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Alla galleria Il Ponte di Firenze, fino al 24 settembre è allestita la mostra Renato Ranaldi Pietre, a cura di Bruno Corà – che firma insieme all’artista il Catalogo, pubblicato per le Edizione Gli Ori di Pistoia – artista fiorentino legato alla galleria che nel 2006 gli ha dedicato una mostra con 800 disegni che hanno rivestito l’interno ambiente; mentre nel 2011 con Fuori quadro, espressione dello stesso artista, si inaugura una nuova stagione della quale l’esposizione in corso è la declinazione nella scultura.
Le pietre, una quarantina tutte raccolte nella pubblicazione, delle quali sono esposte solo una parte, che riuniscono i lavori degli ultimi tre anni, sono degli object trouvé incontrati nel corso dei viaggi. “Gli oggetti mi chiamano – ci ha raccontato l’artista – stabilendo un empatia che non nasce dalla bellezza in sé del sasso”.
A partire dal questo centro, come dalla tela vuota, ai margini si costruisce il nuovo centro, con un effetto straniante, l’essere in bilico.
L’artista, di cui la galleria segue lo sviluppo del lavoro ormai da molti
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anni, affronta questo nuovo materiale, la “pietra”, sia esso frammento architettonico, pietra di risulta o, quale elemento dato su cui operare.
Come nasce fuori quadro, una sorta di rivoluzione copernicana?
“Dalla necessità della rifondazione della centralità, da quella presunta della tela a quella presunta del margine. Ho sentito la voglia di ripensare una centralità nuova che mettesse in crisi quella tradizionale, avallata dai musei, così ho realizzato delle masse di colore ai bordi della tela vergine, consapevole di uscire dalla gabbia di una
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centralità per entrare in un’altra, quella della costruzione della propria teoria. Evidentemente esiste un bisogno di legge, di seguire dei binari, quali che siano”.
Come si sviluppa il lavoro con le pietre?
“Ne è una conseguenza e cerco l’estraniazione attraverso le forme, lo stare in bilico che restituisce valore e rende prezioso un oggetto proprio perché fuori centro. Quando qualcosa è messo non al centro, al sicuro ma sul bordo, in pericolo attrae l’attenzione e se ne scopre il peso, come in una relazione sentimentale quando
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l’oggetto soggetto del nostro desiderio non è più blindato.” E’ così ad esempio nel Trampolino, un’installazione di quattro metri dove sul bordo, pronto al tuffo o a una caduta tre pesi, che creano una sproporzione, con un effetto leva forte. Tra l’altro questi sono il simbolo del Monte iniziatico, una sorta di prova. L’essere in pericolo è estraniante e l’arte sperimenta lo stare in bilico linguistico”.
Ora la sfida di Renato Ranaldi, che non si è legato né è etichettabile in nessuna delle correnti degli Anni Settanta con le quali per altro è stato in dialogo come la Pop Art o il Minimalismo o l’Arte concettuale, è di divinizzare qualsiasi oggetto, di culturizzarlo, di trattarlo con la voce della poesia.
Le pietre sono addossate ad aste di acciaio, elementi meccanici, bastoni, dipinte con masse colorate ai bordi o accostate sempre in modo periferico a metalli e materiali di vario tipo.
Come nasce il rapporto con il critico d’arteBruno Corà, un sodalizio anche amicale?
“Ci siamo incontrati la prima volta ad una mia mostra nel 1975 presso la galleria fiorentina Serafino Flori che aveva dato vita ad una stagione interessante di iniziative legate all’Arte Povera. Lì Bruno ha visto un mio lavoro Superavirtusfreesinfonica, un lavoro particolare: un fotomontaggio gigante con 70 elementi orchestrali, tutti raffiguranti me stesso che suono sia strumenti tradizionali sia di fantasia il cui risultato sarebbe una sorta di ruggito non essendoci partiture che armonizzino e che destò l’interesse di Bruno”.
