di considerare da dove guardiamo e cosa pensiamo di guardare. La serie è stata realizzata con il sostegno del Lewis Baltz Research Fund 2022.
Natalya Saprunova, Permafrost
Dal 2019, Natalya ripercorre la rotta del Grande Nord, quella della sua infanzia, per raggiungere le tundre lapponi della penisola di Kola in Russia, vicino alla Finlandia e alla Norvegia.
Nel 2022, scopre la Jacuzia nella Siberia orientale, e le sue popolazioni indigene, i pastori di renne Evenki e i più stanziali Jakut, allevatori di vacche e cavalli. Alcuni anni dopo, il suo progetto fotografico si è ampliato: ora l’intero Artico è nell’obiettivo della fotografa russo-francese che al momento sta lavorando nei Territori nord-occidentali canadesi.
Natalya Saprunova ha gradualmente introdotto nei suoi scatti gli scienziati, che trasformano queste aree isolate e remote nei loro terreni di sperimentazione, campionando sedimenti e permafrost. Le temperature estive sono in aumento, le nevi perenni si sciolgono, gli oceani si riscaldano… Il permafrost contenuto nei suoli artici si sta sciogliendo progressivamente, rilasciando grandi quantità di gas serra che aumentano il riscaldamento globale. Dall’alba al tramonto, i colori tenui delle fotografie di Saprunova danno voce alle preoccupazioni di queste comunità.
Lisa Barnard, An Act of Faith: Bitcoin and the Speculative Bubble
Le criptovalute sono un “atto di fede”, privo di prove tangibili della loro presenza fisica. I Bitcoin in circolazione sono poco più di 19,4 milioni (2024). Dei 21 milioni di token Bitcoin, il 92,44% è già in circolazione. Spesso etichettato come “bolla speculativa”, il Bitcoin è un bene digitale ad alto rischio che può circolare senza l’autorità centralizzata di una banca o di un governo. Continua a subire una costante mancanza di sostegno da parte del dibattito economico mainstream.
Il 2017 è stato un anno spartiacque per le valute virtuali: il Giappone è stato il primo Paese a sostenere il Bitcoin, consentendogli di diventare una forma di pagamento legale. Nonostante i dubbi dell’Occidente, a Tokyo un gruppo di sostenitori simile a una setta è stato l’avanguardia che ha creato un elemento sia sociale che estetico per il Bitcoin, colmando il perdurante vuoto di esperienza umana, contribuendo al suo comportamento erratico sul mercato.
Al termine di questo progetto nel 2017, il Bitcoin valeva circa 900 dollari; l’anno successivo era salito a oltre 13mila dollari. Al suo apice, nel novembre 2021, un Bitcoin valeva oltre 60mila dollari.
Sebbene un tempo fosse possibile per individui impegnati e capaci, il processo di estrazione di Bitcoin è diventato sempre più complesso e dispendioso in termini di energia man mano che la sua vita sul mercato proseguiva. Ne è risultata una crescente influenza delle imprese e dei poteri aziendali dedicati, le cui risorse collettive hanno permesso di espandere il processo di produzione, spesso trasferendosi in mining farm create ad hoc.
Nel 2012 una di queste aziende, Genesis Mining (non più in attività), ha scelto di ospitare le proprie strutture in Islanda, che, proprio come il Bitcoin, ha un paesaggio dinamico e altamente volatile, con un’inestimabile abbondanza di energia geotermica a basso costo in grado di supportare il processo di estrazione estremamente dispendioso.
Terri Weifenbach, Cloud Physics
La serie a lungo termine della fotografa americana Terri Weifenbach è una luminosa osservazione fotografica dei fenomeni atmosferici, della percezione visiva e della vita sulla Terra. In Cloud Physics, esplora l’interconnessione vitale delle nuvole del nostro pianeta e le intime forme e trame della sua vita biologica.
La spina dorsale di quest’opera è una serie di fotografie per le quali ha ricevuto una Guggenheim Fellowship nel 2015, realizzate in un centro di ricerca americano per lo studio e la misurazione delle nuvole, della loro origine, della loro struttura, delle particelle e delle relazioni solari.
