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Pessoa-Since I’ve been me va in scena in prima mondiale al Teatro della Pergola di Firenze fino al 12 maggio, per celebrare i cinquant’anni dalla Rivoluzione dei Garofani, ispirandosi al poeta che del Portogallo è considerato il simbolo, Fernando Pessoa.
Dalla collaborazione tra due grandi istituzioni teatrali è nata l’idea di uno spettacolo dalla forte visione europea, quella tra il Teatro della Pergola di Firenze e il Théâtre de la Ville di Parigi, che data ormai dal 2018, e quello tra i loro direttori, Marco Giorgetti ed Emmanuel Demarcy-Mota, con la commissione rivolta a Robert Wilson, artista leggendario della scena internazionale, per una coproduzione internazionale.
Il grande regista, che ha trascorso la giovinezza in Texas dove non c’erano né teatri né arte, e che mai avrebbe pensato di dedicarsi alla scena prima di venire in Europa, ha accolto con entusiasmo l’idea e la Pergola ha già ospitato a gennaio la prima fase delle prove dello spettacolo. La frase Since I’ve been me si ispira a un frammento de Il libro dell’inquietudine e fa parte del titolo e viene quindi mantenuta in inglese, ma per dare un senso della traduzione possiamo dire che si avvicina a “Da quando sono io”.
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Lo spettacolo su testi di Pessoa, con regia, scene e luci di Robert Wilson, la drammaturgia di Darryl Pinckney, i costumi di Jacques Reynaud, la co-regia di Charles Chemin, è portato in scena dal portoghese Maria de Medeiros; da Aline Belibi, francese di radici africane; dal volto conosciutissimo di cinema e teatro brasiliano Rodrigo Ferreira; da Klaus Martini, italo-albanese; da Sofia Menci, italiana (e proveniente dalla Scuola “Orazio Costa” della Pergola); Gianfranco Poddighe, anch’egli di lunga residenza francese; dalla franco-brasiliana Janaína Suaudeau, che danno vita a Pessoa-Since I’ve been me in italiano, portoghese, francese, inglese con sovratitoli in italiano, proprio per abbracciare idealmente un mondo senza frontiere. Commissionato e prodotto, appunto, da Teatro della Pergola di Firenze e Théâtre de la Ville di Parigi nel segno del progetto comune “L’Attrice e l’Attore Europei”, è coprodotto da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Bolzano, São Luiz Teatro Municipal de Lisboa, Festival d’Automne à Paris in collaborazione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg.
Il 2024 è l’anno del Portogallo, che festeggia mezzo secolo dalla Rivoluzione dei Garofani che riportò la democrazia nel Paese dopo anni di dittatura, e mettere in scena Pessoa è quasi naturale: l’enigmatico poeta dai molti eteronimi, l’espressione è dello stesso poeta, sfuggente sagoma di quella magica temperie culturale che fu il periodo tra le due guerre.
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Una celebrazione non politica, una rivoluzione della testa, un augurio quello di perdere la testa, di perdersi nello spettacolo, è quanto auspicato dal regista che è partito da un’immagine per costruire la scena: una barca, il senso del viaggio, che è anche il rischio di andare oltre, di affrontare l’ignoto, fil rouge di un’immobilità che è movimento. È ancora il regista che si racconta e che nel minimalismo dei gesti celebra la vita e la sua libertà, perché finché si vive non c’è mai quiete assoluta, non fosse altro che per il respiro.
Il suo teatro agli antipodi del teatro di parola, alle origini dello stesso “dramma” greco in realtà è una sublimazione della stessa, una comunicazione oltre le lingue che accoglie la diversità, che coglie la radice meno frequentata del logos, non tanto come dire, come pensiero verbalizzato quanto come “raccogliere” quindi ascolto. In tal senso la diversità delle lingue non solo non è rappresenta una barriera quanto un modo per aprirsi a un dialogo più profondo.
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La cifra dello spettacolo è l’incantamento inquieto, un po’ amaro ma bellissimo, dominato dal sentimento della malinconia, anzi della saudade, molto cinematografico e pieno di citazioni che non sono copiature quanto pennellate di un percorso di studio.
L’inizio e la chiusura sono un teatro nel teatro, amplificato dagli applausi registrati, dagli attori che si muovono come manichini su una scena ipercostruita dove tutto è esattamente dove deve stare, in bilico nell’istante sul quale si concentra la meditazione del tempo che è misura dell’esistere ma non misurabile.
La firma del regista sono le luci, l’aspetto più sorprendente che diventa la metafora della visione, della scoperta della vita, del vedere non solo dei sensi con quel quadro espositivo tinto di rosso e i soli, al plurale, in un’esistenza frammentata, che sorgono e muoiono nel mare. Le luci della ribalta appiattiscono le figure fino a farle diventare bidimensionali, attori agiti dalla vita, frammenti di un tutto, dove la regia muove come fili i suoi burattini. Bravissimi perché è più difficile uscire da sé per farsi tessera di un mosaico che imporsi come protagonisti. Il trucco e i costumi esaltano l’effetto maschera con un Pessoa-Charlot che passeggia e diventa narratore annodando il filo della matassa per ricomporre il non senso dell’esistere, quello che non può essere spiegato, che alla fine dello spettacolo dichiara che avrebbe voluto parlare dei suoi viaggi, alias, delle sue peregrinazioni nell’essere di quell’uomo che come si dice quasi come un mantra all’inizio, non è che un insetto che sente la luce calda al di là della finestra, che non può vedere, forse accecato dalla stessa, e non sa dove andare.
