Al Castello Visconteo di Pavia fino al 26 marzo 2023 la Sala del collezionista ospita la mostra Mnemosyne. Il teatro della memoria, a cura di Paolo Linetti. L’esposizione, rara e straordinaria, ricostruisce in uno dei grandi ambienti dei musei civici una delle cosiddette Wunderkammer, le “camere delle meraviglie” che si diffusero, soprattutto in Europa, tra il XV e il XVIII secolo.
Il termine è tedesco perché in area germanica presero molto piede anche se la parola è ottocentesca, quindi molto più tarda rispetto alla nascita delle stesse. Venendo al titolo e all’idea della mostra, Mnemosyne era, per i Greci, la personificazione della funzione mnemonica, ed è a questa antica divinità che è dedicatacl’esposizione. Le wunderkammer, antenate dei moderni musei, poi scomparse con l’avvento dell’Illuminismo, erano le stanze da collezione rinascimentali in cui monarchi, principi, aristocratici, scienziati e persino artisti collezionavano gli oggetti più differenti, cercando di raccogliere in un unico ambiente tutto lo scibile umano, una sorta di museo enciclopedico. Queste collezioni, memorie appunto, erano create per fini di studio, per diletto personale e per suscitare ammirazione e prestigio, erano composte da esemplari di storia naturale, strumenti, invenzioni meccaniche, carte geografiche, rarità archeologiche, monete, cammei e quanto di più curioso si potesse trovare.
Il collezionismo è iniziato con l’uomo, come ci ha raccontato Linetti, studioso bresciano specializzato in Rinascimento bresciano e lombardo, e Ottocento giapponese ma anche curatore di mostre ed eventi culturali, esperto di iconografia sacra e profana, curatore dal 2006 al 2018 delle mostre del Museo Diocesano di Brescia e poi Direttore del Museo di Arte Orientale della città. In effetti la prima forma di collezione è stata la raccolta di conchiglie, usate sia come moneta, sia come ornamento e come tesoretto.
In Italia la prima forma di camere delle meraviglie appare a fine Quattrocento appunto con gli studioli, in particolare con i Medici che sono gli iniziatori del collezionismo moderno, tanto che in mostra è stato inserito un busto di Lorenzo il Magnifico.
Questi ambienti sono riservati, isolati dal palazzo e aperti solo ad ospiti particolari perché sono l’accesso alla vita intima intellettuale del signore del quale rispecchiano i gusti. Lo stile architettonico è legato ad alcune linee tracciate già da Vitruvio per le Biblioteche, che ad esempio dovevano essere esposte ad est per avere aria migliore e non deteriorare i libri; nonché essere dotati di divani dove riposarsi. Un’evoluzione è con gli Aldovrandi a Bologna all’inizio del Cinquecento che già intesero fornire un senso enciclopedico inserendo acquerelli di oggetti che non erano riusciti a trovare.
Molto significativo il contributo del gesuita Kircker con il quale si realizza un vero e proprio museo dedicato non solo all’esposizione quanto alla formazione per i missionari che dovevano essere introdotti a cosa avrebbero trovato in giro per il mondo e ai quali veniva chiesto di riportare qualcosa dalla missione per arricchire una sorta di atlante delle meraviglie. Questo fu un modo anche per aggirare il divieto della Chiesa che predicava la povertà e con difficoltà poteva ammettere di possedere tesori che destassero stupore.
Un escamotage fu trovato dalla stessa Chiesa con l’idea che la bellezza celebrasse la potenza divina e la creazione e ad esempio il calice d’oro utilizzato al momento della consacrazione esprimeva la perfezione del metallo incorruttibile e inalterabile, diventando una metafora del bene. Kircker addirittura aveva la sua camera accanto alla stanza delle meraviglie – dove fu introdotta una lanterna magica che mostrò per la prima volta immagini in movimento – e attraverso spioncini e tubi poteva raccontare in una sorta di audioguida naturale ante litteram con ‘voce incorporea’.