I curiosi strumenti da lei fotografati sono progettati per esprimere fenomeni atmosferici effimeri come insiemi di dati numerici, ma la macchina fotografica di Weifenbach e il suo modo di vedere rende il nostro mondo organico un mistero non quantificabile. Le scene vivaci delle sue numerose immagini, minuscole variazioni di luce, umidità, fuoco e fulmini; nebbie e vapori iridescenti; scorci del regno animale e del mondo vegetale, sono come miti nel mito che si disvelano attraverso le pagine del libro su uno sfondo di infiniti eventi meteorologici.
Bruno Serralongue, Community Gardens of Vertus, Aubervilliers
In un contesto di crisi climatica e di crollo della biodiversità, oltre 4mila mq di orti urbani sono stati distrutti per consentire la costruzione di una piscina per i Giochi Olimpici di Parigi 2024. Questi orti comunitari si trovano a meno di due chilometri dal centro di Parigi, ad Aubervilliers, nella Seine-Saint-Denis, il dipartimento francese più densamente popolato e con il minor numero di spazi verdi. Questa è solo la prima fase di un più ampio programma di distruzione: in totale, oltre 10mila mq di orti saranno sostituiti da una stazione ferroviaria di treni Grand Paris Express e da un nuovo quartiere di hotel e uffici.
Per opporsi ai piani di distruzione si è costituito un collettivo di difesa degli orti, Défense des Jardins des Vertus, composto dai cittadini i cui appezzamenti sono minacciati dalla demolizione. Alla fine del 2020 è iniziata una lotta durata diversi mesi. Il movimento di opposizione è cresciuto e ha ottenuto il sostegno della stampa. Poichè le dimostrazioni non erano sufficienti, il collettivo ha deciso di occupare gli orti il 23 maggio 2021, rinominandoli Jardins à Défendre, in riferimento alla Zone A Défendre. Contemporaneamente è stata avviata un’azione legale per cercare di annullare la concessione edilizia. Il 2 settembre 2021 l’area è stata evacuata dalla polizia per consentire l’inizio della demolizione.
Tuttavia, nel marzo 2022 il tribunale ha dato ragione ai cittadini e ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori. Nonostante questa vittoria, gli orti distrutti non saranno sostituiti, a causa dell’opposizione del consiglio comunale. Questa lotta su scala locale, gli orti sono curati da residenti a basso reddito del quartiere, è legata a una più ampia consapevolezza della necessità di preservare ambienti vivibili di fronte a progetti ecocidi.
Palazzo da Mosto, via Mari 7
Karim El Maktafi, day by day, Committenza 2024
Le Aree Interne costituiscono una vasta porzione del Paese, occupando circa tre quinti del territorio nazionale, pur ospitando poco meno di un quarto della popolazione complessiva. Queste regioni sono estremamente eterogenee al loro interno, caratterizzate dalla lontananza da grandi centri di agglomerazione e servizi.
La regione dell’Appennino Emiliano emerge come un’area di grande interesse, al centro di iniziative che mirano a riconoscere e valorizzare una specifica eredità culturale. Questa eredità si manifesta attraverso stili di vita profondamente radicati nei cicli lenti dell’ambiente naturale montano e attraverso reti mutualistiche consolidate.
La produzione di Fotografia Europea 2024, affidata a Karim El Maktafi, si colloca in questo contesto affascinante. La profonda interconnessione tra l’uomo e la natura, caratterizzata da una relazione allo stesso tempo forte e fragile, si svela nei secoli attraverso un legame profondo che riesce a mantenersi vitale grazie alle attività che continuano a animare questi territori.
La sua esplorazione si configura come un viaggio che evidenzia la spiritualità intrinseca dell’uomo in armonia con la natura, catturando l’essenza di un legame che persiste nel tempo e che contribuisce in modo significativo alla ricchezza e alla diverstàà di questa regione montuosa.
Index Naturae
Index Naturae comprende 116 libri fotografici pubblicati negli ultimi cinque anni che riguardano il tema della natura. La selezione dei volumi e l’intervallo temporale scelto sono l’esito di una ricerca condotta a partire da progetti fotografici recenti sviluppati da autori nazionali ed internazionali che hanno aderito al progetto proposto da OMNE, Osservatorio Mobile Nord Est. Escludendo a priori il limite geografico, la ricerca propone esperienze sul tema relative a cinque continenti che trovano un riferimento specifico nell’origine dell’autore coinvolto o nel luogo d’indagine.
