Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 18 del 24 febbraio 2024
di Giuliano Castagneto
A un osservatore potrebbe apparire bizzarro che tra i settori più promettenti tra quelli quotati a Piazza Affari ci siano gli investitori in aziende non quotate. In realtà ce ne sono diversi, hanno particolari caratteristiche operative, di rado aprono le pagine finanziarie di giornali e siti, ma stanno vivendo un momento piuttosto interessante.
La categoria è alquanto composita, e in Italia comprende delle Sicaf, come NB Aurora, oppure vere e proprie holding focalizzate su aziende non quotate, come Italmobiliare, peraltro una presenza storica del listino milanese, oppure ancora gruppi articolati che investono molto anche in aziende scambiate sul parterre e fanno spesso ricorso ai club deal, come Tamburi Investment Partners e, su scala molto più piccola, Red Fish Long Term Capital (RFLTC) o First Capital.
Forti sconti sul NAV…
Realtà molto diverse quindi, ma che nell’ultimo biennio hanno tutte visto tempi non facili, durante i quali i rispettivi holding discount, ma sarebbe più appropriato dire sconto rispetto a Net Asset Value, si sono considerevolmente allargati. D’altra parte sorte analoga è toccata agli altri operatori di questo particolare comparto, con Red Fish che nel 2023 ha visto allargarsi lo sconto all’82%, Tamburi al 37% e Italmobiliare al 52%. Al punto che nella seconda metà dello scorso anno si erano diffuse voci di un possibile delisting di quest’ultima, poi smentite dai vertici di Via Borgonuovo, sulle orme di quanto già fatto nel marzo 2023 da Dea Capital. Delisting che il gruppo, contattato da BeBeez Magazine, non ha voluto commentare. La spiegazione addotta all’epoca era la non ulteriore necessità di essere quotati essendo il business sempre più focalizzato su asset alternativi (real estate in primis) in cui sono investiti soprattutto capitali di terzi (si veda qui il Documento dell’Opa totalitaria all’epoca lanciata da Nova srl), quindi non capital intensive come il private equity.
Peraltro lo sconto sul NAV non è una peculiarità delle holding quotate. Spiega Vincenzo Polidoro, co-fondatore e ceo di First Capital: “Anche sul mercato secondario del private equity le quote di fondi trattano a sconti in linea con quelli di borsa”. Certo l’ampliamento degli sconti è stato amplificato dalla presenza, nel caso delle holding quotate, di investitori guidati da un’ottica di breve periodo, tipica di chi investe in borsa ed è sempre alla ricerca di investimenti alternativi più redditizi. Ciò è evidenziato dalla volatilità che ha colpito i loro titoli sul mercato (si vedano i relativi grafici).
In realtà il fenomeno è riconducibile al forte aumento dei tassi di interesse.“Il valore di un portafoglio di partecipazioni in pmi non quotate subisce un impatto particolarmente negativo se i tassi aumentano rapidamente come accaduto nel biennio 2022-2023”, spiega Alarico Melissari, membro della direzione Business Development & Investments e Investor Relator di Italmobiliare.
… che potrebbero restringersi notevolmente
Tuttavia, se all’origine del problema c’è stata l’impennata dei tassi d’interesse, a causa della ripresa post-pandemia e dello scoppio della guerra in Ucraina, la prevista graduale stabilizzazione delle pressioni inflazionistiche e quindi dei tassi di interesse potrebbero cambiare notevolmente lo scenario. Non a caso tutte le più recenti ricerche su queste holding tracciano scenari ottimistici consigliandone caldamente l’acquisto, proprio perché gli ampi sconti rispetto al NAV sono attesi ridursi notevolmente generando altrettanti consistenti upside.
