È il postumano, il polimorfismo, non declinato nel senso della mostruosità ma come apertura con la natura, la proposta della Repubblica di San Marino che torna alla Biennale Arte a Venezia senza un padiglione all’Arsenale, quest’anno ospitato negli spazi rinascimentali di Palazzo Donà dalle Rose in Cannaregio, unico palazzo nobiliare veneziano abitato ancora dalla stessa famiglia dal Seicento, spazio vissuto e intriso di dialogo tra storia e contemporaneità. È proprio questo il senso della proposta, l’arte contemporanea attenta alle tematiche e alle problematiche della vita odierna che si intrecciano con il nostro passato e la stratificazione del vissuto negli spazi.
“San Marino si presenta a questo importante appuntamento – ha dichiarato il Segretario di Stato Andrea Belluzzi – con il suo territorio ricco di idee, fermenti culturali, interessi verso l’arte che presenta istanze diverse ed è elemento ideale per una condivisione. Dopo due anni di emergenza sanitaria e privazioni, è tempo di dare
nuovo spazio alla creatività e alla bellezza. Il progetto, al quale partecipano otto artisti di diverse nazionalità con le loro opere all’interno del Padiglione, si intitola Postumano Metamorfico con un evidente riferimento al futuro dell’uomo tra confini da superare, trasformazioni, coesistenze. Questo progetto non termina con la Biennale ma prosegue sul territorio di San Marino con una dinamica che porti avanti discussioni, ricchezza di idee, stimoli”.
La proposta nasce dalla consapevolezza che, alla fine, tutto ruota attorno a corpo e metamorfosi, rapporto tra individuo-tecnologia e individuo-natura e dove la natura torna sempre ad essere centrale: questo il tema sul quale indagare posto da Cecilia Alemanni, direttrice artistica della Biennale Arte. La ricerca degli artisti presenti, per
rispondere al quesito, parte da lontano e parte dalla aspirazione e desiderio degli uomini di prolungare la vita, guarire le malattie, trasformare le specie e fabbricarne di nuove.
La metamorfosi, le analogie, l’armonia del mondo sono le tematiche indagate dagli artisti nei loro personali percorsi. Il ciclo vita-morte-vita è un perenne divenire di tutti gli esseri umani.
Il progetto, spiega il curatore Vincenzo Rotondo (FR Istituto Arte Contemporanea) in collaborazione con Cris Contini Contemporary, nasce nel 2021 a partire da studi condotti sul Post -umanesimo dove l’uomo resta collegato alla
natura o macrocosmo e Trans-umanesimo dove l’uomo diventa super tecnologico. Le biotecnologie stanno rendendo possibili molte trasformazioni con obiettivi, si spera, sempre migliorativi mentre le scoperte scientifiche corrono verso nuovi apparati biologici ed è lecito chiedersi dov’è il confine tra umano e post-umano tra naturale e artificiale.
L’uomo raramente si è adeguato alla natura, al contrario, dai tempi delle caverne in poi, natura e ambiente sono stati forzati e modificati per rispondere alle esigenze dell’uomo. Quando si parla di “mondo naturale” non si intende la natura incontaminata quanto un mondo artificiale
e tecnologico, mediato dalla cultura, nel quale l’uomo è separato dall’ambiente e in questa condizione non esiste né un miglioramento per l’ambiente né per la specie umana che tende a perdere, o comunque appiattire, il senso della identità. Tutto questo è pericoloso e stiamo vedendo gli immensi danni nati da un ambiente stravolto e violentato.
Nella ricerca di questo gruppo di artisti i punti cardine restano uomo e umanità, ambiente e natura, trasformazione e coesistenza.
Tecnologia, ricerca, bioetica sono nate dalla esigenza di salvare, migliorare la vita umana ma senza sacrificare la identità personale e l’umanità; il senso è salvare il microcosmo della vita umana nel suo rapporto profondo con il macrocosmo della natura.
Il postumano al quale vorremmo tendere nel nostro futuro è rappresentato da un mondo dove esistano alternative condizioni di esistenza e dove uomo, ambiente e natura, nel senso più vasto, possano entrare in sinergia, interagire e finalmente ritrovarsi.
Pasquale Lettieri, consulente e storico dell’arte, ci riporta nell’ambito del linguaggio artistico che deve tendere verso una direzione comune. L’importanza dell’opera d’arte è di creare un collegamento tra passato e presente dove c’è incertezza e non c’è più continuità.
Il percorso si snoda attraverso le opere di otto gli artisti presenti, di nazionalità italiana, francese, inglese e sanmarinese. Nel grande atrio si viene accolti da Endless, nome d’arte di uno dei primi street artist alla Biennale che ha realizzato una grande installazione site-specific sul tema del dialogo tra passato e presente grazie alla superficie specchiante che riflette l’architettura e l’arte del palazzo.