La raccolta da un lato rappresenta una fonte di riflessione sullo stato attuale della fotografia e dell’editoria, dall’altro individua un corpus di esperienze di ricerca capace di offrire punti di vista molto diversi sul tema del rapporto tra uomo e natura nella contemporaneità, stimolando possibili approfondimenti e sperimentazioni. Nella relazione che si stabilisce tra luoghi e soggetti la fotografia racconta infatti sé stessa attraverso il linguaggio e i codici che le appartengono e la dimensione autoriale dei fotografi è orientata, nella mostra, alla costruzione di un lavoro collettivo, concepito come corpo unico all’interno di una struttura aperta, disponibile a essere letta, approfondita e interpretata a partire dai suoi dettagli.
Marta Bogdańska, Shifters, Open Call 2024
Il progetto Shifters è iniziato con una ricerca d’archivio e una raccolta di articoli sugli animali spia. Scoiattoli sospettosi, delfini spia, cicogne mal identificate, lucertole nucleari, piccioni fotografi: tutti questi animali sono stati accusati di spionaggio, comparendo sui media mainstream. Seguendo la linea di pensiero di Éric Baratay, uno storico francese che ha coniato il termine “storia dal punto di vista animale”, il progetto indaga e rivisita la storia visiva degli animali nelle guerre e nello spionaggio, in servizi come la Croce Rossa o la polizia e analizza il significato stesso del termine agente: una spia ma anche un soggetto che compie azioni.
Tenendo in considerazione questo interessante aspetto dell’agire dell’animale, il progetto mette in relazione la storia sfaccettata degli animali in guerra con quella della loro liberazione e dei loro diritti. Le immagini utilizzate sono quelle che circolano sul web, chiamate immagini povere da Hito Steyerl.
Marta Bogdańska propone una selezione di opere del progetto Shifters, che presenterà gli animali non umani come personaggi, come soggetti dotati di facoltà di agire, come agenti della storia, che plasmano attivamente i suoi fenomeni.
Il progetto evoca la loro presenza, le loro vite e le loro esperienze, non essendo loro in grado di farlo da soli. Il tema di guardare oltre l’orizzonte antropocentrico è uno dei più urgenti e complessi del nostro tempo.
Michele Sibiloni, Nsenene, Open Call 2024
Le cavallette, Nsenene nella lingua locale, sono una prelibatezza e un’importante fonte di reddito in Uganda. Le cavallette migrano in massa due volte l’anno, subito dopo le due stagioni delle piogge. Enormi sciami riempiono il cielo poco prima dell’alba. Così, notte dopo notte durante questa stagione, molti ugandesi stanno alzati fino all’alba per catturare queste creature.
L’onnipresenza dei lucenti insetti verdastri tra la nebbia notturna e il fumo dei falò sommerge l’intero paese in un’atmosfera ultraterrena, un effetto etereo creato dal curioso armamentario coinvolto, in particolare dagli strumenti e le trappole utilizzate. Raffiche di attività frenetiche si alternano a lunghi periodi di attesa e speranza.
Dato il loro alto contenuto proteico, rimangono una promettente fonte di cibo per il futuro, secondo UN Food and Agriculture Organization (Fao), che sottolinea “se più persone aggiungessero insetti commestibili alla loro dieta, ciò potrebbe ridurre la fame nel mondo e migliorare la sicurezza alimentare”. Tuttavia, la deforestazione ha decimato le popolazioni di insetti negli ultimi anni e alcune specie di cavallette sono ora gravemente minacciate.
A peggiorare le cose, le piogge in Africa stanno diventando sempre meno prevedibili a causa del cambiamento climatico e la raccolta di questi insetti dipende interamente dalle tempistiche climatiche del luogo. La caccia alle cavallette si trova su un confine molto precario tra passato e futuro, tradizione e innovazione e può far luce sull’identità degli ugandesi e sulle nuove prospettive per l’intero pianeta.
Villa Zironi, via della Racchetta, 20
Silvia Infranco, Radici
Negli ultimi anni la ricerca di Silvia Infranco si è orientata sugli erbari, sulla farmacopea e sui processi di cura arcaici e rituali rinvenuti in manoscritti e in testi a stampa antichi.
