Le aste immobiliari in Italia sono aumentate per numero del 24% nel primo semestre di quest’anno. Sono stati infatti 152.708 i lotti di immobili pubblicati in asta nella prima metà del 2019, contro i 128.000 dello stesso periodo del 2o18. Lo rileva Astasy, società italiana che si occupa di auction real estate e detiene una partecipazione in NPLs RE Solutions del Gruppo Gabetti (si veda altro articolo di BeBeez). Astasy ha calcolato che nel 2019 la media di immobili finiti giornalmente all’asta è stata pari a 836. Da segnalare, anche se non rientra nei primi sei mesi dell’anno, la giornata del 16 luglio che ha visto all’ asta 2.370 lotti in tutta Italia. La maggior parte degli asset (74%) finisce all’asta a seguito di un pignoramento immobiliare (si veda qui il comunicato stampa).
A livello geografico, la Lombardia mantiene il suo primato di regione con il maggior numero di immobili all’asta (19,5%), seguita dalla Sicilia (8,85%) e dall’Emilia Romagna (8,53%). I dati sono simili a quelli del 2018 (si veda altro articolo di BeBeez), salvo che per il superamento al terzo posto del Veneto da parte dell’Emilia, che vedremo dai prossimi dati se si confermerà per l’intero 2019. Per quanto riguarda i valori base d’asta, per gli immobili pignorati è stato superiore a 25 miliardi, ma il loro un valore di mercato stimato è pari a 33,75 miliardi. Gli immobili subiscono un ribasso medio di aggiudicazione pari al 56%. Il 95% degli immobili rappresentano il granulare, ossia hanno un valore medio di 85.884 euro, con un valore di base d’asta attorno ai 12,6 miliardi. Solo il 5,6% degli immobili hanno valori superiori a 500 mila euro, con un volume economico che sfiora i 13 miliardi di euro. Mirko Frigerio, amministratore delegato di Astasy, ha commentato in proposito: “Il 51%dei valori in campo è concentrato in solo il 5,6% degli asset posti in esecuzione e questi sono spesso situazioni particolari che necessitano d’interventi strategici più chirurgici e mirati. Il problema Npl non è finito, ma si è solo spostato dalle banche ai cessionari del credito. I debitori non hanno assolutamente risolto il loro problema, che si mantiene attivo nelle lungaggini amministrative della giustizia”.
Infatti, nonostante i tempi dei Tribunali siano nettamente migliorati (ben 289 giorni medi in meno rispetto al 2018), resta comunque lungo il tempo medio della giustizia, stimato in 4 anni, che fa scendere valore di aggiudicazione degli immobili. Una situazione complicata ulteriormente dalla riforma dell’art. 560 codice di procedura civile, entrata in vigore con la conversione in legge l’11 febbraio scorso del Decreto legge 14 dicembre 2018 n. 135 recante Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione.
La riforma prevede che il debitore per legge possa continuare ad abitare nell’immobile esecutato, mentre al custode spetta di “vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l’integrità”. Inoltre, l’ultimo comma del nuovo art. 560 addirittura dispone che il Giudice dell’esecuzione “quando l’immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari […] non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento ai sensi dell’articolo 586”.
Ciò significa che il debitore esecutato può permanere fino alla vendita nell’immobile, soprattutto se quest’ultimo è la sua abitazione principale. La liberazione anticipata dell’immobile è una eventualità applicata solo nei casi di cui al sesto comma, ossia quando sia ostacolato il diritto di visita dei potenziali acquirenti; l’immobile non sia tenuto i vuoto stato; il debitore violi altri obblighi di legge o l’immobile non sia abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare.
“La riforma riporterà nei prossimi mesi i tempi della giustizia ad almeno 7 anni fa, stabilendo che l’immobile pignorato può essere liberato solo dopo l’emissione del Decreto di Trasferimento”, ha dichiarato Frigerio, che è scettico anche sulle aste telematiche. “I siti che le gestiscono presentano spesso problemi ai loro sistemi informatici, creando inefficienze e difficoltà nella partecipazione alle aste da parte degli investitori e conseguentemente una perdita di valore per le banche, unitamente ad una ricaduta negativa per le famiglie interessate”. A suo avviso, servirebbero urgentemente un emendamento dell’art 560 e una riforma del sistema delle aste telematiche.