Nella storia l’idea dello scrigno è già presente nel mondo greco con la camera dei tesori, in quello romano con le biblioteche dove si trovavano i busti di filosofi e letterati; nonché alcune divinità quali Atena, Ermes, Apollo e le Muse ma non Ares, Afrodite, Dioniso o Crono; e nelle camere di raccolta nel Medioevo dove appaiono i padri della Chiesa, in particolare San Girolamo che resta un elemento nel tempo come testimonia anche la mostra di Pavia. È Lorenzo il Magnifico che esclude gli elementi religiosi dallo studiolo. Siamo ancora in una dimensione intima mentre la wunderkammer diventa un luogo di esposizione, di vetrina.
La mostra si cimenta con la sfida di un allestimento che non scimmiotti eccessivamente la storia, restituendo però quell’effetto di stupore, di apparente disordine che provochi sorpresa e apprezzamento estetico, quel gioco sottile di legami che spetta all’osservatore trovare come il corallo e la Medusa, perché il primo si dice fosse nato dal sangue della seconda. L’esposizione crea poi un dialogo attraverso l’effetto scatole cinesi (la camera, l’armadio, i cassetti), una matrioska delle preziosità e del sapere, con l’arte contemporanea che interpreta il senso della meraviglia. Il progetto ha richiesto un lavoro molto lungo e complesso di documentazione.
La mostra espone le diverse categorie di oggetti che, insieme agli inventari, erano raccolti in queste camere, rispettivamente gli Artificialia, ovvero le creazioni dell’uomo, come opere d’arte, statue, gioielli, quadri, reperti archeologici; i Naturalia, oggetti appartenenti al mondo naturale quali conchiglie, coralli, animali esotici, ma anche elementi bizzarri e mostruosità della natura; infine le Scientifica, strumenti scientifici e opere dell’ingegno umano, come raccontano alcuni oggetti che rappresentano i 5 elementi tra i quali anche l’etere contenuti ad esempio nell’opera Geometria sacra di Luca Pacioli con illustrazioni di Leonardo di cui era amico e le Exotica, manufatti provenienti dal lontano Oriente oppure dalle terre al di là delle Colonne d’Ercole. A questo proposito è interessante, ci ha fatto notare il Curatore, preziosa guida per decifrare il mondo del ‘meraviglioso’, che si tratta di un concetto cambiato nel tempo dall’Africa per i Romani; al Medioriente e la Cina; per diventare poi l’America dalla sua scoperta; rimasta una costante alla quale nell’Ottocento si aggiunse il Giappone ma non più la Cina. Inoltre i Mirabilia, quando l’effetto era particolarmente spettacolare.
Alcuni generi si incrociavano tra di loro come delle piccole tartarughe, artificialia, realizzati con un carapace autentico, naturalia e per l’effetto del movimento appartengono anche ai mirabilia.
Le camere delle meraviglie o della memoria furono soppiantate dall’Illuminismo la cui imperante razionalità e razionalismo intese spiegare, catalogare e affidare il reale alla comprensione e non più all’emozione. Così uno dei primi criteri della realizzazione del museo, figlio delle Muse, figlie a loro volta di Mnemosyne, fu quello di dividere per generi gli oggetti. Ecco che i minerali non arricchirono più le collezioni legandosi al mondo alchemico ma andarono ad arredare i musei di storia naturale.
“La mostra”, ha sottolineato ancora Paolo Linetti, “intende inscenare la storia del collezionismo e delle camere delle meraviglie. Dall’Illuminismo in poi le opere furono, appunto, classificate secondo un rigido schema enciclopedico e analitico e ripartite ognuna in un luogo di stretta pertinenza logica e scientifica. Il senso di stupore e meraviglia venne rigettato, la visione e comprensione delle opere doveva essere scevra dal suggerimento di ogni emozione ed esposta in maniera asettica. La scelta espositiva si ispira invece agli allestimenti degli studioli e delle camere delle meraviglie, le cui decorazioni e sfondi erano fondamentali, avevano il ruolo di quinta scenica dove le opere erano ambientate e messe in dialogo l’un l’altra come attori su un palco. Per questo questi luoghi di collezionismo potevano essere chiamati Teatri della memoria. Da qui l’idea di chiamare le tre sezioni della mostra Atti e le sottosezioni ‘scene’ come in uno spettacolo teatrale. I gruppi espositivi mirano a restituire quel senso onirico e della meraviglia”.
