Tornabuoni Arte, nella sua sede di Firenze (Lungarno Benvenuto Cellini 3), presenta la mostra Pittura e poesia. Ungaretti e l’arte del vedere, visitabile fino al 12 luglio, a cura di Alexandra Zingone, critica letteraria e curatrice della mostra, che celebra la convergenza tra letteratura e arti visive, nella figura del poeta Giuseppe Ungaretti, rendendogli omaggio con una selezione di opere di artisti che conobbe, frequentò e sui quali scrisse.
Il catalogo, pubblicato da Forma Edizioni, insieme a una plaquette, realizzata appositamente, con un saggio di Alexandra Zingone dal titolo Modello e fonte di molti orizzonti. Dorazio per Ungaretti, affronta l’analisi dell’arte del “secolo breve” con uno sguardo globale, che prenda in considerazione, nelle sue molteplici manifestazioni, il dialogo costante tra i vari esponenti del mondo culturale.
Il poeta, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888 e morto a Milano nel 1970, trovò la sua prima ispirazione nella visione perché, come racconta, nato ai margini del deserto frequentò l’esperienza del miraggio che lo stimolò a cercare di vedere, interpretare l’invisibile nel visibile. Fu questo l’invito di Ungaretti ai poeti del suo tempo, decifrare il miraggio. Per questo Ungaretti non si sentiva tanto un poeta critico ma un poeta-interprete.
Dopo i primi ventiquattro anni in Egitto si trasferì in Europa, approdando a Parigi, nel 1912 dove cominciò a frequentare artisti importanti quali Braque e Picasso, all’epoca già cubisti, del quale si nutrì come egli stesso ci riferisce. Per questo la mostra è nata nella sede di Parigi di Tornabuoni Arte, nell’aprile 2023, arricchendosi, nella tappa fiorentina di due opere inedite di Piero Dorazio, dedicate a Ungaretti, acquisite da un collezionista e prestate per l’occasione e di un’altra grande tela di Dorazio che è entrata nel magazzino della Galleria, da una collezione privata milanese.
Significativamente, le due opere, rispettivamente Senza titolo, del 1968, realizzata per l’ottantesimo compleanno del poeta, e Modello e fonte per molti orizzonti del 1969, provenienti da Casa Ungaretti di piccola dimensione di Dorazio sono state sospese per essere guardate da entrambi i lati e poter così leggere sul retro della superficie dipinta la dedica di Dorazio a Ungaretti.
I due lavori testimoniano il sodalizio intellettuale e affettivo che li ha legati per tutta la vita, e che, tra il ‘66 e il ’69, dette vita al libro d’artista La Luce. Poesie 1914-1961. Con XIII litografie di Piero Dorazio, St. Gallen, Erker, 1971, dove letteratura e arte, poesia e pittura, dialogano perfettamente.
Per Ungaretti la pittura storicamente e forse concettualmente è primordiale e in tal senso è ‘pre-dizione’ ma resta un “gesto muto” dunque “la pittura aspetta la parola” e in tal senso sembrerebbe affidare alla poesia il compimento dell’espressione.
A cura della saggista e critica letteraria Alexandra Zingone, profonda conoscitrice della poesia di Ungaretti e degli artisti del suo tempo, l’esposizione traccia un panorama dell’arte italiana ed europea tra gli anni Dieci e Settanta del Novecento, attraverso le parole del poeta, presentando a fianco di materiali d’archivio, scritti, corrispondenze e poesie, una scelta di opere di Giacomo Balla, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Gino Severini, Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico, Pablo Picasso, Enrico Prampolini, Ottone Rosai, Jean Fautrier, Franco Gentilini, Giuseppe Capogrossi, Alberto Burri e Piero Dorazio, con alcuni dei quali intrattenne una corrispondenza. Accanto a ogni autore le osservazioni dedicate di Ungaretti nei suoi saggi dove crea, a parere della Zingone, una continuità tra pittura e poesia più che una convergenza o complementarietà.
D’altronde per Ungaretti le arti e la pittura in particolare sono rilevanti nella sua stessa poesia e anche quando scrive nella veste di critico letterario i suoi testi sono gremiti di citazioni artistiche.
