Scade il prossimo 25 novembre il termine per la presentazione di domanda completa di concordato al Tribunale di Verbania per JAL Group Italia, la controllata italiana del gruppo produttore di scarpe tecniche di sicurezza, leader dei mercato in Europa, controllato dal 2010 dal fondo Progressio II tramite la holding lussemburghese JAL Group Participations. Lo ha rivelato MF-Milano Finanza lo scorso 9 novembre, precisando che a mettere in crisi il gruppo è stato il blocco dell’attività nei tre stabilimenti tunisini, a seguito dello scoppio della primavera araba.
JAL Group talia aveva presentato domanda di preconcordato lo scorso luglio e ora il futuro dei circa 70 dipendenti italiani, attualmente in Cassa integrazione, e dei magazzini nel noverese è legato all’esito del processo di liquidazione degli asset della holding lussemburghese e in particolare della controllata francese proprietaria del marchio Jallatte, l’unica società del gruppo ancora in bonis.
A essere in corsa per acquistare il marchio Jallatte e gli altri marchi che fanno capo alla holding lussemburghese (Aimont e Lupos) sono la conglomerata cinese Jihua, la francese Deltaplus e alcuni operatori italiani, tra i quali U-Group, che fa capo all’ex proprietario di Almar, la società italiana che nel 2000 era stata fusa con la francese Jallatte per dare vita allo stesso JAL Group.
Chi comprerà i marchi dovrà spendere 2-3 milioni di euro, poi verosimilmente rileverà i magazzini italiani, dopodiché dovrà investire 10-15 milioni per rilanciare l’attività del gruppo nel quale il fondo di Progressio sgr dall’ingresso a oggi ha investito ben 24 milioni, erogati in più riprese nel tentativo di rilanciare il gruppo JAL. Quest’ultimo ha chiuso il 2012 con un fatturato di 105,5 milioni (dai 121,8 milioni del 2011), un ebitda negativo di 4,6 milioni (da -2,5 milioni del 2011) e in presenza di un debito finanziario di circa 25 milioni. Il momento di crisi peggiore era stato nel 2009, con 111 milioni di fatturato e un ebitda negativo per 11 milioni.
Progressio, infatti, aveva rilevato Jal già in situazione critica dal portafoglio di un gruppo banche ed hedge funds, tra i quali Bank of America e Goldman Sachs, che a loro volta nel 2005 ne avevano ereditato l’equity in conversione del debito ristrutturato, originato dall’operazione di buyout condotta dalla filiale francese di CVC Capital Partners. Il fondo aveva creato il gruppo nel 2000 acquistando Almar, fondendola con Jallatte che possedeva dal 1998 e delocalizzando poi la produzione in tre stabilimenti in Tunisia. I livelli di leva tipica dei primi anni 2000 si erano poi rivelati critici nel 2005 e il gruppo era andato in default, finendo appunto nelle mani dei finanziatori. I quali però non si sono poi curati della gestione, lasciandola nelle mani del management.
Con la crisi economica iniziata nel 2008 la situazione è ulteriormente peggiorata, tanto che Progressio nel 2010 ha rilevato l’equity di JAL Group per soli 100 euro, oltre che acquistare i 10 milioni nominali di debito residuo per soli 3 milioni. Una volta entrato nel capitale di JAL, però, Progressio ha messo ulteriormente mano al portafoglio, per ristrutturalo e finanziare il circolante, in modo da permettere alla società di lavorare, sulla base di un piano di rilancio elaborato dal precedente management, che prevedeva il ritorno ai livelli di fatturato del 2007 con una redditività maggiore nel giro di tre anni.
La gestione del management, però, si è rivelata errata e poco seria, tanto che Progressio ha successivamente condotto azione di responsabilità dei confronti dei vecchi amministratori e nominato un nuovo cfo, Daniele Ondeggia, e un nuovo ceo. Peccato, poi, che quest’ultimo dopo un anno non si sia rivelato a sua volta l’uomo giusto per il gruppo e abbia lasciato Jal, con il cfo che a quel punto ha preso il suo posto, finalmente riorganizzando la squadra con l’inserimento di otto nuovi manager e il rafforzamento dell’area commerciale, e focalizzando la produzione sui marchi e i prodotti a maggiore valore aggiunto, eliminando sostanzialmente la produzione private label che andava a fare concorrenza agli stessi marchi proprietari di JAL.
Un’operazione che avrebbe comportato contemporaneamente meno capacità produttiva. E infatti era stata impostato un piano di riduzione graduale del personale in Francia siano al 40% e la chiusura di uno stabilimento in Tunisia, con lo spostamento dei circa mille dipendenti di quello stabilimento sui due stabilimenti residui. Un’operazione, insomma, che avrebbe riequilibrato la situazione. Ma Progressio aveva fatto i conti senza la primavera araba. La rivoluzione tunisina del dicembre 2010 e dei primi mesi 2011 ha infatti sobillato gli animi e i tunisini si sono ribellati al piano di riorganizzazione dei lavoratori di JAL, di fatto bloccandone la produzione e lasciando il gruppo con circa 20 milioni di ordini inevasi, che hanno a loro volta mandato in crisi di liquidità il gruppo. Che ora si trova costretto a chiudere tutti gli stabilimenti in loco e mandare a casa tutti i dipendenti tunisini. Una situazione, peraltro, nella quale si sono trovate e si stanno trovando parecchie altre imprese italiane che negli anni avevano scelto la Tunisia per de localizzare la produzione.