Ma per quale motivo questi operatori si quotano? Le ragioni sono diverse e non tutte riconducibili alla necessità di raccogliere capitali sul mercato. Racconta Polidoro: “Per noi la quotazione è stata una scelta obbligata perché nel 2010 non eravamo riusciti a trovare sufficienti fondi sui canali privati. Tuttavia essere quotati consente di fare ricorso a strumenti alternativi come le obbligazioni convertibili, cosa che abbiamo fatto nel 2018 con un’opzione di conversione a un valore parametrato al NAV per minimizzarne l’effetto diluitivo. Al tempo stesso uno strumento come il bond convertibile mette al riparo da un’eventuale fase di volatilità, che può rendere più complicato raccogliere risorse”. Aggiunge Paolo Pescetto, ceo e co-fondatore insieme ad Andrea Rossotti di Red Fish Long Term Capital: “Chi investe nei nostri titoli deve avere presente che i nostri investimenti richiedono un certo periodo di tempo per esprimere il proprio potenziale, non sono certo adatti al trading”. Non a caso Red Fish LTC sta raccogliendo un aumento di capitale da 15 milioni di euro destinato a co-finanziare, tramite un club deal, l’investimento nel 15% di Polieco, produttore leader di tubi zigrinati per l’acqua (si veda articolo di BeBeez). A questo scopo il gruppo sta sondando la disponibilità anche di investitori più sofisticati come i family office.
La borsa non serve solo a raccogliere fondi In altri termini, la borsa non è il principale canale di raccolta. “Spesso le holding quotate”, aggiunge Polidoro “investono tramite società controllate dalla capogruppo quotata. Queste a loro volta di solito si finanziano organizzando club deal”. Il primo esempio del genere è stato Tamburi Investment Partners (TIP), la più grande holding italiana di investimento nel listino di Piazza Affari dopo che Exor, la holding controllata dalla famiglia Agnelli/Elkann, si è trasferita ad Amsterdam nell’estate del 2022. TIP capitalizza circa 1,7 miliardi di euro e ha costruito il proprio Net Asset Value, stimato in circa 2,3 miliardi di euro, sulla base dei club deal targati Asset Italia, dotati di circa 330 milioni di euro, che vedevano coinvolti diversi dei principali imprenditori italiani. Altro esempio è NB Aurora. La Sicaf guidata da Patrizia Micucci, nell’autunno del 2023 per raccogliere risorse investibili ha ceduto il 49,9% del suo portafoglio di investimenti diretti (ha ancora una quota di fondi ex Fondo Italiano) a un fondo lussemburghese di co-investimento di nuova costituzione, NB Aurora Co-investment Fund II Sicav (si veda articolo di BeBeez), sottoscritto da family office e investitori privati facoltosi. In altre parole, non è solo per raccogliere capitali che questi investitori sono quotati.
Essere trattate sul mercato reca infatti importanti vantaggi alle holding. Anzitutto di natura operativa. “La quotazione della capogruppo è stata la modalità di raccolta del nostro capitale e ci permette di lavorare sul lungo periodo, come è il nostro stile, senza avere l’assillo dei limited partner che premono di continuo per monetizzare gli investimenti”, spiega Alessandra Gritti, vice presidente e amministratore delegato di TIP. Ma ci sono anche fattori più strettamente finanziari. “Abbiamo un dialogo costante con fondi e investitori attuali e potenziali, i quali sono molto focalizzati sulla valutazione del nostro portafoglio e delle singole aziende che lo compongono, quindi abbiamo le idee decisamente chiare sul rendimento del nostro portafoglio che rende appetibile per un investitore un titolo come il nostro”, sottolinea ancora Melissari di Italmobiliare. Inoltre “la quotazione consente di misurarsi con il mercato. L’andamento del titolo ci dice quanto azionisti e operatori condividono la nostra strategia di gestione. Chi non è d’accordo vende l’azione in borsa” aggiunge Pescetto.
Quali i vantaggi per chi investe?
