Un sogno o un incubo, comunque un’atmosfera nella quale lo spettatore si immerge e non semplicemente guarda, questa la filosofia del contemporaneo di Eduardo Secci, fondatore e titolare dell’omonima galleria fiorentina. Un’ottica che cambia anche lo spazio scenico della galleria. Questo giovane ha portato il contemporaneo nell’arte a Firenze e oggi è pronto ad un altro viaggio italiano, sul modello anglosassone, con molto entusiasmo, mettendosi totalmente in gioco nella programmazione dello spazio che gestisce a Palazzo Corsini, nel cuore della città medicea. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’inaugurazione della personale di Paolo Grassino, curata da Lóránd Hegui, per farci raccontare la sua storia e la sua filosofia che, al di là delle scelte artistiche, ha portato un vento nuovo nell’allestimento delle mostre e nel rapporto con il pubblico e il cliente. Già con uno sguardo internazionale, avendo frequentato la scuola americana, iscritto poi ad Economia aziendale all’Università – che ha deciso di riprendere e completare da poco – si è fatto assorbire gradualmente dall’attività di gallerista. In mezzo all’arte d’altronde ci è cresciuto visto che il padre era un collezionista importante, già di arte contemporanea, e negli Anni ’70 ha avuto una galleria importante per passione, supportando anche economicamente gli artisti locali, sebbene l’attività principale fosse quella di imprenditore nel settore delle costruzioni. Una volta cresciuto Eduardo decide con il padre di aprire la Galleria Sangallo Art Station dove ha fatto un po’ di scuola con l’allora direttore artistic Martina Corgnati, storica dell’arte, saggista e critico d’arte italiano, figlia della cantante Milva e del regista e produttore discografico Maurizio Corgnati di cui era amico il padre. Dopo un apprendistato d’eccezione diventa direttore dello spazio che presto però gli sta stretto ed è proprio in una divergenza con il padre che trova la via. “Volevo acquistare un’opera di Mario Schifano, ci ha raccontato, ma mio padre – che già possedeva delle opere dell’artista non voleva – e io ho investito tutto quello che avevo, senza poterlo pagare subito ma poi l’ho rivenduto bene e con quello che ho raccolto ho deciso di intraprendere una mia attività”. Nasce così nel 2012 la Eduardo Secci Contemporary, con sede nel palazzo noto per essere tra l’altro la sede della Biennale dell’Antiquariato, con uno spazio interno in stile loft che ben si presta all’arte che il gallerista ha deciso di ospitare. Ed è il caso della mostra in corso dell’artista torinese Paolo Grassino, classe 1967, affermato e in partenza per Pechino dove lavora con musei privati, e delle sue tre installazioni, una per sala, di grandi dimensioni. Soffermandosi sulla terza, creata apposta per la galleria Secci, dopo che singole parti della composizione erano già state esposte, crea una sorta di costruzione pericolante di sedie senza fondo sulle quali non ci si può riposare e cani che cercano di presidiare il territorio con una resilienza che non è aggressività, dopo una combustione. L’opera è forte ma senza effetti disturbanti, anzi viene voglia di accarezzarla anche per la consistenza spugnosa: è interamente realizzata con il materiali dei tappetini da bagno, nero che assorbe il danno causato dall’uomo al mondo. Un artista che ben si sposa con l’idea di Eduardo che ha voluto portare novità in una città solo di recente aperta al contemporaneo. “Ho seguito una visione molto concettuale e minimalista, che risponde alle mie preferenze artistiche, cercando di dare esclusività anche nell’organizzazione degli eventi. Priorità ad artisti giovani, per lo più non noti al grande pubblico anche se importanti e magari con una carriera già avviata all’estero, evitando il format della galleria tradizionale con spazi riempiti da opere da guardare”. Eduardo sceglie un packaging ad hoc perché il mercato dimostra che la confezione è talora più importante del prodotto stesso. Nell’arte il discorso è più limitato ma l’allestimento diventa essenziale “per far vivere un sogno”, appunto. Nessuna esterofilia però, considerato che la Galleria si divide equamente tra artisti nazionali e stranieri cercando di orientare il collezionista italiano – quasi assente quello fiorentino di arte contemporanea – al godimento dell’arte prima che all’obiettivo dell’investimento dato che il valore dell’arte contemporanea è molto aleatorio. A breve c’è comunque l’idea di una nuova apertura italiana in una città di maggior respiro internazionale ma di più non dice e un programma fitto di una decina di mostre tra interne ed esterne, a cominciare da Giuseppe Stampone (artista visuale che vive e opera tra Roma e Buxelles, classe 1974), dal 19 ottobre al 23 dicembre prossimi, oltre una collettiva di artisti internazionali che aprirà il 2019 tra i quali il messicano Héctor Zamora, l’argentino Santiago Taccetti che vive e lavora a Berlino e l’inglese Hugh Scott-Douglas di esperienza multidisciplinare. Il mercato statunitense che, secondo Eduardo a differenza dell’Europa è senza barriere culturali anche se premia soprattutto chi vive sul territorio, sebbene di origini lontane, resta il cliente principale, insieme al Messico.
Ultima novità per la galleria Secci l’apertura al mercato asiatico con curatori noti e artisti mai trattati finora.
A cura di Giada Luni.