Nel borgo di Soliera, in provincia di Modena, al Castello Campori fino al 15 gennaio 2023 è di scena la mostra Giochi di verità – Rappresentazione, ritratto, documento con opere della Collezione Donata Pizzi, a cura di Marcella Manni. Spazio alla fotografia e alle autrici italiane – questo il filo conduttore della raccolta, dagli anni Sessanta ad oggi con un focus sui diritti anche se non necessariamente dichiarato – nell’esposizione promossa dal Comune di Soliera e dalla Fondazione Campori con il supporto di Regione Emilia Romagna (nell’ambito della Legge regionale 37/94) e Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi con il contributo di Esselunga, Le Gallerie Shopping Center, Reinova e Porfirea Srl. Il progetto rientra nell’attività di monitoraggio del collezionismo privato avviata dall’Amministrazione comunale nel 2018 con la mostra dedicata alle Collezioni Cattelani che in questo caso ha una specificità, una collezione nata per la condivisione, la formazione e l’informazione di un’appassionata di fotografia, essa stessa fotografa, e dalla considerazione che l’Italia legge quest’arte come un’espressione minore. Importante dunque il senso della territorialità che a Modena ha trovato nel settore grandi risorse espressive.
Il percorso espositivo, pensato e realizzato per gli spazi del Castello, comprende oltre 80 fotografie che portano la firma di Paola Agosti, Tomaso Binga, Lisetta Carmi, Silvia Camporesi, Libera Mazzoleni, Marinella Senatore, Silvia Rosi, Elisabetta Catalano, Liliana Barchiesi, Betty Bee, Luisa Lambri, Ottonella Mocellin, Simona Ghizzoni tra le altre. Lungo un arco temporale di oltre cinquant’anni – la collezione inizia nel 1965 con un’immagine di Lisetta Carmi da poco scomparsa – la mostra ripercorre momenti significativi della fotografia italiana mettendo in luce le evoluzioni concettuali, estetiche e tecnologiche che si sono sviluppate negli ultimi decenni. La centralità del corpo, il rapporto tra memoria privata e collettiva, le dinamiche e i riti della vita familiare, sono elementi costitutivi e identitari che si leggono oltre le singole voci delle artiste e i momenti storici in cui sono vissute o vivono e operano. Il mood è quello dell’ironia e soprattutto dell’autoironia delle donne e del loro coraggio nel leggere e denunciare la realtà che trova
una grande corrispondenza, spesso tragica, nell’attualità. Ecco perché l’inaugurazione è stata dedicata al coraggio delle donne iraniane. La mostra è curata da Marcella Manni che ha messo in evidenza l’importanza di rendere le collezioni vive e visibili e anche di rileggerle, attualizzarle, in linea per altro con il mondo museale che in questo periodo sta vivendo un fermento nel senso del riallestimento e del dialogo se non della contaminazione tra presente e passato. Ora il linguaggio fotografico, l’ultimo, prima del digitale che per altro si intreccia fortemente con esso, è il più recente nell’ambito artistico e ben si presta al confronto temporale per raccontare l’oggi. Interessante il fatto che la fotografia sia ritratto della realtà, evidenza eppure, come ci insegna la comunicazione, la pubblicità, inganno, costruzione tutt’altro che spontanea, a dispetto dell’apparenza. Questo offre la possibilità dell’immediatezza che la rende avvicinabile dal grande pubblico e diventa stimolante per l’opera di alfabetizzazione che richiede. L’esposizione infatti sarà affiancata da un lavoro importante di didattica e visite guidate per ottimizzare la risposta del pubblico. Donata Pizzi ha sottolineato come infatti, se adeguatamente stimolato, il pubblico risponda con risultati inaspettati, com’è accaduto in occasione della prima mostra della collezione nel 2016 alla Triennale di Milano. La curatrice ha sottolineato che questo percorso fotografico “esplora linee di ricerca comuni e trasversali sia cronologiche sia tematiche, delle artiste e delle fotografie, all’interno di pratiche in cui vero e falso si contaminano, in una riflessione che disancora l’idea di realtà da quella di verità e spinge verso l’idea di libertà (del sapere). L’accostamento di fotografie di autrici diverse, lontane tra loro nel tempo e nello spazio (geograficamente
inteso), aiuterà a innescare delle ‘sorprese’, degli slanci di conoscenza lontani dallo stereotipo. La Collezione consente di analizzare e contestualizzare diversi approcci stilistici, presentando posizioni artistiche concettuali e sperimentali grazie a diverse opere che ne illustrano gli sviluppi estetici, iconografici e tecnologici all’interno della storia della fotografia. In termini di contenuto, le opere affrontano i cambiamenti socio-politici del loro tempo, nonché cliché di ruolo, idee femministe e questioni di identità, relazioni e corpo”.