L’inizio e la fine sono appunto il teatro, la rappresentazione che non vuole spiegare: una sorta di cabaret esistenziale e un musical americano, il cui luccichio conserva una nota dolente.
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In mezzo citazioni che si rincorrono, refrain, frammenti dei testi del poeta come gli spunti da Lettere alla fidanzata e il senso triste del ridicolo dei sentimenti; meditazioni filosofiche irrituali, come il senso del sacro, al di là di un dio perché come afferma Pessoa, “non credo in Dio perché non lo vedo e se Dio volesse che io credessi in lui verrebbe alla mia porta a bussare” e invece il poeta vede gli alberi, i fiori e i monti che in qualche modo sono Dio che però sono molti e diversi. Gli spunti son tantissimi e varrebbe la pena più che rivedere lo spettacolo rileggerlo perché nell’accelerazione, probabilmente voluta, di una lettura in cui i pensieri la superano non si ha il tempo di cogliere le molte sfumature.
Tra l’altro i suoni sono ingombranti, rumori, applausi, stridori, pioggia, tuoni, una colonna sonora che si modula su ogni gesto, appena invasivi di tanto in tanto, schiacciando un po’ le voci.
“L’idea che sia una produzione internazionale, che ci siano attori di Paesi differenti, con background culturali differenti, e che sia uno spettacolo in varie lingue”, afferma Robert Wilson, “mi sembra giusta per Pessoa, un uomo fatto di tante diverse persone, era un portoghese cresciuto in Sudafrica. Come tutti noi”, aggiunge il regista, “era pieno di molti personaggi. Quindi, una maniera di approcciare questo lavoro è cercare di capire come trattare questo prisma di personalità. Nella mia testa c’è proprio un prisma con tutte le diverse personalità, i diversi aspetti di Pessoa”.
Proprio la collaborazione a più mani dona allo spettacolo una visione europea, partendo dal progetto “L’Attrice e l’Attore Europei”, volto alla costruzione di una figura di performer capace di superare confini e barriere linguistiche e di inserirsi in cast multinazionali. Il percorso è iniziato nel febbraio 2023 e ampiamente sperimentato con l’inserimento di attori italiani e africani nel cast dell’iconico Ionesco Suite da Ionesco, diretto da Demarcy-Mota, rappresentato tra Firenze, Sibiu, Parigi e il Camerun. Inoltre, lo spettacolo si nutre anche del lavoro sulla poesia che le due istituzioni hanno portato avanti grazie anche al percorso delle Consultazioni poetiche.
“Quando comincio a lavorare, la prima cosa che faccio”, racconta Wilson, “è illuminare lo spazio. Comincio con la luce. Ho studiato architettura e il mio primo giorno il professore disse: ‘Studenti, cominciate con la luce!’. È stata come una martellata nella mia testa. ‘Cominciate con la luce’. Una volta creato lo spazio, comincio a riempirlo. Il mio lavoro”, prosegue il regista, “è questo: una costruzione di tempo e spazio. Niente di più. È una costruzione astratta che ha a che fare con cosa vedo e cosa ascolto. La ragione per cui facciamo teatro come artisti è quella di porre delle domande. Non si tratta di dire: ‘È questo’. Da una parte cerchiamo di rispettare i maestri, in questo caso Pessoa, ma non vogliamo diventarne schiavi. Bisogna anche sapersene allontanare, prenderne le distanze”.
Spiega il co-regista Charles Chemin: “Insieme abbiamo elaborato una drammaturgia che mescola parole essenziali, nel senso di parole che dicono qualcosa sul sé, sui possibili sé, sulla pluralità degli altri sé ai quali vengono attribuite le sue opere. È così che nello spettacolo si intersecano anche gli aspetti più intimi della vita. Lo spettacolo”, continua Chemin, “inizia con un bellissimo testo di Pessoa che non ha titolo e che comincia con queste parole: ‘What is man himself…’. È un testo scritto in gioventù che rappresenta una profonda riflessione sull’essere umano. C’è un testo che è poi diventato una componente importante, il Faust, nel quale per definizione esiste una dimensione drammatica”.
Robert Wilson entra dunque in sintonia con i molti sé del poeta ed evoca le varie atmosfere delle opere di Pessoa, la fluidità dell’umore, meditativo o comico, razionale o anarchico, che nasce da una vita condivisa con personalità eteronime come Alexander Search o Bernardo Soares o Vicente Guedes o Alberto Caeiro o Álvaro de Campos o Ricardo Reis, la sua cerchia presentata come un gruppo di evasori dei concetti filosofici tradizionali e il regista condivide con il poeta la fiducia nei sogni e la diffidenza del concreto. Il regista è sensibile quanto Pessoa alla realtà dei sogni e all’inaffidabilità del concreto. Emozioni e sensazioni sono misteri.
La forza dell’immaginazione poetica di Pessoa sta nella sua volontà di scrivere e continuare a scrivere contro ogni dubbio e nella sua straordinaria capacità di farlo passando indifferentemente da una lingua a un’altra. Catturare l’essenza della relazione dell’anima umana con il mondo fisico è il suono della ricerca.
a cura di Ilaria Guidantoni