La mostra sviluppa queste sue ultime riflessioni sul rapporto tra uomo e natura nell’ambito dell’approccio fitoterapico con particolare attenzione ai risvolti magici, simbolici ed alchemici intervenuti nel corso dei secoli. Recuperare alcuni aspetti di questi processi di cura, sottolinearne l’attualità nel rapporto corpo-sensi-psiche, sono motivi conduttori della mostra che pongono in continuità passato magico e presente scientifico per un approccio contemporaneo di rigenerazione della relazione uomo-ambiente, anche grazie a una validazione della loro efficacia da parte della chimica moderna.
La ritualità antica sottesa è anche in grado di evidenziare un’ attitudine verso la natura di “raccolta-restituzione” che andrebbe riconquistata oggi. Le opere di Silvia Infranco si modulano su svariati medium e abitano gli spazi di Villa Zironi.
Dopo le recenti mostre a Londra e a Venezia in cui erano state esposte opere su piante utilizzate per la terapia dell’umore e della psiche, per questo ulteriore passaggio a Reggio Emilia, l’artista ha consultato l’Erborario Naturale del Santo Spirito del XVII secolo, la più antica raccolta botanica conservata nei Musei Civici della città da cui l’artista ha estrapolato le immagini di 5 piante divenute poi cuore dei lavori: aconito, elleboro nero, belladonna, giusquiamo e papavero.
Mostre Partner
Palazzo dei Musei, via Spallanzani 1
Zone di passaggio
La mostra propone una riflessione sul tema del buio e della notte con l’obiettivo di raccontare l’importante ruolo che entrambi rivestono nell’immaginario collettivo.
Punto di partenza sono le numerose opere di ambientazione notturna che Luigi Ghirri ha realizzato nel corso della propria produzione. Sono i luoghi“illuminati in maniera provvisoria, o gli spazi che vivono una loro discreta semioscurità e che solo temporaneamente diventano luminosi in maniera festosamente provvisoria”, in cui si attiva una lettura alternativa del reale. Rispetto alla storia del procedimento fotografico, il rapporto fra luce e buio è essenziale. Per Ghirri sono quindi i bagliori, i lampi, le piccole intermittenze come quelle delle lucciole ad esprimere le migliori modalità di illuminazione poichè mantengono intatto l’incanto del buio, preservando le zone d’ombra.
La mostra presenta quindi il lavoro di diversi ed importanti autori di rilievo internazionale che, a partire dalle sperimentazioni sul medium e sulla visibilità della fine degli anni Sessanta, utilizzano il buio come possibilità di narrazione.
Come afferma il filosofo Alain Badiou “[…] la stessa contraddizione della notte è quella di offrire riparo a ciò che è esposto, invisibilità alla bellezza del visibile”. Ecco, quindi, che gli autori in mostra si muovono all’interno di questo spostamento paradossale che viene offerto dal buio, utilizzandolo per cercare di raccontare ciò che vi accade.
Giovane Fotografia Italiana #11, Premio Luigi Ghirri 2024
Contaminazioni
Da undici anni Giovane Fotografia Italiana è il progetto del Comune di Reggio Emilia volto a sostenere il lavoro di artisti emergenti che utilizzano il mezzo fotografico.
La mostra collettiva dei sette artisti, selezionati attraverso una open call da una giuria internazionale composta da Claudia Amatruda, Benedetta Casagrande, Noemi Comi, Massimiliano Corteselli, Camilla Marrese, Cinzia Romanin e Alessandro Truffa, ruota attorno al tema Contaminazioni, che intende mostrare l’immagine contemporanea come nuova possibile interazione tra e il resto degli esseri viventi.
Oltre a concorrere per il Premio Luigi Ghirri, che offrirà al progetto vincitore l’opportunità di presentare una mostra personale alla Triennale di Milano, uno dei sette artisti parteciperà a una residenza d’artista a Stoccolma, che culminerà in una mostra curata dall’Istituto Italiano di Cultura; una borsa di studio per partecipare al programma di portfolio review Photo-Match nell’ambito di Fotofestiwal Łódź e la “Artist Residency Dalby Forest”, grazie alla partnership con Photoworks.
Spazio Gerra, piazza XXV Aprile 2
New Theaters Of the Real
Nel quadro del dialogo permanente tra natura e artificio che percorre le arti, la mostra presenta cinque posizioni della fotografia contemporanea che aprono il confine della creazione a diverse modalità di collaborazione con l’intelligenza artificiale generativa.