Rosa Mundi, altro nome d’arte, nasconde un’artista che non vuole svelare la sua identità – tanto che si è presentata velata anche all’evento – e che ha il suo studio proprio a Palazzo Donà delle Rose all’interno del quale ha allestito la sua esposizione che ruota intorno al rapporto dell’uomo con il tempo e l’impatto dei cambiamenti climatici, così nei grandi ‘medaglioni’ impiega la gelatina di medusa. Tra le opere più importanti realizzate ad hoc Europosaurus. L’artista utilizza materiali di recupero ripercorrendo così l’evoluzione dell’uomo da animale mammifero a Homo Sapiens fino a mutarsi in forza geologica con l’ambizione e forse la presunzione di poter modificare il corso evolutivo del pianeta.
Anne-Cecile Surga, scultrice francese, presenta una serie di opere in marmo rosa del Portogallo di figurazione antropomorfa che ruota intorno al tema dell’ibridazione.
Michele Tombolini presenta una serie di quattro opere su tela con inserti digitali e un ritratto di ragazzo che lavora sulla stessa integrazione tra il mezzo espressivo della pittura, della fotografia e del video. Il tema della digital humanity è declinato nelle varie fasi della vita con le opere, rispettivamente, La bambina, L’adolescente, L’adulta e L’anziana, dove l’inserzione in una foto lavorata dell’elemento video è duplice per la figura più giovane, unico e solo sulla bocca nell’adolescente, divenendo segno grafico ma non attivo nella donna per essere poi bianco e muta nell’anziana. L’occhio inquietante della bambina lascia il posto per le altre figure alla farfalla e all’espressione. Questa figura, già presente nelle sue creazioni antecedenti come elemento di censura diventa simbolo di evoluzione e metamorfosi diventa volo, apertura e non solo invasione del digitale. L’auspicio dell’artista è infatti quello di conservare la dimensione digitale come uno strumento o una modalità integrativa e non già sostitutiva della corporeità ed emozionalità dell’uomo; con la preoccupazione di resistere all’egemonia delle mode che, secondo l’artista, dominano soprattutto il mercato italiano purtroppo anche in fatto di arte. Il ritratto del bambino è sorprendente perché appare a tutti gli effetti una foto che poi però si anima. Tutte le opere conservano un elemento tradizionale di grande suggestione, lo sfondo realizzato con pittura e foglia d’oro che mima le tappezzerie veneziane per mantenere un legame con la cultura locale e la storia.
Nicoletta Ceccoli, artista di San Merino e Roberto Paci Dalò, artista di Forlì che insegna all’Università di San Marino, presentano opere pittoriche popolate da creature fantastiche in una comunione con il non-umano, l’animale, la terra esaltando il senso di affinità fra specie. Nicoletta lavora molto come illustratrice e sulla dimensione onirica con figure affascinanti quanto inquietanti quali una moderna Alice (nel Paese delle Meraviglie) mentre Roberto unisce il suono e la musica alla sua pittura dando vita ad un’arte performativa.
Elisa Cantarelli con WRO Without Essenza, presenta la sua grande installazione nel giardino del Palazzo dove gli elementi della plastica delle bottiglie di acqua e latte, le parole scritte anche con i neon e i punti colati, sua tecnica da molti anni, costruiscono una sorta di ambiente nel quale il visitatore entra, a cielo aperto, insieme alla natura che modificherà l’opera in questi prossimi mesi. L’installazione, una sorta di stanza con una parete mobile come una tenda, poggia sulla terra e accoglie piante insieme alla natura esterna, dalle intemperie alla polvere a elementi naturali che possono entrarvi. L’opera, nata per Parma città della cultura, ha avuto un passaggio a Milano e di qui a Venezia. Il messaggio provocatorio indica la mancanza di sostanza ma la luce disegna parole che creano un ossimoro, una sorta di corto circuito di senso per cui gli opposti in guerra tra di loro, producono una vita il cui senso sospeso è nel mezzo. Nel caso specifico l’opera è in plastica ma poggia sulla nuda terra.
Infine Michelangelo Galliani con Un giardino imperfetto che accoglie il visitatore che accede a questo spazio dal giardino, opera inedita, condensa una serie di simboli che ripercorrono il viaggio dell’uomo sul pianeta. L’opera intende evidenziare il rapporto difficile dell’uomo con l’ambiente che lo circonda all’apparenza felice. La statua distesa nell’acqua simboleggia la memoria della civiltà che si frantuma e cade e le ramificazioni evidenziano la natura che si riappropria degli spazi lasciati liberi, talora bruciate dall’uomo, nere; talvolta pronte alla rinascita come evidenziano i rami d’oro perché da sempre la foglia di oro zecchino indica la rinascita. L’acqua infine rappresenta l’elemento nel quale si nasce e si rinasce. Questo lavoro è stato suggerito all’artista da Telmo Pievani, filosofo, evoluzionista e docente di Filosofia delle scienze, e in particolare da due testi, Imperfezione. Una storia naturale e Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà (entrambi editi da Raffaello Cortina Editore).
a cura di Ilaria Guidantoni