Alla Galleria il Ponte di Firenze una mostra singolare su Giulia Napoleone, un ritorno a dire il vero, a cura di Bruno Corà che ha parlato di meditazione ininterrotta dei segni.
Il Ponte inaugura il nuovo anno con un’artista, alla quale la galleria aveva già organizzato nel passato due mostre, nel 1996 e nel 2002: nella prima vennero presentati acquarelli e pastelli; nella seconda dipinti ad olio su tela e alcune chine su carta. La mostra Nero di china – dal 18 gennaio al 20 marzo – è interamente dedicata a un nucleo di recenti opere in bianco e nero, realizzate interamente con l’inchiostro di china, un lavoro certosino, così ‘infinitesimale, da sembrare surreale, un vero esercizio di stile, non accademico, ma di vita. Una disciplina che scandisce le giornate di Giulia Napoleone.
Il volume che la correda, oltre a presentare le quindici opere esposte, ripercorre il lavoro dell’artista fin dalle sue prime piccole chine della metà degli anni Cinquanta. Attraverso le immagini e il testo di Bruno Corà, ci si immerge nella dimensione peculiare di un mondo in bianco e nero, che si concretizza nelle opere di quest’artista attraverso l’uso dell’inchiostro di china, portato fino al suo limite estremo.
Alla precisione del tratto, alla quasi esasperazione di un lavoro portato all’estremo e allo stremo per certi aspetti ‘freddo’, fa da contraltare il calore della disciplina quasi commovente di una grande artigianalità che resta dietro le quinte e un’inarrestabile voglia di sperimentazione
Come scrive nel testo in catalogo per la mostra curata da Giuseppe Appella alla GNAM di Roma nel 2018, Stefania Zuliani: “Un segno dopo l’altro, con precisione paziente e necessaria, da oltre mezzo secolo Giulia Napoleone cerca l’ordine luminoso della forma. Una forma che è viva e perciò imperfetta, come vivo e imperfetto è il pensiero di chi non teme l’errore e quindi rifugge l’ovvio e il già noto. Ciò che l’artista sperimenta nella quiete silenziosa del suo studio, da qualche anno nascosto tra le colline e i campi di lavanda della Tuscia, è la ricerca ostinata di un equilibrio che nulla concede alla facilità della rappresentazione e che dell’astrazione conosce le regole, ma privilegia le eccezioni, creando immagini nitide, nette di luce e di ombra, immagini assidue che sono l’esito preciso di una tecnica e una materia scelte ed esercitate di volta in volta con perizia e rispetto. Fuori da ogni rigido vincolo progettuale, Giulia Napoleone si muove fra le sue carte.”
In mostra sono presentati gli ultimi suoi due libri d’artista, rispettivamente, di Yves Peyré, Les Rehauts du Songe (da cui sono tratti i titoli delle opere esposte) e di Luigia Sorrentino, Olympia, pubblicati da Edizioni Al Manar, Parigi, nel 2017 e 2019, corredati da chine e pastelli originali dell’artista.
Al centro delle opere di Giulia Napoleone con il nero e il bianco, il pieno e il vuoto la luce e l’ombra, il giorno e la notte, due fenomeni che non conoscono soluzione di continuità, come fa notare Bruno Corà.
Quanto allo studio della luce in numerose opere di Napoleone si può far riferimento all’acquaforte, acquatinta Ricerca di luce, 1972, alla xilografia Senza titolo, 1976, nelle maniere nere a Orizzonti, 1977, al Mutare dell’ora, 1982-83 (acquerello), in Luci a Numana, 1983, agli inchiostri Oscurarsi, 1984, e ancora alla Notte a Numana, 1985, e in Sentieri di luce, 1991. Diverso ma altrettanto assiduo in versioni ricorrenti è lo studio dell’ombra che consegna esiti dello sviluppo spaziale originale. Si va dalle Ombre della sera, 1978, Ombra del mattino, 1978, e Ombra del mare, 1978, tutti inchiostri su carta astratti, ad inchiostri come Studio per Kitawa, 1978 dove l’ombra è deliberatamente ancillare al dato naturale e figurale. Ma dell’ombra Napoleone offre anche altre apparizioni: nella matita Solo se ombra, 1983 o nell’inchiostro L’ombra, 1987 fortemente differito nei segni e nelle forme, o nell’inchiostro su carta Ombre a Villa Doria Pamphili, 1985 sensibilmente diverso dall’omologo Ombre, 1989, in maniera nera. Entrambi tuttavia mettono in risalto adombrati orli di vegetazione che sembrano echeggiare i ‘frattali’ costieri studiati da Benoît Mandelbrot per le sue inedite geometrie. Estremamente lirico Luce ed ombra, 1991 con l’inchiostro dà corpo ulteriormente alla più antica delle antinomie, mentre le maniere nere di Specchi d’ombra, 1992 hanno la sensibilità di riportare alla ribalta insieme con Acqua VI, 1992 e la puntasecca Sera, 1996, l’ossessivo tema della mutevolezza simultanea dei dati naturali luce, ombra, acqua, nubi, vento, cielo che già impegnarono per un ventennio la tenace pittura di Monet nelle Ninfee osservate nel suo giardino a Giverny.