La mostra
Interessante soffermarsi su alcuni oggetti ‘feticci’ che erano considerati indispensabili nelle Wunderkammer come il coccodrillo probabilmente perché ai tempi di Attilio Regolo si dice fosse stato riportato dall’Africa un rettile enorme la cui pelle fu esposta a Roma per secoli. In realtà il testo in greco non si sa se indichi il coccodrillo o il serpente ma il primo è entrato di diritto in queste collezioni. Così le conchiglie, che rappresentano la vita silente; l’uovo di struzzo che rappresenta la vita e anche il lato esotico; o anche il pavone, uno degli oggetti più fotografati in mostra, perché indica la meraviglia del mostrarsi che però può anche nascondersi diventando un animale non particolarmente attraente come gli studioli chiusi.
Tra i dipinti esposti, il San Girolamo, attribuito al pittore emiliano Giacomo Cavedoni, seguace di Guido Reni, dove il santo è raffigurato all’imbocco di una grotta, intento a leggere la Bibbia e circondato da poderosi volumi: compaiono gli attributi tradizionali del teschio, invito alla meditazione, e il sasso, con cui Girolamo soleva percuotersi il petto. Di particolare interesse è il dente di narvalo, una reliquia esclusiva che, fino al Medioevo, si riteneva appartenere a un unicorno, ma che anche in seguito mantenne straordinaria importanza per il valore magico, alchemico e medicinale che gli si attribuiva. Ancora, la mostra espone alcuni dei cosiddetti memento mori, teschi veri o dipinti atti a ricordare la fragilità della vita umana, che servivano come monito per i ricchi collezionisti a non farsi rapire dal fasto e dalla bellezza.
La stessa funzione aveva il soggetto della vanitas, dipinti raffiguranti nature morte con elementi simbolici allusivi al tema della caducità della vita. Mnemosyne. Il teatro della memoria ne propone una selezione, realizzate da Gian Carozzi (1920-2008), esponente del movimento spazialista, e dal collettivo R.E.M.I.D.A., le cui preziose opere ripropongono in chiave contemporanea lo splendore e la simbologia della vanitas settecentesca. Della designer Valentina Giovando sono invece esposti alcuni mobili e lampadari, straordinari esempi di artificialia moderni per la maniacale perizia nella cura dei dettagli e per lo stupore d’insieme che suscitano.
La mostra offre inoltre l’occasione per poter ammirare opere d’arte mai esposte prima, provenienti dai depositi dei Musei Civici di Pavia, rare piante dell’orto botanico cittadino e opere di tassidermia del Museo Kosmos, il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia, come l’impressionante coccodrillo impagliato, oltre alle opere africane gentilmente concesse dalla Fondazione Frate Sole. Significativi anche i prestiti dal Museo della Scienza di Milano e dal Museo d’arte orientale Mazzocchi di Coccaglio, tra cui dei vasi in bronzo e un magnifico soprammobile in avorio, in cui sono incastonati dei carapace di tartaruga intagliati con corpi mobili.
Arricchiscono l’esposizione beni provenienti da collezioni private: armature giapponesi del XIX secolo, coloratissimi kimono, una straordinaria pipa da oppio ottomana, a forma di drago, risalente al XVIII o XIX secolo, e uno splendido pavone imbalsamato.
Alcune opere di Elena Carozzi, carte da parati e tappezzerie di lusso dipinte a mano, decorano le pareti della wunderkammer del Castello Visconteo e, proprio come accadeva nelle “camere delle meraviglie”, hanno il ruolo fondamentale di ambientare le opere esposte, mettendole in dialogo tra loro come attori su un palco. Visitando l’esposizione, si ha infatti l’impressione di assistere ad una messa in scena teatrale in due atti, ambientata prima in uno studiolo, fenomeno tipicamente italiano predecessore delle wunderkammer, poi in una “camera delle meraviglie” vera e propria.
Attraverso le varie raccolte, analizzate e spiegate una per una, la mostra ripercorre l’intera storia del collezionismo, attività universale e naturale dell’uomo che affonda le sue radici in tempi antichissimi, dalla preistoria all’epoca contemporanea.
L’occasione della mostra è anche un modo per scoprire o riscoprire il Castello dove è stato inaugurato recentemente il nuovo allestimento di una prima sala della Pinacoteca di grande impatto con opere di Vincenzo Foppa, del Bergognone, di Bernardo Zenale.
a cura Ilaria Guidantoni