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Intelligenza artificiale, NFT, dimensioni più o meno virtuali legate all’arte, gallerie che sono solo online, artisti che diventano agenti di loro stessi: sono solo alcuni degli elementi che stanno trasformando, se non hanno trasformato, il mondo e il mercato dell’arte.
A questo punto occorre fare una riflessione anche perché si rischia l’anarchia e in parte la dissoluzione del mercato. L’artista è certamente il protagonista ma sarebbe presuntuoso pensare che possa autovalutarsi, decidere se è un artista, non nell’animo naturalmente quanto sul mercato, darsi un coefficiente e così via. Il tema porta in causa innanzitutto il ruolo nuovo della galleria, il suo rapporto con l’impresa dato che il gallerista è un imprenditore, oltre che un commerciante, che ha un patrimonio da gestire e dei progetti. Un’altra figura che sotto un certo profilo sta acquistando importanza ma sulla quale è necessario fare chiarezza è quella del curatore che talora coincide con il gallerista o il direttore museale.
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“Sono ancora molti però gli artisti che faticano a comprendere la figura del curatore”, ci ha raccontato Alessio Musella, curatore e direttore della Galleria Oblong di Forte dei Marmi, nominato di recente a ricoprire questo doppio ruolo, che tra l’altro ha ricevuto in Campidoglio il Premio internazionale Business Woman per personalità che si è distinta nel 2023 nel mondo dell’arte.
“Questo accade perché spesso sono inciampati su personaggi poco professionali se non addirittura disonesti. Ora è importante sottolineare che il curatore rappresenta il fil rouge tra l’artista, l’opera e il pubblico, in grado di tradurre in parole le emozioni di chi crea, raccontando una mostra, un percorso artistico, un’emozione”, dice Musella.
Se dobbiamo identificare un periodo cruciale per il collocamento di questa figura, torniamo agli Anni Ottanta e Novanta che hanno segnato una svolta nell’evoluzione e nel sistema dell’arte, trasformando il curatore in un moderno Virgilio nel guidare chi osserva le opere nel mondo emotivo dell’artista che le ha concepite. In realtà quando parliamo di mostre, il curatore diventa a tutti gli effetti una sorta di direttore artistico, attraverso la selezione degli artisti, delle tematiche legate alle opere esposte, ne cura gli allestimenti e scrive testi di curatela impostando il catalogo.
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Che cosa significa “curare” oggi?
Vuol dire assumersi la responsabilità di recuperare il senso profondo del verbo, quel saper ascoltare, saper consigliare, quel prendersi cura, dedicare la giusta attenzione, essere facilitatori e compagni di strada degli artisti, delle opere, ma anche del pubblico, plurimo, diversificato, che a quegli artisti e a quelle opere magari per la prima volta si accosta. Un ruolo quindi fondamentale e importante per la riuscita della mostra ma soprattutto per la valorizzazione dell’artista e delle sue opere. Attualmente il curatore è una figura sempre più complessa e poliedrica: all’occorrenza diventa manager se necessario, ricopre il ruolo di talent scout per gallerie o grandi collezionisti. I suoi compiti spesso spaziano in vari settori, dall’organizzazione alla gestione, alla scrittura, alla promozione, e non sempre sono ben visti o è riconosciuto il loro valore e lavoro. In ogni caso ricopre un ruolo di rilievo nel sistema dell’arte. I suoi suggerimenti e le scelte proposte in collaborazione con l’artista che segue possono diventare fondamentali per la carriera dello stesso, influendo nel suo percorso, portando un incremento del suo valore e quotazione.
Qual è il rapporto con i galleristi?
I galleristi ne sono consapevoli, infatti non è un caso che scelgano con estrema attenzione a chi dare incarichi per avere un ritorno diretto sull’artista promosso, una maggiore valutazione, un maggiore riconoscimento, un maggiore posizionamento.
Torniamo alla relazione con l’artista.
Non dimentichiamoci che il curatore diventa anche la persona in cui l’artista trova, o dovrebbe trovare, una complicità artistica e creativa, una persona con la quale confrontarsi, magari anche scontrarsi, ma di sicuro di cui potersi fidare. La conoscenza del mercato, della storia dell’arte, l’esperienza maturata negli anni, sono elementi essenziali per poter far crescere un’artista attraverso il confronto costante, su scelte fatte o da fare. Il curatore è o dovrebbe essere una persona con conoscenza, passione, eterno desiderio di imparare, di sperimentare, caratteristiche che si possono acquisire sul campo, lo studio aiuta, ma non è tutto.
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In generale possiamo dire che il curatore ha un’esplicita vocazione alla condivisione con il mondo, che non necessariamente coincide con il mondo dell’arte, per aiutare a dialogare è sempre fondamentale saper ascoltare, non trascurare i dettagli, rispettare luoghi, persone, usanze, perché, se è vero che l’arte può diventare un linguaggio universale, lo sarà solo attraverso il rispetto di chi si ha di fronte, sia esso l’artista, il Gallerista, ma soprattutto il fruitore al quale devi imparare a parlare entrando nella sua area protetta.
Amo paragonare il curatore a un ballerino di danza classica, che quando è sul palco con la compagna, vede il suo ruolo concentrato sul mettere in evidenza la sua partner, lasciando da parte protagonismi personali, mettendosi a disposizione per il successo altrui.
Oggi, più che in passato, quando si compra un’opera d’arte, si entra in possesso dell’emozione che suscita come la storia di chi ha creato quell’immagine, l’impasto di colori, quei semplici segni su di un foglio. Questo è un fatto puramente soggettivo.
Come può intervenire allora il curatore?
Mi è capitato di raccontare la storia di un giovane fotografo israeliano e del perché abbia scelto di allestire i suoi set fotografici sotto l’acqua. Mi sono accorto che la percezione del fruitore nei confronti dell’immagine che si trovava di fronte cambiasse allora totalmente, ritrovando nelle mie parole i dettagli che superficialmente erano scivolati via. Yinon Ga Lon, questo il nome del giovane talento, essendo molto timido e non a proprio agio nel dialogare con la gente, ha trovato nell’elemento acqua il suo rifugio, una sorta di ritorno nel liquido amniotico che lo ha protetto per nove mesi nel grembo della madre. E ha portato nella sua comfort zone modelle, modelli e semplici persone, per fotografarli senza trucco, senza finzione, arrivando alla loro anima.
a cura di Ilaria Guidantoni