Il percorso espositivo va dal uno scatto del 1967 di Elisa Catalano al 2021 rappresentato da Silvia Rosi ed è interessante notare come alcune delle immagini non siano mai state esposte prima. Tra le tante immagini vi proponiamo Meris Merighetti con A slight ache, 2017, il cui personaggio fa riferimento a uno dei protagonisti silenti della performance-conferenza L’anello e il libro – prologo, realizzata a Roma nel 2016, ispirato al processo di Giordano Bruno. L’asino, immagine cara al filosofo, è simbolo di conoscenza silenziosa, di possibilità di conoscenza; per Apuleio invece rappresenta il processo di metamorfosi. Ora la fotografia trae ispirazione da una pièce radiofonica di Harold Pinter in cui appariva un personaggio muto col viso coperta da un passamontagna nero e diventa involontariamente testimone ma anche allusione all’inconscio. Molto forte per l’evocazione ma di grande eleganza visiva Fiore Rosso 1, del 1982 di Verita Monselles, definita dalla critica “l’immagine dell’inizio dell’autoliberazione femminile”, è un nudo esplicito nel rinvio all’atto intimo con il vaso e il fiore rosso appunto fiero sul suo stelo a coprire le parti intime della donna che siede a gambe incrociate – il volto è coperto da un drappo rosso – in una cornice barocca, seppur essenziale. Ironico e inquietante ad un tempo infine lo scatto di Brigitte Niedermair, Ich liebe dich del 2005 che mostra una figura femminile avvolta dal niqab nero in una mise en scène che mostra le contraddizioni del mondo di oggi nel confronto tra cultura. La donna infatti indossa una sorta di ciondolo che è un dolcetto natalizio sbocconcellato con una dichiarazione d’amore in tedesco. Poetica e drammatica per le inversioni di senso che contiene come sempre l’immagine di Simona Ghizzoni: ha il sapore d’antan ma il richiamo a non fidarsi dell’apparenza lo scatto riprodotto dell’originale datato 1918 dell’artista Rä di Martino; mentre è un manifesto ermetico il collage dedicato, giocoso ma che fa sentire lo stridore, The new feminism dell’artista pugliese Marinella Senatore, con un collage delicato.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Metronom Books e curato da Marcella Manni con un’intervista a Donata Pizzi e la riproduzione di tutte le opere esposte di grande profilo perché si configura come un vero e proprio libro, prezioso e maneggevole ad un tempo, con una piacevole sovra copertina che è in realtà un post che riproduce un’immagine della serie I Travestiti di Lisetta Carmi, fotografa recentemente scomparsa, mentre la copertina è dedicata a La contessa Anna Pellegrini, Palazzo Morosini in Canal Grande, Venezia, 1992, della Shobha, con un percorso in ordine alfabetico, corredato da brevi note biografiche delle artiste.
La mostra rientra nel programma espositivo denominato Castello dell’Arte, che ha portato alla realizzazione di tre mostre a cura di Lorenzo Respi: Intra moenia. Collezioni Cattelani (2018), Arnaldo Pomodoro. {sur}face (2020) e Mauro Staccioli. [re]action (2021), nonché alla contestuale installazione di opere d’arte monumentali di Arnaldo Pomodoro e Mauro Staccioli nel centro storico di Soliera, concesse in comodato d’uso gratuito pluriennale dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro e dall’Associazione Archivio Mauro Staccioli.
Chi è Donata Pizzi
Classe 1957, fotografa e photo-editor, vive tra Roma e Milano e inizia nel 2013 a collezionare opere di fotografe italiane attive dal 1965 ad oggi. La collezione ha preso avvio da una fotografia di Lisetta Carmi e si è sviluppata fino a comprendere oltre 300 opere di più di 70 fotografe di diverse generazioni. L’obiettivo della collezione è quello di studiare, raccogliere, promuovere e sostenere il lavoro delle fotografe italiane, costruendo un percorso su un doppio asse, cronologico e tematico, attraverso la selezione di opere e autrici tra le più influenti del panorama contemporaneo. La collezione è una delle poche raccolte riservata al lavoro di artiste donne ed è in continua espansione.
a cura di Ilaria Guidantoni