Chi è Renato Ranaldi
L’artista fiorentino, classe 1941, nel corso degli anni Sessanta si lega a molti artisti che gravitano nella città di Firenze, tra i quali Eugenio Miccini, Giuseppe Chiari, Ketty La Rocca, Adolfo Natalini, Gianni Pettena, Roberto Barni. Sono gli anni dei primi viaggi in Europa (Inghilterra, Francia) e negli Stati Uniti. Con Andrea Granchi e Sandro Chia condivide l’esperienza del Teatro Musicale Integrale (1967-69). Nel 1968 avviene la sua prima esperienza cinematografica con Senilix; nello stesso anno ha luogo la prima mostra personale alla galleria La Zattera di Firenze, a cura di Claudio Popovich. Nel 1971 realizza il Timparmonico. Seguendo una via personale, non influenzata dalle tendenze artistiche del momento – minimalismo, pop art, arte povera – entra negli anni Settanta con un repertorio di opere al di fuori degli schemi. Sono gli anni in cui stringe amicizia con gli artisti Fernando Melani, Luciano Fabro e con il critico Bruno Corà. Nel 1980 realizza l’Archetipo, “forma delle forme”. Nel corso degli anni Ottanta, con opere di grandi dimensioni, espone in numerose mostre pubbliche e private (Modena: galleria Mazzoli; Bologna: galleria Fabibasaglia; Macerata: Pinacoteca; Firenze: Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, Villa Romana, galleria Vivita; Malmö: Konsthall). Nel 1988 viene invitato da Giovanni Carandente alla XLIII Biennale di Venezia con una sala monografica di scultura. Dagli anni Novanta, avviene un’ulteriore trasformazione nella sua produzione plastica attraverso l’utilizzo di laminati di zinco, rame, ottone, sotto forma di superfici o di nastri con piegature ottenute con modalità meccanica. Nel 1994 ha inizio il ciclo dei telai in legno di dimensioni varie, spesso dipinti col colore blu reale. Nella decade dei Novanta si compie altresì il ciclo della “pittura scolpita”. In questi anni si segnalano esposizioni personali in gallerie private e in musei in Italia (Ravenna: Pinacoteca comunale; Firenze: galleria Gentili; Perugia: Opera; Pistoia: Palazzo Fabroni; Carrara: Accademia di Belle Arti) e all’estero (Los Angeles: Convention Center; Parigi: Gran Palais, FIAC; Fresnes: Maison d’Art Contemporain Chaillioux; Vienna, galleria Christine König). Nel 2002 dà alle stampe il libro La misura. La rotazione, il ritorno, opera che emblematizza l’idea di crisi di identità artistica, per la nuova collana de I libri di AEIUO. Tra le esposizioni degli ultimi anni si ricordano quella del 2005 alla Galleria Il Ponte di Firenze, dal titolo Parusie (costituita da ben 826 piccoli disegni), legata al volume curato da Bruno Corà con lo stesso titolo, vero repertorio del piccolo disegno. Nello stesso anno al CAMeC di La Spezia, col titolo Dispositivi per l’ora d’aria, presenta alcune grandi sculture-installazioni in cui è evidente il sentimento di ‘rischio’ derivato dal mettere in ‘bilico’ le forme; infine Quijotesca, all’Instituto Cervantes di Parigi, dove presenta l’opera Bilico d’i’ciuho e la berva con i suoi arredi. Partecipa ad importanti rassegne internazionali d’Arte contemporanea: Exempla 2 (Teramo, Pinacoteca Civica); Grande segno cantato (Gubbio, Palazzo Ducale); nel 2006, XII Biennale internazionale di scultura La contemporaneità dell’arte (Carrara, Museo della scultura); Joke, Satire, Irony and serious meaning (Murska Sobota (Slovenia), galleria d’Arte moderna di Murska Sobota); nel 2009, Costanti del classico nell’Arte del XX e XXI secolo (Catania, Palazzo Valle); nel 2010, Il grande gioco. Forme d’arte in Italia 1959-1972 (Milano, Rotonda della Besana). Fino ad oggi è così un susseguirsi e alternarsi di esposizioni in spazi privati e pubblici, tra le quali si annoverano: Fuoriasse Fuoriquadro, Galleria Il Ponte e Arte torna arte, Galleria dell’Accademia (Firenze, 2011 e 2012); Fuoricarta, Galleria Peccolo (Livorno, 2014); Au rendez-vous des amis, palazzo Vitelli a S.Egidio e Ex Seccatoi del Tabacco (Città di Castello, 2015); Books + papers, Christine Koenig Galerie (Vienna, 2015); La lotteria cieca del Trìscopo, Fondazione Mudima (Milano); Scioperii, Galleria Il Ponte (Firenze, 2016); Renato Ranaldi. Clinamen, Museo di Arte Contemporanea (Cassino, 2018); Renato Ranaldi. Pietre, Galleria Il Ponte (Firenze, 2021). Alla costante attività espositiva si affianca un lavoro editoriale con presentazioni di suoi libri, quali Tebaide, Gli Ori editore (2010, Celle – Pistoia); Calamaio mistico, Le lettere editore (2014, Biblioteca Marucelliana, Firenze); Forse piove, Clichy editore (2017, Biblioteca delle Oblate, Firenze); Tiritere, Gli Ori editore (2018), oltre alla partecipazione con molti saggi su riviste di arte e letteratura.
a cura di Ilaria Guidantoni