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Jago-Into the White è il film evento diretto da Luigi Pingitore sull’artista popstar da oltre un milione di follower.
Nelle sale italiane solo il 18 e 19 giugno, è il primo “evento off” della Grande Arte al cinema di Nexo Digital, che si occuperà della distribuzione in 50 Paesi, in collaborazione con i media partner Radio Capital e MYMovies.it e con Abbonamento Musei, prodotto da prodotto da JCJ.
Presentato in anteprima al Tribeca Film Festival, che si è tenuto da 5 al 16 giugno 2024, narra vita, viaggi, sogni e ambizioni di un giovane scultore italiano che ormai tutti conoscono nel mondo come il nuovo Michelangelo.
Il film racconta due anni della vita di Jago, da quando si trasferisce da New York a Napoli e, in piena solitudine, lavora giorno e notte alla sua nuova scultura: una versione moderna e personale della Pietà. Per diversi mesi sarà da solo assieme al blocco di marmo, in uno stretto rapporto di amore e odio, desiderio e paura. Ma Jago non è solo l’artista che ripercorre le orme dei grandi maestri del Rinascimento, è anche una giovane popstar con oltre un milione di follower sui social, che seguono costantemente ogni suo progresso e sono presenti in massa alle sue mostre. Ed è un instancabile viaggiatore che si muove in ogni angolo del mondo e un imprenditore che ha sfidato le regole dell’arte contemporanea per fuoriuscire dalle logiche del mercato e provare a indicare ai ragazzi una nuova strada per approcciare e raccontare l’arte.
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Il film è curioso perché segue il personaggio protagonista ma non dall’esterno, è come se vedessimo la vita attraverso i suoi occhi e grazie al suo sguardo osservassimo la realtà, anche quella politica.
La solitudine è centrale nella vita di Jago, soprattutto quella con la pietra e l’assolutezza dell’arte. In particolare di fronte alla storia dei grandi artisti che hanno insegnato malgrado tutto, indipendentemente dalla loro volontà. Eppure per questo scultore è altrettanto importante stare in mezzo agli altri, ad esempio parlare in pubblico, salire su un palco e confrontarsi con gli altri perché, racconta nel docufilm, parlando agli altri si impara molto. Sulla scultura, in particolare, Jago ha sempre sostenuto che significhi cultura “togliere il superfluo” ma ero consapevole, si chiede, di quello che dicevo o era solo un modo per riempirmi la bocca? In tal senso il Covid è stata l’esperienza più importante della vita di Jago perché in quella circostanza, in quell’emergenza il superfluo era stato falciato e c’è stata l’occasione di riappropriarsi dell’essenza.
Forse la stessa che a ritroso ci riporta al nostro essere feto, che fu preso a calci da un gruppo di ragazzi e poi realizzato un video messo su Tiktok, e alla bellezza di quel potenziale che tutti abbiamo. La scultura lasciata per terra in piazza del Plebiscito a Napoli nasce proprio dalla considerazione dell’ipotetica responsabilità dei senza tetto, riflessione maturata durante il soggiorno a New York dove Jago è impressionato dalla presenza e dal numero di homeless. In fondo la Napoli che incontra al suo ritorno in Italia non è così diversa dalla Grande Mela che ha lasciato. Nella città partenopea trova un posto incredibile, grazie a un sacerdote, che diventa il suo atelier, una chiesa, punto di incontro e di ritrovo. Un terzo luogo è fondamentale per Jago, il deserto, quel vuoto pieno e denso che ci riporta all’origine.
Quanto all’opera d’arte, per Jago, dovrebbe essere qualcosa che resta, piena di simboli che ama, e in questo senso il museo è necessario. In questo senso l’arte diventa un punto di riferimento per la collettività. Questo è per Jago l’artista del futuro, un imprenditore di se stesso con il sogno di creare un proprio museo che incida sulla collettività locale. Interessante la sottolineatura della necessità dell’impegno quotidiano per l’artista (occorrono 15 ore di lavoro al giorno), sfatando il mito del genio maledetto e morto di fame, tanto che cita Bernini che a proposito della vita dell’artista diceva “nelle mia opere cago sangue”. In qualche modo si riporta in luce la dimensione dell’artigianato artistico, della bottega, della fatica.