Può la IA, pur nella sua completa estraneità alla natura, aiutarci a intuirne i processi più nascosti e di conseguenza a preservarli? È il caso di Markos Kay che in Abiogenesis visualizza una delle teorie più note su come si sia sviluppata la vita sulla terra a partire da membrane lipidiche. Mentre la serie Ornitography di Xavi Bou, si avvale dell’algoritmo per ricostruire la bellezza nascosta del volo degli uccelli.
Ma, andando oltre, come si configura il rapporto tra le capacità predittive e logiche o illogiche dell’IA e la creatività umana? La IA à in grado di potenziare le nostre facoltà immaginative? O si tratta invece di un ulteriore strumento di alienazione che allontana gli umani ancora di più dall’appartenenza a una natura unitaria?
La post-fotografia di Katie Morris si innesta su una tradizione surrealista per creare un immaginario in cui vengono costantemente ridefiniti i confini del reale, in un conflitto permanente tra il fragile ordine del mondo organico e le costruzioni artificiali dell’intervento umano.
In Pierre Zandrowicz ogni immagine della serie Whisper of Eternity è come il frame di un film che racchiude sia la scena che l’osservatore, in una quiete contemplativa che getta un ponte tra la vastità della natura e i più intimi recessi dell’esistenza umana.
Lo sguardo ironico di Antti Karppinen infine ci proietta dentro una realtà alterata dai cambiamenti climatici, in cui le persone continuano a svolgere le proprie attività in una completa scissione con i processi della natura circostante.
Biblioteca Panizzi, via Farini 3
La collezione di Linea di Confine a Reggio Emilia
Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, con sede a Rubiera (RE), ha realizzato dal 1990 indagini fotografiche sul territorio regionale e nazionale, con il sostegno di un gruppo di comuni ed enti della provincia di Reggio Emilia e Modena.
Promuovendo la ricerca fotografica, incaricando noti fotografi italiani e stranieri, affiancata dall’originale esperienza dei “Laboratori di Fotografia”, Linea di Confine per oltre 30 anni si è proposta nel panorama italiano come una delle esperienze più significative nel settore della pubblica committenza.
Dal 2023 il Comune di Reggio Emilia, con l’archivio fotografico della Biblioteca Panizzi, ha ricevuto da Linea di Confine il deposito dell’intera collezione fotografica, per metterla a disposizione della cittadinanza, valorizzando e restituendo ad essa una seconda vita e una nuova visibilità. Questa mostra è la prima di diverse iniziative che vedranno la collezione di Linea di Confine protagonista nel panorama della fotografia in città.
Nel 1994 e nel 1997, due fotografi, Paola De Pietri e Walter Niedermayr, vengono incaricati per condurre un’indagine sull’area del parco fluviale.
Paola De Pietri decide di realizzare la sua osservazione sorvolando l’area del parco fluviale con una mongolfiera. Il punto di vista dalla mongolfiera in volo avrebbe permesso di produrre delle immagini ad una distanza che fosse a metà strada fra quella offerta dalla comune mappa topografica, quella dell’aereo e quella degli occhi del visitatore.
Collezione Maramotti, via Fratelli Cervi 66
Silvia Rosi, Disintegrata
La mostra, specificamente concepita per la Collezione, è la prima personale istituzionale italiana di Silvia Rosi. Include venti nuove opere fotografiche, alcune immagini in movimento e un nucleo di fotografie d’archivio raccolte dall’artista in Italia, principalmente in Emilia-Romagna, tra il 2023 e il 2024.
Coadiuvata dal lavoro di Mistura Allison, Theophilus Imani e Ifeoma N. Emelurumonye, Rosi ha percorso il territorio per raccogliere centinaia di fotografie ordinarie, scatti di album di famiglia che raccontano la quotidianità di chi, giunto dall’Africa prima del Duemila, ritraeva sè e la propria vita in contesti diversi.
La mostra rappresenta il punto di partenza di un più ampio progetto di Rosi: l’attivazione di una rete italiana di cittadini afrodiscendenti, generando una prolifica operazione di community building, e la formazione di un archivio familiare delle diaspore afrodiscendenti in Italia, con la volontà di approfondire nuove possibilità di trasmissione della conoscenza visiva attraverso immagini vernacolari.
La mostra esplora, restituisce e mette in scena, con umorismo, un immaginario dell’idea di “italianità” nel nostro territorio contemporaneo.
a cura di Paolo Bongianino