Dal 30 NOVEMBRE 2017 – al 6 GENNAIO 2018
Dialoghi intrecciati: arte contemporanea dall’Africa e dall’Asia del Sud. A
cura di Awam Amkpa
Mostra 30 novembre – 6 gennaio 2018
Anteprima stampa e ricezione VIP: giovedì 30 novembre, 18:00 – 20:00
35 Great Jones St, New York NY 10012
Artisti:
Peju Alatise (1975, Nigeria); Rina Banerjee (1963, India); Omar Victor Diop (nato nel 1980, Senegal); Hassan Hajjaj (nato nel 1961, Marocco); Aisha Khalid (nato nel 1972, Pakistan); Naiza Khan (b 1968, Pakistan); Rachid Koraïchi (1947, Algeria); Anil Revri (1956, India); Mithu Sen (nato nel 1971, India); Rikki Wemega-Kwawu (nato nel 1959, Ghana);
Aicon Gallery è lieta di presentare Interwoven Dialogues: Contemporary Art dall’Africa e dall’Asia meridionale, un’ambiziosa mostra collettiva che allarga i confini dei media tradizionali nell’arte, con una serie di artisti provenienti dall’Asia meridionale e dall’Africa. La mostra è basata su due concetti: (1) un’esplorazione della qualità tattile del tessuto e di altro materiale correlato e di come influisce sulla creazione di immagini e, (2) gli elementi di design che infondono l’arte africana e dell’Asia meridionale a loro volta informati da un’ampia e innovativa tradizione di creazione di modelli. I tessuti, in quanto manifestazione fisica di un tessuto sociale, sono una forma fondamentale di espressione, come dimostrano le opere di questi artisti. Alcuni degli artisti qui inclusi sono ispirati direttamente dalle tradizioni africane di creazione di modelli. È il tessuto Yoruba, un tessuto molto resistente, tradizionalmente fabbricato da donne yoruba in Nigeria che ispira il lavoro di Peju Alatise (qui sopra una sua opera). L’approccio interdisciplinare di Alatise si traduce in pezzi pensati che hanno raggiunto un pubblico globale al di fuori della sua nativa Nigeria. Le realtà della vita nella Nigeria contemporanea giustapposte all’interno dei regni del mito Yoruba sono i fili di collegamento all’interno della sua opera. L’artista ghanese Rikki Wemega-Kwawu adotta una strategia simile nella sua invocazione all’iconografia religiosa tradizionale africana. Attraverso la sua astrazione di questi simboli, Wemega-Kwawu tenta di fornire “una sorta di esperienza sciamanica visiva per lo spettatore (contemporaneo)”. Queste opere condividono una parentela con le opere dell’artista algerina Rachid Koraïchi. Il lavoro di Koraïchi è influenzato dal sufismo. Attingendo alla semiotica araba e alla calligrafia come mezzo di trascendenza interpretativa, il lavoro di Koraïchi utilizza lettere e segnaletica per evocare immagini figurative e enumerare messaggi universali a un pubblico globale. Il critico d’arte del New York Holland Cotter ha detto: “L’armonia nella molteplicità è il messaggio”. Il lavoro di Anil Revri è ugualmente informato dalla sua stessa spiritualità, dalle convinzioni sufi che circondano la coscienza e dal disegno del modello arabesco. Concentrandosi sull’esplorazione di vuoti infiniti, Revri porta un ordine calcolato al suo apparentemente caotico mindscapes – una testimonianza della sua concentrazione tematica e della soggettività articolata. Quattro artisti si impegnano con la politica dell’identità nel loro lavoro usando il tessile come un prisma. La pratica del fotografo britannico-marocchino Hassan Hajjaj dalla fine degli anni ’80 presenta ritratti colorati e coinvolgenti che combinano il vocabolario visivo della fotografia di moda contemporanea e della pop art, così come la tradizione della fotografia in studio. Il risultato è un commento intelligente sulle influenze della tradizione nelle interpretazioni del marchio di alta e bassa e gli effetti del capitalismo globale. La pratica di Omar Victor Diop come fotografo presenta una narrativa altrettanto avvincente. In una serie intitolata “Le Studio des Vanités“, Diop documenta i suoi coetanei – una generazione di giovani creativi a Dakar, in Senegal. Attraverso l’uso della ritrattistica, il suo lavoro cerca di bilanciare anni di esotizzazione e ghettizzazione simultanea delle città africane. Attingendo dalla sua esperienza di donna pakistana cresciuta in una famiglia conservatrice, Aisha Khalid affronta le idee del femminismo, della domesticità e della politica contemporanea avvalendosi della tradizione pittorica in miniatura e del design tradizionale del modello islamico. Khalid critica e rende omaggio allo stile storico e alle realtà contemporanee dei musulmani di tutti i giorni in un mondo globalizzato e al tempo stesso insulare. Gli indumenti di metallo che Naiza Khan fa eco richiamano queste preoccupazioni. Delicato o forte, armatura o gabbia, Khan invita il pubblico a decidere. Ciò che ne risulta è un’indagine sulla natura della politica del corpo personale e sociale, così come viene vissuta e sentita nel contesto culturale dell’artista. È un onore presentare il lavoro di questo illustre gruppo di artisti. Molti dei quali sono stati visti di recente nei principali forum come la Biennale di Venezia 2017 (Pei Alatise e Rina Banerjee), il Victoria & Albert Museum Jameel Prize 2013 (Rachid Koraichi), l’Aga Khan Museum, la mostra di Toronto 2016 (Aisha Khalid), gli assoli di Broad Museum , 2013 e 2014 (Naiza Khan e Mithu Sen) e Somerset House, London solo 2017 (Hassan Hajjaj). Qui sotto un’opera di Rina Banerjee.