A meno di un ribaltone in corsa al Senato, l’azzeramento della tassazione per i fondi pensione che investono in Pir (Piani individuali di risparmio) sarà previsto soltanto per gli investimenti in equity di aziende italiane o in fondi che investono nell’equity di aziende italiane e quindi per i fondi di investimento azionari aperti o per i fondi chiusi di private equity e di venture capital. Lo scrive oggi MF Milano Finanza nel suo Contrarian, sottolinendo che alla Camera non è passato l’emendamento alla Legge di stabilità che raccoglieva le istanze relative all’inclusione degli investimenti in private debt, avanzate dagli addetti ai lavori e in particolare dell’Aifi, l’Associazione che rappresenta i fondi di private equity, di venture capital e di private debt,
L’art. 19 del Ddl comma 1 del testo arrivato alla Camera, infatti, precisa chiaramente che i fondi pensione potranno investire sino al 5% del loro patrimonio nel capitale di società quotate o non quotate con base in Italia o in uno Stato membro Ue o aderente all’accordo sullo spazio economico europeo con stabile organizzazione nel territorio italiano oppure in quote di fondi che investano in queste società. Ma appunto non si fa parola degli strumenti di debito o dei fondi che investono in debito.
Per contro questa distinzione non viene invece fatta nel testo del comma 13 del medesimo art. 19 del Ddl che precisa gli asset nei quali i Pir posono investire. In quel caso si parla di strumenti finanziari emessi da società quotate e non quotate o in fondi che investono i questi strumenti (e quindi si può evincere, anche titoli di debito e fondi di private debt).
Il combinato disposto dei due commi però porta comunque a capire che i fondi pensione, se decideranno di investire in Pir, saranno incentivati a scegliere quelli con vocazione puramente azionaria, perché altrimenti non potranno sfruttare il bonus fiscale.
Il presidente di Aifi, Innocenzo Cipolletta, aveva spiegato con una nota a inizio novembre, anticipando la richiesta di un emendamento al Ddl, che “per favorire il finanziamento delle pmi non quotate occorre, intervenire sia con interventi sul capitale di rischio sia sul capitale di debito, attraverso vari strumenti, come insegna la realtà internazionale. È quindi fondamentale che in Italia, così come nel resto dell’Europa, operino i fondi di private debt, che investano in titoli di debito o strumenti analoghi di finanziamento emessi dalle imprese”.
Peraltro il paradosso è che a rigettare l’emendamento sia stato proprio il governo. Secondo quanto risulta a MF Milano Finanza, infatti, Palazzo Chigi ha dovuto cedere alle pressioni condotte da alcuni investitori di Atlante. Dal loro punto di vista, infatti, se fosse passato l’emendamento a supporto del private debt, avrebbero voluto che lo stesso trattamento riservato ai fondi pensione fosse riservato agli investitori in Atlante, perché anche quel veicolo di fatto investe in private debt, anche se in una tipogia di debito che nulla ha a che fare con lo spirito di supporto alla crescita alle pmi, perché stiamo parlando di titoli derivanti dalla cartolarizzazione di sofferenze bancarie.
Così, se da un lato il Ministero dello Sviluppo Economico, nella persona di Stefano Firpo, prima a a capo della segreteria tecnica del ministero e poi alla direzione della Politica industriale, negli ultimi anni si è prodigato nello spianare la strada allo sviluppo del mercato del private debt a supporto delle pmi, dall’altro il governo in questo modo ha sbarrato la strada a un ulteriore importante sviluppo di quel mercato.