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Il nuovo singolo uscito per Materiali Sonori 10 febbraio 2022 su tutte le piattaforme digitali a livello internazionale di Letizia Fuochi segna un cambio di passo, un’accelerazione per i tempi con i quali è stato prodotto, un rallentamento nell’esplosione emozionale. Non solo sedimentato come tutti i suoi lavori ma ponderato pur in una passionalità profonda che si fa struggente e perde la rabbia non lo spirito battagliero.
“Avevo bisogno di liberarmi da un’inquietudine costante – confessa – e per farlo cercavo di distrarmi dal dolore riempiendo quella mancanza con troppi diversivi. Niente di futile, ma sicuramente inutile. Poi è sopraggiunta la consapevolezza. Era necessario non solo riconoscerla, ma anche abitarla e accoglierla quella stessa mancanza, per poter finalmente trovare sollievo: solo nella sofferenza si può sperimentare la fine della sofferenza.
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Ho smesso di opporre resistenza all’inevitabilità dell’essere come sono; mi sono abbandonata alle rivelazioni – piccole e grandi – degli accadimenti intorno a me, dentro di me. Non bastava più continuare a cantarla o interpretarla, dovevo sentirla nel corpo questa consapevolezza per poterla riflettere e abbracciare”.
Nasce con questi presupposti il prossimo disco di Letizia Fuochi, previsto per l’estate 2022, di cui ci regala un nuovo singolo potente e significativo, La misura maledetta dell’assenza. L’esperienza di Fuegos y Chavela, Letizia Fuochi canta Chavela Vargas (2021) aveva già segnato un cambio di passo importante nella scrittura musicale e nell’interpretazione vocale della cantautrice fiorentina: il caldo mondo latino fatto di corde e percussioni restano il cuore pulsante anche di questa nuova produzione. Al suo fianco il chitarrista di sempre Francesco Frank Cusumano – musicista di spessore, capace di spaziare con tecnica e agilità tra i generi più diversi; il contrabbassista Michele Staino – artista di grande cuore e personalità, anche nelle vesti di arrangiatore di alcuni pezzi del disco in arrivo; e infine un nome importante per esperienza, tecnica e umanità, il percussionista Ettore Bonafé.
“Una fame di vita che mangia le ossa e non permette distrazioni, una forza disperata e bellissima struggente nelle mani e consapevole nella gola, quel senso di impotenza che ci fa risplendere perché è inevitabile non poter sfuggire al proprio destino; quella felicità imposta dalla comprensione inconcepibile di non poter avere quello che amiamo, ma per cui dobbiamo per forza lottare. Un canto d’amore supremo e devoto, un’àncora e un ancora che sbaraglia e ci fa cambiare la rotta riaggiustandoci l’anima e lo sguardo. Tutto questo e molto altro significa e rappresenta questa mia canzone, forse la più sincera, sicuramente la più dolorosa, senza dubbio la più sorprendente. Per quello che ha seguito, per la mia vita, oggi”.
a cura di Ilaria Guidantoni