Il lavoro di Giulia Napoleone ci chiama a constatare come l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si manifestano in una ambigua equazione che parla dei principi della materia come delle leggi cosmiche, provocando il pensiero a una sintetica presa di coscienza di un quadro coerente delle proprietà dello spazio-tempo: il sistema segnico da lei messo in atto non appartiene al dominio della scienza ma a quello dell’arte, eppure esso invita a capire che l’universo è costituito di particelle elementari, che in esso si oppongono delle forze, che il vuoto è pieno di fluttuazioni di forme ed energie.
Le immagini di Napoleone alludono spesso alla composizione della materia, oltre la voglia di descrivere la natura.
Le più recenti creazioni, in mostra, si articolano in tre gruppi di opere elaborate ad inchiostro di china di diverso formato e supporto. Si tratta di chine su carta pregiata distinte dalle misure (sette di esse di cm 103×103, quattro di cm 103×153) e di tavole preparate (una decina di cm 50×50). Le chine su carta Vaste rumeur e Au borde du vîde evidenziano rispettivamente l’estendersi sia degli inanellamenti sonoro-visivi dei tracciati alla stregua degli effetti prodotti da gocce di pioggia in uno stagno, sia la geografia di orli e arcipelaghi di luce ed ombra in cui la complementarietà delle due entità è assoluta, rileva Bruno Corà. In Me plain d’ombre come in L’istant qui oscille la maglia fitta dei segni sembra estendersi come una rete e nuovamente si attua quel miraggio-miracolo in cui è quasi indistinguibile la prevalenza del dominio della luce sull’ombra o viceversa. Au dessu du vîde esibisce la sua regale geometria di triangoli equilateri concentrici come in una matrioska. I tracciati puntiformi che compiuti a mano libera derogano dalla perfezione in realtà esaltano il dato della manualità che rivela il valore temporale e spaziale necessario alla realizzazione dell’opera. La valenza geometrica è protagonista anche delle chine Stabilité du silence e Etoile qui s’ensuite, circonferenza e cuneo come zone di sensibilità segnica parziale ma definita e zone determinate in una latitudine indeterminabile. Le chine sui fogli di carta più grandi lasciano differentemente percepire la qualità estensiva delle processioni di segni che in Ou courent les signes si rivelano orizzontalm ente aperti in ogni direzione, come faglie sismiche enunciate anche nel Le tremblement du corps entier dove una circonferenza e la sua metà rendono emblematica, rispetto a La lampe et c’est le noir, la differenza tra una divisione fisica ed una cromatica ottenuta per diversa intensità di segno. Totalmente soggetta ad una forza idealmente disgregatrice è infine Un geometrie qui tremble. Sulle tavole preparate e disegnate ugualmente a china, se si esclude il linearismo puntiforme dominante La trace, disegno ramificato come meandri fluviali, la maggior parte dei motivi celebra le numerose facoltà geometrico-iconografiche di rappresentazione del quadrato nel quadrato, come Clarté I, o della circonferenza nella forma quadrata del supporto come Le noir e sto arrivando, Chute des atomes, Tout est nuit, L clarté II, Au milieu, e infine il poligono dai venti lati L’espace, 2018 in sublime metamorfosi verso una circolarità quasi raggiunta.