A Parigi in particolare si nutre della vivezza della Capitale francese in quel momento in cui la città era all’apice dell’effervescenza artistica e culturale. L’incontro con le avanguardie internazionali segnò profondamente il suo itinerario esistenziale, affascinato dalle sperimentazioni e dalle tendenze artistiche. Un soggiorno cruciale, che condizionò il suo sguardo sulle arti, in particolare sulla pittura, che per lui era semplicemente una diversa espressione della poesia: “chiamo poeta qualsiasi artista”. Le frequentazioni parigine, alla vigilia della guerra, furono per lui estremamente significative così come sottolinea in Vita d’un uomo.
“Degli incontri che feci a Parigi in quel periodo”, scrive, “o nel dopoguerra furono notevoli quelli con Soffici e Palazzeschi e gli altri futuristi, con Boccioni, con Carrà, con Marinetti; quelli con Braque e Picasso, già cubisti, o con Delaunay, che si diceva pittore orfico; quelli con Péguy, con Sorel, con Bédier, con Bergson. Tutti mi facevano mille feste immeritate nell’incontrarmi, delle quali ero sempre molto sorpreso. Furono incontri con un tipo d’arte e con un tipo di moralità che hanno avuto decisiva importanza nella mia formazione generale, e, naturalmente, nella mia poesia”. Molti anni dopo, a Roma, si confrontò, invece, con artisti italiani quali Dorazio, Capogrossi e Burri. L’intensità di questi incontri, da Parigi a Roma, lo rese molto più che un semplice testimone privilegiato di un’epoca artistica senza pari, realizzando un’ideale unitarietà delle arti.
In particolare i due dipinti di Dorazio si collocano all’interno di un percorso pittorico dell’artista che dopo il superamento della struttura reticolare del periodo precedente con la fase delle «trame», cede il posto a nuove ricerche, muove verso nuove direzioni, dove il colore è il protagonista della forma e dello spazio. Come sottolinea Alexandra Zingone “C’è l’impronta dichiarata di Ungaretti nel linguaggio visivo di Dorazio”. In una Lettera a Bruna, del 1968, Ungaretti scrive di Dorazio “È il pittore più puro d’oggi. Nessuno sa scomporre in infiniti modi la luce nei suoi mille colori perché ridiventi più ai nostri occhi luce, ricomponendosi; ridiventi il miracolo maggiore cioè dell’universo”.
Il pittore invece dedicò a Ungaretti la propria gratitudine per essere stato addirittura un modello da seguire.
In mostra, del periodo parigino, la scelta cade su opere come Tasse et paquet de tabac, 1922 di Picasso, che Ungaretti frequentò da giovane e che definisce “il disegnatore più straordinario, più inesauribile di risorse che ci sia mai stato”. Ci sono lavori figurativi come Giovane seduta (1905) di Amedeo Modigliani, con il quale pranzava in una trattoria o meglio, gargotte; Luce nella luce (1928) di Giacomo Balla; Il balcone, del 1930 circa di Gino Severini.
“De Chirico l’ho conosciuto dopo la guerra, ma sono forse stato il primo italiano a conoscere direttamente le sue Piazze scoperte con stupore da Apollinaire al Salon des Indépendants, che le portò ai sette cieli”, racconta Ungaretti in un ricordo biografico e, in questa sede, troviamo Piazza d’Italia del 1955, autore che rappresenta la risposta italiana agli Impressionisti. Jean Fautrier, che ci accoglie all’ingresso in mostra insieme a Burri, uno degli amici più cari del poeta, “l’ultimo dei grandi pittori europei”, sono presenti, invece, tre opere quali Tableau à 4 côtés del 1957.
Il percorso espositivo continua con alcuni dipinti di Carlo Carrà e Ottone Rosai, nei quali si coglie quell’“intensità nel vedere” che distingue i caratteri dell’arte moderna e che Ungaretti non smetterà mai di perlustrare nelle investigazioni sulle arti figurative, in linea con la sua poetica.
A documentare il rapporto che si instaurò con alcuni artisti, a Roma, oltre che con Dorazio, ci sono alcuni esempi di Superficie, dalla metà degli Anni Cinquanta agli inizi dei Sessanta di Giuseppe Capogrossi, “il più vario, così furiosamente uguale a se stesso, il più vario pittore che vi sia al mondo”, secondo il poeta. Più o meno degli stessi anni sono, anche, un Catrame (1950) e una Combustione (1960) di Alberto Burri che Ungaretti dice di amare “perché non è solo il pittore maggiore d’oggi ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta”.
a cura di Ilaria Guidantoni