La galleria Les Aretes Galleries ha inaugurato la propria attività con una mostra collettiva dedicata a giovani pittori affermati che ben rappresentano il futuro dell’ambito artistico in cui operano. La mostra con il titolo WAVE A LITTLE LIGHT l’ultima generazione della pittura europea si è svolta presso lo Spazio Natta di Como, nell’omonima via, grazie al supporto dell’iniziativa da parte del Comune di Como oltre che dello sponsor Azimut.
(Antony Valerian)
La nuova realtà, nel variegato panorama delle gallerie d’arte, opera organizzando mostre “pop up” in ambiti che si prestano da un lato all’esposizione di opere d’arte e dall’altro caratterizzati dalla centralità che permette di coinvolgere un pubblico attento ed estimatore dell’arte in senso lato. I promotori hanno confermato di voler promuovere giovani artisti che abbiano in comune un riconosciuto apprezzamento da parte non solo della critica ma anche dalle istituzioni e dal mercato.
(Antony Valerian)
La pittura, nonostante le diverse e ben riuscite manifestazioni di marketing che hanno proposto, e periodicamente propongono, mirabolanti importi spesi per opere di scultura o assemblaggi di parti meccaniche, rimane il fulcro delle grandi aste d’arte. E’ pur vero che un pupazzo che rappresenta un piccolo Hitler inginocchiato (Him, Maurizio Cattelan) battuto a 17 milioni di dollari è una notizia più eclatante di un nudo di Modigliani passato di mano per 157 milioni di dollari o di un Picasso scambiato per 115. Se da un lato gli addetti ai lavori facilmente comprendono le dinamiche della comunicazione, dall’altro nel pubblico si sviluppa l’idea che la pittura abbia lasciato il primato ad altre forme d’arte “moderne”.
(Dragos Batida)
L’ultimissima generazione di artisti internazionali, però, sa bene quanto la pittura sia potente, quanto il suo linguaggio – al netto dei record d’asta che in questa sede ci interessano solo come dato – sia incomparabile per la capacità di entrare dentro lo spettatore e di parlare alla sua anima. Tra questi hanno un ruolo significativo gli autori proposti in questa mostra che si è svolta dal 29 maggio al 2 giugno.
(Dragos Batida)
Tutti dipingono avendo una base comune, la storia dell’arte e della pittura in particolare: tutte le loro opere colpiscono per l’immediatezza e la sincerità a prescindere dalla storia di ciascuno o dall’opera che osserviamo, incantano la forza del colore, la forza del segno e la capacità di muove gli animi.
Nelle opere di Iulian Bisericaru, 1987, colpisce il colore, colori che parlano di Matisse o di Van Gogh che si coniugano con un dettaglio nei particolari che richiama Rousseau il Doganiere, con la sua vegetazione lussureggiante e sensuale. Ci troviamo così dentro il dipinto in giochi di prospettiva che invitano ad entrare, nonostante il timore procurato da una macchia di colore di una zona astratta che sembra colpirci per rimbalzarci in un altro angolo dell’opera. Bisericaru propone una sorta di fusione tra la città e la natura, fusione cui molti disperatamente mirano con tentativi più o meno riusciti di realizzare una convivenza invero difficile.
(Diego Vargiu Ph Paolo Bongianino)
Sebastian Hosu, 1988, appartiene come Bisericaru alla scuola di Cluj, anche le sue opere colpiscono per il colore e per il modo in cui viene steso sulla tela che colpisce lo spettatore e ne cattura l’attenzione. Hosu sceglie per le proprie tele di conservare una memoria sia pure limitata di figurazione: non pittura astratta quale distruzione di quella iconica ma ricostruzione di nuove certezze dove lo spettatore ricostruisce una visione figurativa attraverso pochi essenziali elementi.
(Diego Vargiu Ph. Paolo Bongianino)
Dragos Badita, 1987, anch’egli della Scuola di Cluj propone un linguaggio più tradizionale con una predilezione per il ritratto, che l’artista declina in maniera personalissima. Ritrae molti dei suoi soggetti o con gli occhi chiusi o con il viso coperto impedendo allo spettatore di incrociare lo sguardo. Sovvertendo così l’iconografia tradizionale per la quale gli occhi chiusi appartengono di diritto alla morte, e solo con il simbolismo la ritrattistica comincia ad annoverarli come segno di una trasformazione spirituale.
(Iulian Bisericaru – Ph. Paolo Bongianino)
Antony Valerian è il più giovane della squadra, nato nel 1992 ad Amburgo, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Vienna, non appartiene, dunque, alla Scuola di Cluj, ma le sue affinità con gli altri tre artisti in mostra hanno radici ancora più profonde, che affondano nel mood della generazione a cui tutti e quattro appartengono, quella del futuro. L’espressione della loro potenza è il colore.
(Iulian Bisericaru – Ph Paolo Bongianino)
Valerian vive il colore non come un dato di fatto, ma come un’emozione. Che di volta in volta fa diventare il cielo arancione, bianco latte o rosso come il sangue. Perché non è importante ciò che io sto dipingendo sulla tela, ma la sensazione che da questa tela sgorga e che va a rovesciarsi direttamente dentro il cuore di chi la guarda. Le sue figure sono i personaggi di una storia di cui non conosciamo la trama, ma che ci incatenano alla loro misteriosa narrazione dal momento in cui li riconosciamo come protagonisti.
(Sebastian Hosu)
Di Diego Vargiu, sardo, la nuova galleria ha proposto opere a carboncino di grande realismo. Al primo colpo d’occhio il visitatore le confonde con immagini fotografiche di grande impatto anche emotivo, una successiva attenta osservazione conferma l’errore.
Vargiu rientra tra gli artisti che riescono a fondere la figurazione più classica con il concettualismo sottile figlio delle avanguardie. Matita e carboncino sono utilizzate non per realizzare opere iperrealistiche ma per realizzare un sottile gioco degli equivoci con lo spettatore per stupire quest’ultimo.
Per realizzare al meglio i suoi giochi sugli equivoci visivi l’autore borda le immagini con le strutture geometriche tipiche della pellicola fotografica o i filetti neri che scontornano le pellicole piane delle macchine fotografiche di grande formato dopo il loro sviluppo: il risultato finale sorprende e stupisce.
La mostra che comprendeva anche opere di Massimo Lagrotteria, Alessandra Rovelli e Florencia Martinez è stata curata da Alessandra Redaelli.
(a cura di Paolo Bongianino)
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