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Come spiega il regista Luigi Pingitore, “a dispetto del cliché romantico dell’artista tormentato e alienato, la prima impressione che si ricava osservando Jago è quella di una persona consapevole che tutto, nella nostra esistenza, passa dall’energia. Che vita e arte non devono viaggiare separati. E che l’arte non è solo testimonianza di ciò che siamo, ma è soprattutto un esercizio di immaginazione su ciò che possiamo diventare. Sin dai primi ciak mi ha colpito il rapporto quasi agonistico che Jago ha con il marmo. Il suo è un lavoro animale, fisico, non solo spirituale. Un lavoro in cui maestria tecnica e sudore sono sullo stesso piano. È come se quella chiesa, Sant’Aspreno dei Crociferi, dedicata al primo patrono della città, nel cuore di Napoli, a due passi dal Rione Sanità, a un certo punto, fosse diventata un ring. E il marmo il suo avversario. Con lui lì da solo che, giorno dopo giorno, ripresa dopo ripresa, cerca di vincere il suo incontro. Il percorso per arrivare alla statua diventa in questo senso molto più importante dell’opera stessa. Perché quella forma, La Pietà, non avrebbe senso se prima non ci fosse stata tutta quella fatica e tutti quei sacrifici, se non avessimo visto con i nostri occhi quei momenti di esaltazione e quelle giornate di scoraggiamento. Tutta la bellezza che arriva al pubblico è simile alla luce che ci arriva solo dopo molti anni dopo l’esplosione della stella. Noi vediamo la luce ma ignoriamo quello che c’era prima. Quel prima invece è stato il centro del mio lavoro. Abbiamo cominciato a girare poche settimane dopo la fine del primo lockdown e da allora, e per tutti i 3 anni della produzione, ho portato la macchina da presa quanto più vicino, io spero, alla vera essenza dell’uomo Jago. Per provare a raccontare qualcosa che sia i suoi followers che i suoi detrattori, abituati all’immagine proiettata dai social, non avevano mai visto. E per testimoniare la verità della sua vita, una vita in continua espansione, che lo porta a viaggiare dappertutto e a essere allo stesso tempo artista, imprenditore, comunicatore e popstar”.
Aggiunge Jago: “Vorrei che lo spettatore guardasse questo film con la consapevolezza che esso racconta anche un’altra storia. C’è la mia vita e la mia opera ovviamente, ma c’è anche la magnifica avventura che ha portato un regista in quattro anni a dar vita a un’opera nella più totale indipendenza. Creando, per un puro gioco del caso, un parallelismo con la mia storia di artista, che si è formata anch’essa nella solitudine, nella distanza dal Sistema Italia e con uno sguardo forgiato nel sacrificio. Into the white è quindi un viaggio condiviso, che per me è stato una magnifica lezione di scultura. È per questo motivo che oggi sono animato da un senso di gratitudine, perché è raro in vita avere la possibilità di vedersi e conoscersi attraverso gli occhi di qualcun altro”.
Chi è Luigi Pingitore
Scrittore, sceneggiatore, regista. Finalista 2023 al Netpitch Sky per le serie tv e al Solinas 2015 con la serie The stream.
Ha scritto, diretto e montato nel 2022 il documentario Gemito, lo scultore folle per Rai Cultura. Sempre per Rai Cultura, trasmessi da Rai 5 e da Raiplay, ha scritto, diretto e montato nel 2020 il documentario Madre (sull’omonimo museo di arte contemporanea) e nel 2019 il documentario MillenniArts.
Nel 2014 ha scritto e diretto il ciclo di quattro documentari Le origini di Gomorra (prodotti da Panama film e trasmessi da Rai Storia).
Vincitore del premio Torre (2015) per il miglior documentario Le origini di Gomorra e del premio Mibac (2011) per il progetto La ferita, ha scritto e diretto numerosi cortometraggi, videoclip musicali (per Beltrami, a67, Pynchon Motel), ha realizzato i format tv L’Italia Raccontata e Le sfide impossibili, Rooms 22 (web serie finalista al Giffoni idea 2015), Apnea (short movie, 2011), Nell’ora del blu (short movie, 2008). Ha pubblicato inoltre due romanzi e due raccolte di poesie.
a cura di Ilaria Guidantoni