Ma anche chi compra le holding in borsa gode di vantaggi significativi. soprattutto rispetto a chi investe nei classici fondi chiusi di private equity. Uno è la flessibilità dell’investimento. Un HNWI che investo 5 milioni in un fondo di private equity, in realtà si è solo impegnato a mantenere queste risorse disponibili per le necessità d’investimento di quel fondo, quindi non può impiegarli in altro modo, se non su scadenze molto brevi e asset molto liquidi sulle quali deve anche pagare una management fee mediamente del 2%. Non è un problema per una cassa previdenziale o un’assicurazione, che hanno comunque corposi flussi in entrata e uscita, ma per un privato, molto spesso un imprenditore che deve anche gestire i bisogni di liquidità della sua azienda, può essere un serio grattacapo. “Un titolo quotato dà esposizione a un business assimilabile al private equity ma al tempo stesso consente di modulare la taglia dell’investimento, mentre nel private equity esistono tipicamente tagli minimi importanti. Inoltre l’investimento avviene in soluzione unica senza tiraggi successivi che richiedono una gestione dinamica del portafoglio adatta a investitori più sofisticati” conferma Melissari di Italmobiliare. Concetto ripreso da Pescetto: “Quando abbiamo bisogno di risorse per fare investimenti noi attiviamo i nostri canali di raccolta, incluso il mercato, senza impegnare preventivamente i nostri investitori come accade nei fondi di private equity”. Sempre a questo proposito, non va dimenticato che “un fondo quotato ha il vantaggio di non essere obbligato, per regolamento, a cedere la partecipazione entro una certa data, che può coincidere con un ciclo economico negativo, creando così un maggiore allinemanento di interessi con l’investitore”, sottolinea Micucci di NB Aurora.
“Per un gruppo come il nostro la quotazione fa sì che gli investitori possano acquistare e vendere i titoli TIP mentre quest’ultima può lavorare sul lungo periodo senza tema di scadenza, aspetto tipico del fondo. Questo ci ha permesso sin dalla nostra costituzione di lavorare veramente sul lungo periodo dando grosso impulso allo sviluppo delle aziende” spiega Gritti di TIP, che aggiunge: “Chi compra il titolo in borsa ha l’opportunità di accedere all’upside di valore delle società non quotate così come nelle società già in listino, che hanno registrato performance molto importanti, godendo comunque di uno sconto”. E Pescetto sottolinea un altro dettaglio rilevante: “Chi investe nelle azioni di una società promotrice di club deal, come la nostra, oltre all’apprezzamento del valore della partecipata beneficia anche del carried interest, spettante ai gestori degli investimenti per allinearne gli interessi a quelli degli investitori”.
Buone notizie in arrivo
Una caratteristica che potrebbe dispiegare i propri positivi effetti proprio nel 2024, quando alcune società di investimento quotate procederanno alla rotazione del portafoglio, ovvero la cessione parziale o totale di partecipazioni in portafoglio, che potrebbe rilasciare una parte cospicua del loro valore. Opzione che negli anni più recenti è stata ostacolata dalle note turbolenze di natura finanziaria e geopolitica.
A risentirne sono state certo le ipo, ma in certa misura anche le cessioni dirette a investitori finanziari o strategici, soprattutto in valore come mostrano nel grafico in queste pagine dei dati Aifi per il primo semestre del 2023, con le exit dei fondi, valutate al costo, che si sono limitate a 996 milioni che evidenziano un calo del 33% dai circa 1,5 miliardi di fine giugno 2022 (si veda altro articolo di BeBeez). Ma nel frattempo gli investitori non finanziari hanno visto aumentare la propria importanza come controparte in acquisto, diventando la categoria più frequente con il 39% del numero di operazioni, sempre nella prima metà del 2023. “Un investitore strategico è disposto a pagare multipli più alti perché conosce bene la società target ed è conscio del valore aggiunto che questa può apportare”, conclude Melissari di Italmobiliare, che nel 2024 ha in programma la valorizzazione di alcune delle principali partecipazioni. E sul versante delle ipo, grosse notizie potrebbero arrivare da TIP. “Se si presenteranno le condizioni propizie sul mercato, valutiamo di portare in borsa Chiorino, Limonta oppure Eataly” anticipa il ceo Gritti.
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