Chi è Giulia Napoleone
Giulia Napoleone nasce nel 1936 a Pescara. Vive e lavora in un piccolo paese della Tuscia Viterbese, alternando frequenti permanenze in Svizzera. Dopo il diploma magistrale nel 1954 si avvicina alla pratica del disegno con lo scultore Ferdinando Gammelli. Nei primi anni Cinquanta, all’interesse per la pittura si affiancano quello per la musica, che coltiva con lo studio del violino, e per la fotografia. Nel 1957 si trasferisce a Roma, dove vivrà per lungo tempo, e si diploma presso il I Liceo Artistico. Nello stesso anno si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma e inizia a sperimentare le tecniche incisorie, Nella Capitale frequenta l’ ambiente vivace artistico-letterario (Ennio Flaiano, Carlo Levi, Carlo Mazzacurati) spostandosi frequentemente per viaggi all’estero: Australia, Nord Africa, Sud della Francia, Olanda e Paesi Scandinavi. Nel 1963 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Numero di Firenze: una selezione di disegni in cui prendono corpo le inedite stimolazioni visive volte all’approfondimento dei temi più cari alla sua ricerca, il segno e la luce. Tema centrale di questi anni è la “ricerca di luce” che non si riduce a puro effetto geometrico, alla ripetizione di forme invariate e costanti, ma alla ricerca di un divenire naturale. Dal 1965 frequenta la Sala Studio della Calcografia Nazionale di Roma, aperta agli artisti dall’allora direttore Maurizio Calvesi. Nel 1967 il governo olandese le concede una borsa di studio che le offre la possibilità di specializzarsi nell’incisione presso il Rijkmuseum di Amsterdam. La carta si rivela il supporto preferito dall’artista sul quale interviene con l’inchiostro, l’acquarello, il pastello. Nei primi anni Settanta torna in Olanda, viaggia in Inghilterra e sperimenta l’utilizzo del sicoglass, una plastica durevole e trasparente. Parallelamente insegna all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Dopo le mostre personali alla Galleria dell’Obelisco a Roma (1973) e alla Galleria Menghelli a Firenze (1974) in cui espone lavori in sicoglass, disegni e incisioni, ritorna a studiare alla Calcografia: l’artista, che originariamente aveva inciso all’acquaforte e all’acquatinta, inizia a lavorare con il bulino e il punzone. Nel 1976 compie un viaggio negli Stati Uniti e in Canada per l’inaugurazione di una mostra personale a Toronto; al suo rientro in Italia, dà vita al ciclo di disegni a pastello dal titolo Labirinto della Memoria. Partecipa a intensi scambi tra artisti, poeti e letterati, instaurando una relazione col mondo della poesia antica e contemporanea. Da Lucrezio a Mallarmé, da Baudelaire a Sbarbaro, si susseguono cartelle e libri d’arte: «percorsi di emozioni che talvolta assomigliano a una stenografia lineare, alle soglie della scrittura». Nel 1980 realizza un ciclo di acquarelli in cui il colore azzurro rappresenta il filo conduttore. Durante gli anni Ottanta nascono lavori che approfondiscono la sua indagine sulla luce e sul colore che verranno esposti a Roma alla Galleria Il Segno (1980) e alla Galleria Il Millennio (1983). Nel 1983, inoltre, presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano si svolge un’importante rassegna antologica dell’opera grafica dell’artista.
Nel 1986 partecipa con tre grandi acquarelli all’XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (dove sarà invitata anche nel 1999). Nel 1992 lavora a un ciclo di acquarelli legati al tema dell’acqua. Nei disegni successivi torna al tema della luce, non più solare o fisica, ma intesa quale pura energia che si espande in direzioni molteplici. Da qui muove la decisione del bianco e nero, concepito come luce-colore, usato con minimi mezzi e con la massima intensità. Negli anni Novanta continua a realizzare ed esporre incisioni, disegni a pastello, a china, a matite colorate.
Nel 2001, a seguito di una donazione dell’artista, viene costituito il Fondo Giulia Napoleone al Museo Villa del Cedri di Bellinzona. Seguirà nel 2010 una donazione di incisioni e disegni a inchiostro di china al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze: lavori che documentano le diverse fasi di sviluppo del suo operare fra il 1963 e il 2003, di cui viene presentata in mostra una selezione. Nel 2018, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ricompone il percorso artistico di Giulia Napoleone con una mostra antologica a cura di Giuseppe Appella. Centoquattro le opere (dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, datati 1956-2018) selezionate per evidenziare la nascita e gli sviluppi di un preciso linguaggio formale: dei paesaggi interiori, dei paesaggi “di puntini”, come li definisce lei stessa, di quella ricerca sulla complessità semantica che domina la scena intellettuale e artistica degli anni Sessanta, in cui l’artista opera con la sua personalissima lettura del reale mediata dalla poesia.
Durante la sua carriera riceve numerosi riconoscimenti e dal 2007 è Accademico Nazionale di San Luca.
a cura di Ilaria Guidantoni